Chi è, e chi non è, Miralem Pjanic

Qualche suggerimento, dal personale repertorio calcistico, per definire meglio le qualità del bosniaco.

Il passaggio di Miralem Pjanić dalla Roma alla Juventus ha scatenato, oltre alle preventivabili opposte reazioni fra i tifosi delle due squadre, anche una serie di disquisizioni tattiche sull’utilizzo del bosniaco nello starting eleven bianconero. Allegri, nel suo consueto smontaggio e riassemblaggio della squadra, ha già schierato Pjanić in quattro diverse posizioni diverseMa chi è e chi non è Miralem Pjanić?

Miralem è una tassa da pagare

 

In questa azione di Roma-Milan del 2014, la fase difensiva dei rossoneri affronta Pjanić con lo stesso susseguirsi degli stati d’animo di fronte a una tassa da pagare.

– Kakà viene preso nel mezzo di un triangolo e perde la marcatura del bosniaco, ma sembra infischiarsene; Kakà è il contribuente che riceve la lettera e legge che la scadenza è da lì a tre mesi;

– Balotelli, incomprensibilmente – o comprensibilmente, data la sua proverbiale applicazione difensiva -, decide di occuparsi di De Rossi, al quale Pjanić, con una prateria davanti, non passerebbe la palla nemmeno sotto tortura; Balotelli è il contribuente che sa del problema, ma a due mesi dalla scadenza spende i risparmi dello stipendio per qualcosa di inutile, tipo i tappetini nuovi della macchina;

– Muntari viene sverniciato e lascia che di Pjanić si occupi qualcun altro: Muntari è il contribuente che vede la moglie leggere la lettera e, in cuor suo, spera che lei la vada a pagare coi soldi del suocero l’indomani mattina;

– Montolivo è il primo a rendersi realmente conto del pericolo: l’ex viola si impegna nella scivolata ma viene saltato agevolmente dal bosniaco; Montolivo è il contribuente che, a dieci giorni dalla scadenza, tenta un improbabile ricorso all’agenzia delle entrate;

– Rami subisce un tunnel spalancando le porte della conclusione ravvicinata all’avversario: Rami è il contribuente ormai nel panico, con la scadenza incombente e senza soldi nel portafoglio;

– Abbiati è solo uno contro uno, si tuffa, tenta la parata, tocca il pallone, ma non riesce ad evitare il gol: Abbiati è il contribuente che il giorno prima della scadenza ha sentito al telegiornale che il Governo sta per proporre un condono sulla tassa e dentro di sé accarezza fino all’ultimo la possibilità di sfangarla, ma poi capisce che il condono non ci sarà e si avvia, mestamente, verso la banca con l’F24 in mano;

– Bonera non si capacita di tanta dabbenaggine da parte dei compagni e manifesta la sua rabbia piegandosi sulle gambe e dicendone quattro ai compagni coinvolti in quel misfatto: Bonera è il contribuente che, tornando dalla banca, si ferma al bar e si lamenta dell’eccessiva pressione fiscale.

Miralem è un amico fraterno

Al 30esimo minuto di un Roma-Cesena infrasettimanale di fine ottobre 2014, Mattia Destro ha già portato da qualche minuto i giallorossi in vantaggio. Miralem Pjanić trotterella a basso ritmo per il campo, portando a spasso il pallone, e Destro decide di effettuare un movimento per smarcarsi dall’avversario all’interno dell’area. Pjanić illumina il campo con uno strepitoso laser-pass che taglia fuori contemporaneamente cinque avversari; nei due secondi che intercorrono fra il punto A (piede destro di Pjanić) e il punto B (area di rigore del Cesena) di questa fantastica retta che corre veloce sul prato dello stadio Olimpico, il bosniaco è l’amico fraterno che porge il regalo dei sogni. E che Destro, emozionato e sorpreso da tanta grazia, non riesce a scartare.

 

Miralem non è Pirlo

Nonostante svariate dichiarazioni di Allegri, che lo ha previsto in futuro uno dei migliori al mondo nella posizione di vertice basso del centrocampo, il bosniaco in quel ruolo non ha convinto nella partita di San Siro contro l’Inter. Molti commentatori hanno tacciato come errata la scelta dell’allenatore e come inadatto al ruolo il giocatore, enfatizzandone i limiti di trasmissione del pallone nella costruzione della manovra dal basso. Ragazzi, ma siamo sicuri che non gli assomigli nemmeno un po’?

 

Miralem non è Niccolò Paganini

Sono passati quasi due secoli da quando Niccolò Paganini, rifiutandosi di eseguire il “bis” di un brano che aveva suonato a Torino, fece restare di sasso il pubblico presente con il celebre “Paganini non ripete”. Era un musicista che amava improvvisare e probabilmente temeva, eseguendo nuovamente il motivo, che il pubblico potesse accorgersi di qualche piccola differenza tra la prima e la seconda esibizione. È il 75′ di Chievo-Juventus dello scorso 6 novembre: è una partita rognosa, una di quelle che mister Allegri ama definire “sporche” perché la sua squadra, per vincerle, deve rinunciare ai fronzoli, mettersi l’elmetto e combattere nel fango di gioco spezzettato, pressing asfissiante e tenacia degli avversari. Dopo essersi guadagnato una punizione dal limite dell’area avversaria, Miralem Pjanić la calcia divinamente, facendo compiere al pallone un arcobaleno scintillante che sorvola la barriera e incontra il forziere colmo di monete d’oro in fondo alla rete di Sorrentino.

 

Fisicamente, la zolla da cui parte questa stupenda e decisiva punizione è a circa 100 km in linea d’aria da un’altra zolla, probabilmente sostituita nel corso degli anni, dello stadio “Ennio Tardini” di Parma e a circa 900 km da una terza sita a Leverkusen, probabilmente ancora al suo posto – perché, come sappiamo, l’erba degli stranieri è sempre la più bella – che hanno visto Miralem Pjanić riscrivere, a piacimento, il risultato delle rispettive partite. Ma a unirle – queste tre zolle, situate più o meno nello stesso punto del rettangolo di gioco – non è soltanto un immaginario triangolo scaleno di 1900 km di perimetro che parte dalla Pianura padana, si inerpica fino alla Renania per poi rientrare nuovamente sul suolo italico, ma sono anche e soprattutto le straordinarie capacità balistiche di un giocatore che è tutt’ora tacciato di scarsa personalità e capacità di leadership caratteriale, ma che a livello tecnico è un’assoluta eccellenza del nostro campionato. Sono passati due secoli da Niccolò Paganini, ma non ditelo a Miralem. Lui ripete, eccome.

Miralem è Terence Hill

La ragione fondamentale per cui Miralem Pjanić è considerato, dai suoi detrattori, un giocatore poco determinante è che la lettura del suo palmarès, a 26 anni compiuti, inizia e finisce con un campionato di seconda divisione francese vinto con il Metz a 18 anni. Questo, unitamente al fatto che la sua prima stagione giocata in una squadra di alto livello, il Lione 2008/09, sia stata la prima in cui i francesi non hanno messo in bacheca trofei (15 nelle ultime 8 stagioni), fanno del bosniaco uno dei giocatori col rapporto “talento cristallino/trofei vinti” più scadente.

Tuttavia, l’esperienza francese di Pjanić è molto positiva, soprattutto in Champions League, dove il Lione raggiunge sempre almeno gli ottavi di finale e nella stagione 2009/10 addirittura la semifinale. Snodo fondamentale di quella campagna europea è l’ottavo di finale contro il Real Madrid. Dopo aver vinto 1-0 l’andata allo Stade de Gerland, i francesi sono sotto 1-0 al Bernabéu, quando, a quarto d’era dalla fine, un pallone vagante finisce nella zona di Pjanić. Il controllo a seguire con la coscia destra, con successivo tiro di collo sinistro di controbalzo che si insacca alle spalle di Casillas, condannano il Real Madrid all’eliminazione. Nel secondo che intercorre tra il rimpallo in area merengue e la rete che si gonfia, Miralem Pjanić è Terence Hill in Continuavano a chiamarlo Trinità: in un secondo, con una mano estrae la pistola dalla fondina per distrarre il gambler con cui si sta confrontando e con l’altra lo schiaffeggia.

 

Miralem è un genio

Perché uno che fa una roba così:

 

… è un genio.