Tre cose dopo Juventus-Monaco

Due finali in tre anni per la Juve; Dani Alves irresistibile; un piccolo bilancio del Monaco.

Due finali in tre anni

Non c’è squadra, più della Juve, a meritare la finale di Cardiff. Nove vittorie, tre pareggi, zero sconfitte, 21 gol fatti e tre subiti. Sono i numeri di chi, in ogni partita, ha sempre dato un’impressione di superiorità, di controllo della situazione. Se in Serie A il gap che la Juventus ha scavato con le avversarie può legittimare ampiamente questa capacità, è in campo europeo che sorprende, spaventa addirittura, se considerato dal punto di vista degli avversari. In questa Champions, raramente si sono visti i bianconeri annaspare: solo nella doppia sfida contro il Lione, nella fase a gironi, la squadra di Allegri ha sofferto più del dovuto gli attacchi degli avversari. Nella fase a eliminazione diretta, invece, la Juve non è mai andata sott’acqua, nemmeno nelle serate più complicate, come quella del Camp Nou. E il doppio match contro il Monaco ha confermato, una volta di più, questa impressione: la consapevolezza di sé, la sensazione di riuscire a stare ben alla larga dalle difficoltà.

Juventus v AS Monaco - UEFA Champions League Semi Final: Second Leg

Consapevolezza di sé e della propria forza: qualcosa di cui scrivevamo già all’indomani del successo allo Stadium contro il Barcellona, al punto da costringerci ad «abituarci all’idea, se ancora non lo siamo, di posizionare la Juventus in linea con le migliori, di valutarla come fosse un Real Madrid, un Bayern Monaco, o un Barcellona stesso». Una consapevolezza che, ovviamente, non è nata dopo il trionfo contro i blaugrana, ma è frutto di un percorso coerente di crescita, che oggi pone la finale di Berlino, raggiunta due anni fa, non come un caso isolato, come era successo, per dire, al Borussia Dortmund nel 2013. Il fatto che la Juve abbia raggiunto due finali di Champions negli ultimi tre anni — e quando non ci è riuscita, lo scorso anno, diciamo che ha avuto parecchio da recriminare — ribadisce la certezza di trovarci di fronte a una squadra al top. Al top della mentalità e dell’organizzazione, più che della rosa a disposizione, se consideriamo che, da Berlino a Cardiff, la squadra titolare è cambiata per otto undicesimi.

Abbiamo sottovalutato Dani Alves?

La prima parte di stagione dell’ex giocatore del Barcellona, senza dubbio, non aveva fatto strabuzzare gli occhi. L’operazione Dani Alves seguiva la ratio dell’acquisto di Evra: giocatore esperto, abituato a spogliatoi di grosso peso, con una mentalità vincente. Dunque, più un propulsore di energia positiva per i compagni che un dominatore sul campo. La realtà, qualche mese dopo, ha cambiato prospettiva: Dani Alves è tutto-quello-di-cui-si-parlava-prima, ma anche e soprattutto un calciatore ancora pienamente deleterio per gli avversari. Contro il Monaco, tra andata e ritorno, ha messo insieme un gol e tre assist: praticamente, è entrato in ogni azione che ha portato ai gol della Juventus in semifinale.

Come ha scritto Claudio Pellecchia, Dani Alves è sì «un giocatore che tende a portare molto palla e a fungere quasi da regista aggiunto», ma alla Juve «ha saputo reinventarsi dal punto di vista dell’attenzione e dall’applicazione (…) realizzando il perfetto connubio tra filosofia offensiva ed equilibrio difensivo». Oggi il brasiliano è un giocatore che non conosce punti deboli: ha gamba e qualità per mettere in difficoltà le difese avversarie, ma ha anche una grande capacità nel tenere sugli uno contro uno, nel senso della posizione, nella bravura nell’allargare gli spazi e trovare le migliori linee di passaggio possibili. È curioso come, in un momento in cui stanno emergendo tantissimi terzini capaci di coniugare al meglio le due fasi, la miglior interpretazione del ruolo spetti ancora a un calciatore di 34 anni.

 

Come ne esce il Monaco

Molto bene, ma i monegaschi non hanno ancora il sufficiente pedigree per stare tra le migliori quattro d’Europa. Non c’è stato un momento in cui la squadra di Jardim ha dato l’impressione di potersela a giocare alla pari con la Juventus. Il divario è stato molto visibile, e non tanto per i tanti giovani, a corto di esperienza, schierati dal Monaco: anzi, la freschezza, mentale e atletica, dei wonderkid biancorossi ha rappresentato un valore aggiunto. Nonostante la sconfitta, ad esempio, Mbappé ha dimostrato qualità impressionanti, ed è stato forse l’unico a dare un’impressione di pericolosità, pur contro la miglior difesa d’Europa. Anche l’apporto di Mendy è stato notevole: assente nella gara d’andata, nel match di ritorno l’ex Marsiglia ha fatto vedere uno straordinario mix di forza, velocità e tecnica.

 

Il Monaco, perciò, ha tenuto testa più con qualche sparuta intuizione dei singoli, che con una coerente organizzazione di squadra, che pure, sotto il profilo offensivo, aveva rappresentato il punto di forza di Falcao e compagni. Il colombiano, per esempio, è stata una delle delusioni maggiori, a riprova di un meccanismo d’attacco che non ha funzionato a dovere, trovando una Juventus che non ha dato possibilità di manovra a una squadra abituata a far male negli spazi. Soprattutto, il Monaco deve completamente riscrivere la sua difesa: Raggi, Glik e Jemerson sono stati ampiamente insufficienti nella serata dello Stadium e, non fosse stato per Subasic, il risultato a favore dei bianconeri sarebbe stato ben più ampio.