La Nouvelle Vague brasiliana

Cinque nomi nuovi dal calcio verdeoro pronti a esplodere in Europa.

Nonostante l’eliminazione, per mano del Belgio, ai quarti di finale del Mondiale che avrebbe dovuto significare la redenzione dal Mineirazo del 2014, il futuro del Brasile calcistico a medio-lungo termine non è mai stato così luminoso. La lista dei convocati di Tite per le non proibitive amichevoli di settembre contro Stati Uniti ed El Salvador, del resto, parla chiaro: sono ben undici le novità rispetto ai 23 di Russia 2018, a ulteriore dimostrazione di come il commissario tecnico non intenda arrestarsi nella sua opera di (ri)costruzione della Seleção, potendo contare su un bacino di talenti giovani, futuribili e già mentalmente e fisicamente predisposti alla competizione ad alti livelli.

Guardando alla top 50 dei trasferimenti più costosi dell’ultima sessione di mercato, infatti, ci sono ben dieci brasiliani tra i primi 30, con un’età media al di sotto dei 24 anni: un diretta conseguenza di ciò che Steve Price ha definito su Forbes come «l’approccio preventivo che i superclub europei stanno assumendo quando si tratta di trasferimenti, accaparrandosi i giovani più promettenti del mondo per importi relativamente elevati, in modo che non debbano pagare un prezzo ancora più alto in futuro. I giocatori vengono acquistati prima di tutto in funzione del loro potenziale, esattamente come accaduto al Manchester United con Anthony Martial nel 2015». Cinque di questi, in particolare, stanno facendo parlare di loro in un inizio di stagione che sembra proiettarli in una nuova e decisiva fase delle rispettive carriere. Con Tite che, da lontano ma non troppo, osserva e prende buoni appunti.

Malcom 

Protagonista del caso di mercato dell’estate (il suo passaggio dal Bordeaux alla Roma era stato addirittura annunciato dai girondini su Twitter prima del decisivo inserimento del Barcellona) prima ancora che in campo, Malcom Felipe Silva de Oliveira è già da un paio d’anni tra gli Under 21 più promettenti d’Europa. La sua crescita nelle ultime stagioni è stata esponenziale, in termini di minutaggio (dai 253’ del 2015/2016 agli oltre 2700’ del 2016/2017 e 2017/2018), rapporto gol/tiri a partita (12/2.1 nell’ultima Ligue 1 contro i 7/1.8 del campionato precedente), incisività nell’ultimo terzo di campo (dal 2016: 11 assist in totale e quasi 2 passaggi chiave di media a partita) e associatività più marcata in entrambe le fasi di gioco.

Al netto delle sue qualità  e del fascino esercitato dalla narrazione del giovane talento pronto a sbocciare nella squadra che ha costruito gran parte della propria leggenda su alcuni dei brasiliani più forti di sempre, al momento Malcom risulta di difficile collocazione nello scacchiere tattico di Valverde: detto di una più che discreta capacità nella creazione della superiorità numerica (quasi tre dribbling tentati – 1.3 riusciti – di media ogni 90’) puntando più sull’elasticità dei movimenti che sull’esplosività del primo passo, il nativo di San Paolo mostra parecchie lacune nell’attacco della profondità e dello spazio in senso stretto, oltre a manifestare la tendenza ad usare la fascia laterale solo come punto di partenza per poi entrare dentro il campo alla ricerca della conclusione mancina o dell’assist per vie centrali. Un esterno offensivo solo nominalmente, quindi, che dovrà abituarsi ad un’interpretazione del ruolo del tutto nuova per lui, tra l’altro senza che Valverde scalpiti all’idea di trovargli un posto nell’attuale tridente d’attacco: «Malcom è un giocatore che la società seguiva da tempo e che alla fine si è riusciti a comprare. È un giocatore giovane, con ottime prospettive e il club ha deciso di acquistarlo. Se giocherà titolare? Dipenderà dal suo rendimento».

Il gol nel Trofeo Gamper, il primo acuto del Malcom Blaugrana

Arthur   

Con il suo acquisto ufficializzato già in marzo, per Arthur Henrique Ramos de Oliveira Melo sembrava essere pronto il ruolo che fu di Iniesta. Tanto più che, come aveva scritto Francesco Paolo Giordano su Undici, «in un sistema diverso, in cui sia impiegato da mezzala o anche più largo, Arthur potrebbe effettivamente far sue caratteristiche più mobili, che sono nel suo repertorio: non è uno che ama gli inserimenti, anche perché non è affatto un finalizzatore (appena due reti in carriera da pro), ma è decisamente bravo nel movimento senza palla ed è capace di tagliare il campo tanto in larghezza quanto in profondità». Tuttavia la rinnovata multidimensionalità di Coutinho che sembra configurarne il prossimo impiego in pianta stabile da mezzala e l’acquisto di Vidal al culmine della ricerca di un surrogato di Paulinho in caso di riproposizione del rombo o del 4-4-2 spurio già visti nella passata stagione, sembrano ridurre, e di molto, gli spazi per l’ex Gremio.

Il quale, tuttavia, può contare sulla sua perfetta aderenza “antropologica” al profilo del centrocampista ideale per il classico 4-3-3 blaugrana: qualità di passaggio di livello cattedratico (quasi il 94% su 81 tocchi di media a partita, di cui almeno 4.2 long balls, nelle ultime 34 presenze nel Brasileirao), naturale predilezione per il gioco in verticale, ottima conduzione di palla in progressione e buone capacità in dribbling che gli consentono di spezzare sovente il raddoppio. La superiore capacità di lettura preventiva di tempi, spazi e linee di passaggio, in ambo le fasi e su entrambi i lati del campo (2.3 intercetti di media nei campionati 2017 e 2018) per supplire alla relativa dinamicità, poi, costituisce la chiave per dare seguito a quanto Sam Mardsen ha scritto su ESPN lo scorso luglio: «Con Iniesta in Giappone, Paulinho ritornato in Cina e il futuro di Rafinha e Denis Suarez incerto, al Camp Nou c’è spazio per un centrocampo in continua evoluzione e Arthur sembra già essere in sintonia con quello che viene richiesto».



La prestazione in Supercoppa contro il Siviglia

Vinicius Jr.

Nel maggio del 2017, raccontando i dettagli del suo passaggio dal Flamengo al Real Madrid per la cifre record di 45 milioni di euro, Simone Torricini scriveva su Undici che «Vinicius Jr. è essenzialmente un attaccante, e ad ora dovremmo farci bastare questa informazione. La sua esplosione tanto prematura porterà senza alcun dubbio all’incrementare delle metamorfosi tecniche cui sarà soggetto nel corso degli anni, e con tutta probabilità il Vinicius che arriverà in Spagna sarà molto diverso da quello che conosciamo oggi».

Oggi, un anno e mezzo dopo e con il Real Madrid alle prese con la non semplice gestione tecnica del post CR7, del nativo di São Gonçalo si continua a conoscere relativamente poco. Oltre che dai numeri  (37 presenze – 1681’ complessivi -, 7 gol e 4 assist negli ultimi due Braslireao cui addiziona 0.5 passaggi chiave e 1.4 dribbling tentati di media) gran parte ciò che sappiamo di lui deriva dall’esperienza al Campionato Sudamericano Under-17 del 2017, disputato in Cile e vinto in scioltezza dal Brasile, con Vinicius capocannoniere (7 reti) e grande protagonista nonostante fosse ancora formalmente sotto età:

Inserito, nello stesso anno, nella lista dei 60 migliori talenti del Guardian, l’ex Flamengo è un giocatore piuttosto istintivo, naturalmente ambidestro e dall’associatività ancora relativa, come è normale che sia per un ragazzo così giovane. La personalità non gli manca ­– come dimostrato in occasione di un Fla-Flu di Copa Sudamericana dello scorso novembre quando, entrato in campo al 65’, con i padroni di casa sotto 3-1 e con la necessità di segnare almeno due gol per qualificarsi, contribuisce con alcune giocate decisive al 3-3 finale – così come la voglia di imparare e la ricettività verso contesti tattici che non gli sono abituali e il lavoro off the ball.

Il paragone più facile e immediato (anche per via della tendenza a partire dalla fascia sinistro per poi rientrare sul piede forte, grazie ad un arsenale pressoché infinito di tricks) è quello con Neymar, sebbene la corsa sia più potente ed esplosiva soprattutto e la dimensione fisica del gioco molto più accentuata. Dettagli che, uniti alle necessità di un reparto offensivo privato di colpo di potenziali 50 gol stagionali, hanno convinto la dirigenza merengue ad accelerare l’inserimento del ragazzo in squadra, in attesa di scoprirne le reali potenzialità. In allenamento l’intesa con Benzema sembra già ottima, così come appare buona la congruità delle qualità  di base con il sistema di Lopetegui: manca “solo” la controprova fattuale del campo per misurarne l’impatto con il calcio europeo ad alto livello.

Fred

In occasione del suo debutto in Premier League con la maglia del Manchester United nella gara contro il Leicester a Old Trafford, Fred ha toccato 72 palloni per una pass accuracy del 92.5%. Numeri replicati in occasione della sconfitta esterna con il Brighton, quando i tocchi sono stati addirittura 97. Eppure l’ex centrocampista dello Shaktar si sta facendo notare quasi esclusivamente per il suo chiedere continuamente scusa ai compagni nei rarissimi momenti in cui si trova a forzare una giocata o a tentare una prima costruzione non scolastica. Segno evidente di come le difficoltà dello United 3.0 di Mourinho stiano coinvolgendo anche lui, ben al di là delle difficoltà di adattamento di un giocatore che sembrava essere pensato per il City di Guardiola: lo scorso febbraio, infatti, quando il suo passaggio ai Citizens sembrava questione di dettagli, su Undici scrivevamo che «oggi il profilo di Fred è molto vicino a quello di Fernandinho» in relazione alla sua centralità in un sistema costruito su di lui, sui suoi tempi di passaggio, sulle sue geometrie, con due mezzali di corsa, inserimento e consolidamento del possesso a completare il triangolo di centrocampo.

Chiaro, quindi, come in una squadra ancora alla ricerca di una precisa identità tattica e maggiormente tendente alla proattività piuttosto che al controllo del gioco, un giocatore del genere possa inizialmente faticare nonostante le doti atletiche e l’ampia falcata siano fondamentali che gli sono tornati spesso utili per aiutare ed aiutarsi in fase di risalita del campo. L’impressione, comunque, è che una possibile svolta nelle dinamiche di gioco dei Red Devils non possa che passare da lui, dalla sua multimedimensionalità su entrambi i lati del campo, dal suo upgrade per tutto ciò che riguarda la rigidità mourinhaha in fase di non possesso, dal suo progressivo adattarsi a una fisicità del tutto nuova e che influenza gran parte del sistema che dovrebbe controllare: «Penso che la gente si sia già accorta della sua influenza positiva sulla squadra e sul tipo di calcio che la squadra intende giocare in questa stagione – ha dichiarato Mou alla vigilia del secondo impegno stagionale –. Quando lo abbiamo portato qui sapevamo che avrebbe potuto influenzare la nostra dinamica perché avrebbe potuto attrarre gli altri verso il modo in cui intende e pensa il gioco».

Il debutto di Fred a Old Trafford 

Richarlison

I 40 milioni di sterline spesi dall’Everton lo scorso luglio per assicurarsi Richarlison de Andrade, dopo appena un anno di apprendistato in Premier League, collimano perfettamente con la narrazione di un giocatore che sembra nato per bruciare le tappe. Dal Brasileiro B al campionato più importante d’Europa in meno di tre stagioni: in mezzo, un Campionato Sudamericano Under-20 tecnicamente dominato in maniera tale da convincere il Watford a investire su di lui più di 11 milioni di sterline strappandolo all’Ajax. Quindi, nel 2017/2018, una crescita esponenziale che è andata ben oltre numeri e statistiche (5 gol e 4 assist in 38 presenze, 32 da titolare) e che hanno convinto Marco Silva a portarselo dietro nella sua nuova avventura a Goodison Park: «Ma bisogna stare calmi e avere pazienza con lui – disse quando era ancora allenatore degli Hornets – . Certo che siamo tutti contenti di lui e di quello che sta facendo ma non bisogna esagerare. Ha 20 anni e credo sia pronto ad affrontare qualsiasi cosa gli riservi la sua carriera, ma dobbiamo aiutarlo e non caricarlo di eccessive pressioni».

In quel momento Richarlison aveva segnato 2 gol nelle sue prime cinque gare da titolare, con Simon Burnton che ha ricordato sul Guardian: «Sarebbero arrivati altre tre reti e altri quattro assist nelle successive sette partite. Si è trattata di una straordinaria induzione nel calcio inglese poiché il giocatore ha trasformato le prime settimane della stagione in una dimostrazione non di mero potenziale ma di abilità effettiva, sviluppata e decisiva». E poco male che la curva di apprendimento abbia subito gli inevitabili rallentamenti del caso: anche il successivo downgrade prestazionale ha fatto del figlio prediletto di Nova Venécia uno dei sudamericani che si sono meglio adattati ad un calcio completamente diverso da quello cui erano stati precedentemente abituati.

Il meglio di Richarlison nell’ultima stagione al Watford

Difficile, quindi, non pensare in grande. Richarlison è, infatti, un elemento potenzialmente unico nel suo genere, un giocatore offensivo multidimensionale (può agire tanto da esterno quanto da punta centrale, svariando sull’intero fronte d’attacco tanto in ampiezza quanto in profondità) che è in grado di unire le caratteristiche migliori del box-to-box player – il tempismo negli inserimenti (si veda l’ultimo gol realizzato al Southampton) e la capacità di read and react in relazione allo sviluppo dell’azione nell’ultimo terzo di campo – ad un’associatività sempre più marcata che gli consente di implementare rapidamente i meccanismi del sistema di gioco contestuale e, di conseguenza, di creare facilmente occasioni da rete per sé e per gli altri. Per questo il fatto che abbia segnato una doppietta all’esordio con i Toffees, contribuendo a raddrizzare una partita che sembrava compromessa dopo l’espulsione di  Jagielka, stupisce fino ad un certo punto.

A voler cercare il classico pelo nell’uovo, Richarlison segna ancora troppo poco per un giocatore del suo livello e per il numero di conclusioni effettuate (95 nella scorsa stagione: solo Kane, Salah – entrambi abbondantemente oltre quota 20 gol – ed Eriksen hanno tirato in porta più di lui), ma l’inizio di 2018-2019 (quattro tiri e tre reti nelle prime due giornate) sembra prodromico ad un miglioramento incoraggiante anche in tal senso.