Gli Europei sono una grande occasione per Di Biagio

Ha costruito una nuova cultura giovanile, ora può vincere con una Under 21 fortissima.

«Tutti mi chiedono di vincere, e la mia ambizione è proprio quella». Le parole di Gigi Di Biagio, ct dell’Italia Under 21, vanno dritto al punto. Le ha pronunciate pochi giorni fa, nella conferenza stampa in cui ha presentato il gruppo di calciatori convocati per l’Europeo di categoria, al via domenica 16 giugno. Il suo tono è sembrato diverso rispetto al passato, così come i contenuti delle dichiarazioni: Di Biagio, d’un tratto, ha messo in secondo piano il ruolo di tecnico federale, il cui obiettivo è la valorizzazione dei giovani azzurri prima del risultato, e ha vestito i panni dell’allenatore tradizionale, che abbraccia la richiesta popolare di un trofeo. Di Biagio ha tolto la maschera perché è arrivata l’occasione migliore per farlo: l’Europeo Under 21 si gioca infatti in Italia (tra Bologna, Cesena, Reggio Emilia, Trieste e Udine, più Serravalle, nella Repubblica di San Marino), ed è la prima manifestazione calcistica di alto livello organizzata nel nostro paese dopo i Mondiali del ’90; inoltre, i giocatori scelti per comporre la sua squadra sono di qualità superiore rispetto al recente passato, al punto che la sua Under 21 rientra tra le migliori di sempre.

La rosa che si sta allenando a Casteldebole in vista dell’esordio contro la Spagna è il risultato di un lungo progetto di rinascita avviato nel 2010, sulle ceneri del Mondiale sudafricano, nato dalla spinta di Sacchi e Viscidi e poi governato anche dallo stesso Di Biagio – che dal 2011 lavora come tecnico della Federazione. Una ristrutturazione partita dalle fondamenta del calcio giovanile, che ha prodotto una generazione di giocatori fortissimi e ora suggerisce che è arrivato il momento di andare oltre, di raccogliere quanto si è seminato, magari vincendo un trofeo. La squadra di Di Biagio è quindi un punto d’arrivo per l’allenatore e tutto lo staff federale, ma vuole essere anche un nuovo punto di partenza per il futuro. Il ct ha voluto godere del lavoro svolto, chiedendo e ottenendo che nei 23 figurassero alcuni giocatori già utilizzati da Roberto Mancini nella Nazionale maggiore: nello specifico si tratta di Chiesa, Lorenzo Pellegrini, Barella, Gianluca Mancini, Kean e Zaniolo. La “retrocessione” di alcuni azzurri è un dato doppiamente positivo, da un lato sottolinea la crescita della qualità dei giovani italiani, che approdano prima nella selezione maggiore rispetto agli ultimi decenni, e dall’altro dimostra come questi ragazzi siano disponibili a uno sforzo supplementare per sostenere l’Italia – e la Federazione che ha contribuito a lanciarli. 

La Federazione ha creato un contesto migliore per la formazione dei giovani, ha velocizzato il loro inserimento attraverso un cambio di prospettiva dell’addestramento, oggi più in linea con le tendenze europee. Di Biagio ha raccontato a più riprese che a Coverciano è stata data grande importanza ai fondamentali, è stata valorizzata la tattica individuale, si è lavorato a «una linea difensiva più alta, senza paura di affrontare l’uno contro uno, anche nella nostra metà campo»; e, soprattutto, è stato lanciato il messaggio per cui i giovani meritavano spazio anche nei club. Complici le difficoltà economiche, le società di Serie A hanno recepito il messaggio e, negli ultimi anni, hanno concesso tempo ai ragazzi per accumulare esperienza sui palcoscenici più importanti.

È nato così, quasi sottotraccia, un circolo virtuoso di cui oggi cogliamo i frutti osservando i convocati dell’Under 21, il cui valore non è misurabile solo attraverso la qualità, ma anche e soprattutto in base all’esperienza accumulata: a parte il terzo portiere Montipò e Tonali, tutti i giocatori selezionati da Di Biagio giocano in squadre di Serie A. E “giocano” in senso stretto: la maggior parte è titolare nel proprio club, gli altri al massimo sono le prime linee in panchina. Si sta finalmente abbassando l’età per cui consideriamo “giovani” i calciatori italiani, non ci stupiamo più se un 19enne come Kean è titolare nell’Under 21 e ha già esordito nella Nazionale maggiore, peraltro segnando, così come ha fatto nel finale di stagione con la Juventus. L’impressione è che l’Italia si stia finalmente allineando alle altre nazioni europee, per cui un 25enne non è più un giovane, semmai è un calciatore maturo; il vero giovane è un giocatore di 17 anni che però può avere le qualità per reggere l’urto con il calcio di primo livello, se protetto da un sistema che non lo reputa un rischio per il risultato sportivo.

Quella di Di Biagio, in sostanza, è una riforma anche culturale, iniettata a piccole dosi nel calcio italiano e in tutti gli strati della Federazione. L’integrazione nell’Under 21 di un gruppo di giocatori già impegnati con Mancini chiude perfettamente il cerchio virtuoso, non è un caso che Di Biagio abbia ammesso il feeling sbocciato con il suo collega («L’intesa con Roberto è nata subito, anche perché ha voluto conoscere il nostro lavoro e l’ha capito») e che le due squadre si alimentino reciprocamente, come vasi comunicanti. Anzi, questo rapporto di scambio testimonia che il progetto di ristrutturazione è arrivato ad un primo, importante checkpoint: la Nazionale maggiore e l’Under 21 interagiscono come non è mai successo in Italia, e lo scambio di risorse non è limitato solo alle due selezioni più importanti, come dimostra il caso di Andrea Pinamonti, convocato per l’Europeo Under 21 dopo aver disputato il Mondiale Under 20. 

La straordinarietà del lavoro nelle giovanili azzurre va ricercata nel fatto che il Mondiale mancato dalla Nazionale maggiore nel novembre del 2017 non ha compromesso il percorso della nuova generazione, se è vero che la qualità dell’Under 21 che si appresta ad affrontare l’Europeo è tra le più alte di sempre. Vuol dire che l’Italia faticava soltanto in superficie, e che in realtà era già presente una grande rete per attutire la caduta, c’era un movimento sano, in grado di riaprire un ciclo prima e meglio di quanto si potesse presumere nel momento più buio, subito dopo il playoff perso contro la Svezia. In sostanza, il futuro era sotto i nostri occhi, ma era nascosto dall’ombra proiettata dalla Nazionale con i suoi risultati negativi.

Per Di Biagio, l’Europeo diventa così l’occasione per evidenziare in maniera definitiva il lavoro svolto dietro le quinte del calcio italiano, spesso poco celebrato e valorizzato. Infatti, il ct ricorda che «aver portato una decina di giocatori in nazionale maggiore rimane la vittoria più grande perché testimonia che stiamo facendo molto di più di quello che potevamo». Poi, però, lo stesso Di Biagio aggiunge che «manca la ciliegina sulla torta, l’ultimo pezzettino», ovviamente si riferisce al successo nell’Europeo Under 21 che manca dall’edizione 2004 – era l’Italia di Claudio Gentile, di De Rossi, Gilardino, Zaccardo, Amelia.

Per Di Biagio, la rassegna continentale è anche un’occasione per uscire dal recinto del tecnico federale e dimostrarsi un allenatore in senso letterale, che incide in maniera decisiva sul gioco della squadra. Imputare al ct l’assenza di risultati non ha senso, semmai può averlo una critica sull’identità che l’Under 21 non sembra aver mai veicolato: le squadre del mister romano, infatti, hanno fatto fatica a mostrare uno stile riconoscibile, come se fossero state costruite con un occhio fin troppo “federale”, molto concentrato sui giocatori e un po’ distratto rispetto alla qualità e ai sincronismi del gioco. L’esempio da seguire potrebbe essere quello di Mancini: la Nazionale maggiore del nuovo ciclo pratica un calcio ambizioso e coinvolgente, che lo stesso Di Biagio ha dichiarato più volte di apprezzare e condividere. Il ct dell’Under 21 ha il materiale umano giusto per riprodurlo, una rosa ricca di giocatori tecnici, molti dei quali reduci dai giorni di addestramento con Mancini. A prescindere dal risultato, proporre una squadra lontana dalla Nazionale maggiore sarebbe un’occasione mancata, per Di Biagio e per il progetto che lui stesso, in prima persona, ha contribuito ad avviare.

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