Pochettino, gli uomini e il tempo

Le chiavi del successo dell’allenatore argentino.

Mauricio Pochettino è un tecnico determinista: crede in un calcio profondamente organizzato e lo pratica curandone tutti gli aspetti; solo che la sua maniacalità non si esprime appieno nella ricerca dei risultati attraverso un certo stile di gioco, ma è indirizzata primariamente ai calciatori, alla cura del loro sviluppo. Il lavoro di Pochettino è umano e circolare, nel senso che si rivolge agli uomini intesi come giocatori, parte da loro e finisce con loro. In un’intervista rilasciata a Panenka, ripresa anche da Undici, Pochettino ha detto di non essere d’accordo con la teoria per cui «il bravo allenatore è quello che vince». Per lui, il giudizio su un allenatore «ha a che vedere con quello che resta negli anni, l’eredità che lascia, il modo in cui migliorano i calciatori».

Perciò è inevitabile che l’idealismo tattico di Pochettino sia più sfumato e meno esasperato rispetto a quello di Guardiola, Klopp, ten Hag, Sarri – gli allenatori sistemici del calcio contemporaneo. Il tecnico argentino opera in maniera diversa, per induzione emotiva, allora la parte importante del suo lavoro è più evidente se analizzi il percorso di chi è riuscito a comprendere il suo insegnamento, a metterlo in pratica, a sfruttarlo per crescere e per imporsi – come se i risultati del Tottenham fossero una conseguenza del miglioramento dei giocatori piuttosto che il primo obiettivo da raggiungere attraverso il gioco. Prendiamo per esempio Son Heung-min, attaccante coreano che compirà 27 anni a luglio: è arrivato in Inghilterra nel 2015, dopo due stagioni al Bayer Leverkusen, ed è stato inserito gradualmente nelle rotazioni del Tottenham. Nel frattempo gli asfissianti allenamenti quotidiani di Pochettino – James Ward-Prowse, suo calciatore ai tempi del Southampton, disse che «servono due cuori per lavorare con lui» – hanno modellato il suo talento, lo hanno reso funzionale al calcio degli Spurs, arrotondando i difetti ed esaltando i punti di forza del suo gioco. In quattro anni, Son ha portato a termine un processo di trasformazione e sviluppo: da esterno offensivo elettrico e anarchico è diventato un attaccante completo, decisivo nell’area avversaria, prezioso ed efficace in tutte le fasi di gioco. Al punto che Rory Smith, giornalista del New York Times, l’ha definito «versatile, tecnico, ma anche propenso al sacrificio: è un potenziale obiettivo di mercato per club di primissima fascia come Barcellona o Manchester City».

Il punto è che il percorso di Son è sovrapponibile a quello di Lloris, Vertonghen, Eriksen, Dele Alli, Kane: tutti gli elementi più importanti degli Spurs sono stati acquistati e/o inseriti in prima squadra quando erano aspiranti campioni da definire e rifinire. Oggi sono calciatori completi ai massimi livelli, e sono arrivati fino alla finale di Champions League dopo essere cresciuti insieme. Questo processo di costruzione e valorizzazione condivisa del talento è l’identità del club londinese, una sovrastruttura che orienta tutte le scelte manageriali e tecniche, in perfetta simbiosi con le idee dell’allenatore. Pochettino, a sua volta, ha sviluppato un approccio coerente a questa filosofia: nel corso delle ultime stagioni, gli Spurs hanno modificato spesso concetti e sistema di gioco, hanno vissuto un processo adattivo continuo, una sperimentazione attuata per individuare e ricreare il contesto più favorevole per tutti i calciatori. Non a caso, il miglior risultato del tecnico argentino è arrivato quando ha avuto a disposizione la stessa rosa per un anno e mezzo – il Tottenham non conclude un’operazione di mercato per la prima squadra dal 31 gennaio 2018, giorno dell’arrivo di Lucas Moura dal Psg.

Questo metodo va oltre il campo e la tattica di gioco, dopotutto i calciatori sono degli uomini e Pochettino è un allenatore di uomini, perciò il suo lavoro si occupa prima di altri aspetti: la psiche, la motivazione, il coinvolgimento emotivo. L’allenatore del Tottenham vuole essere un riferimento umano, etico e professionale per i suoi giocatori, in un’intervista ha spiegato che «se ti interessa la persona che c’è dietro il calciatore, puoi scoprire molte cose nuove, e allora capisci come metterlo a suo agio anche nella squadra, trovi il modo perché possa funzionare: è incredibile quanti giocatori puoi perdere o buttare via solo perché non hai speso 20 minuti a parlare con loro, perché credevi di non avere il tempo per aiutarli». È un sistema di valori che Pochettino utilizza anche per definire le priorità della sua vita oltre il calcio: «Ho un ruolo che mi espone al giudizio della gente, ma questo non mi preoccupa. A me interessano le persone che mi conoscono, che condividono qualcosa con me, quelli che cenano con me, con cui trascorro del tempo».

La chiave per comprendere il lavoro di Mauricio Pochettino sta proprio nella sua relazione con il tempo. È un bravissimo allenatore di calcio, ma è soprattutto un creatore di rapporti a lungo termine, una figura che stabilisce legami duraturi con le persone e le istituzioni che incontra lungo la sua strada – ha giocato nove anni in due cicli diversi per l’Espanyol, di cui è stato anche allenatore, ed è alla fine della quinta stagione completa agli Spurs. Se il Tottenham ha voluto e potuto mantenere inalterata la sua rosa negli ultimi 18 mesi è anche perché i giocatori hanno deciso di non lasciare la squadra, di continuare a lavorare con il tecnico argentino.

È una scelta controcorrente nel calcio contemporaneo: Kane, Eriksen e Dele Alli, per esempio, sono elementi di grande valore, con un grande appeal sul mercato, quindi avranno sicuramente ricevuto delle grandi offerte nelle ultime due sessioni di trasferimenti. Eppure sono rimasti al Tottenham, e hanno spiegato più volte che la presenza di Pochettino ha inciso tanto perché non andassero via. Già nel 2017, Eriksen raccontava a Sky Sports dell’influenza positiva del manager su di sé e sui suoi compagni: «Ha portato grande stabilità al Tottenham, è uno che dà fiducia a tutti i giocatori e i giocatori sentono la sua fiducia. Così ti senti motivato, vuoi rispettare il tuo contratto pluriennale per tutta la sua durata, e faresti di tutto per il club e per l’allenatore». Le parole di Harry Kane a The Players’ Tribune, uscite proprio ieri («Pochettino ha tirato fuori il meglio di me come attaccante, è una persona fantastica, speciale, lo considero un mio amico anche fuori dal campo»), dimostrano che le cose non sono cambiate, nel frattempo.

Proprio in virtù di questa concezione dilatata del tempo, la finale di Champions League ha e avrà un valore laterale, se non addirittura marginale, nella narrazione di Mauricio Pochettino. È un privilegio destinato a pochissimi allenatori: il suo impatto nella storia del Tottenham è stato talmente significativo che il suo mito avrà la forza di sopravvivere ai risultati, all’eventuale senso di incompiutezza per il mancato trionfo – in realtà è già successo, Pochettino non ha ancora vinto un titolo nella sua carriera in panchina, e l’ultimo trofeo del Tottenham risale al 2008. Anche Klopp vive una situazione simile al Liverpool, solo che i Reds hanno un blasone diverso rispetto agli Spurs, e inoltre il tecnico tedesco ha dimostrato di poter ottenere risultati anche migliori in contesti differenti.

Da qui deve partire il ragionamento sul futuro di Pochettino, sull’eventuale esportazione del suo modello filosofico e pratico in un contesto diverso. In teoria la figura di un allenatore tatticamente liquido, specializzato nell’interazione con i calciatori, nella loro crescita progressiva, potrebbe essere interessante per qualsiasi club, a tutti i livelli. Solo che il lavoro di Pochettino deve essere progettato e valutato a lungo termine, come tutte le rivoluzioni basate sugli esseri umani e sulla ricerca, in quest’ordine. Il Tottenham è stato un ambiente perfetto per Pochettino – e viceversa –, una comfort zone professionale ed emotiva. In altri club, invece, i risultati devono arrivare subito, non son ammessi compromessi, attese, ritardi sulla tabella di marcia. Sarebbe una condizione nuova per Mauricio Pochettino: l’allenatore di uomini dovrebbe instaurare un nuovo rapporto con il tempo, in pratica dovrebbe negoziare con una parte di se stesso, probabilmente la migliore, quella che lo caratterizza, che lo rappresenta meglio come allenatore; quella che l’ha condotto fino a Madrid, a un passo dalla Champions League, insieme al suo Tottenham, insieme ai suoi ragazzi.