La nuova Juventus non può fare a meno di Gonzalo Higuaín

Una situazione che sembrava impensabile alla vigilia di questa stagione.

Con l’assist per il gol decisivo di Dybala contro il Milan, Gonzalo Higuaín ha suggellato un inizio di stagione in cui è risultato indispensabile per la Juventus. Una condizione che non può e non deve più stupire, soprattutto se il contesto di riferimento è la Juventus in cerca d’autore dell’ultimo mese, in cui l’argentino risulta essere – come Pjanic, talvolta più di Pjanic – l’ago della bilancia, il discrimine tra una partita vinta e non vinta, la differenza tra una gara (o spezzoni della stessa) giocata bene e un’altra meno. E il fatto che l’ideale chiusura del cerchio sia arrivata nella sfida contro il suo recente passato, a un anno esatto dal cortocircuito emozionale della gara di tra il suo Milan e la Juventus – rigore sbagliato più espulsione –, è solo un elemento narrativo in più, un dettaglio quasi superfluo.

Basterebbe ascoltare alcuni passaggi della conferenza stampa di Maurizio Sarri prima della sfida con la Lokomotiv Mosca per comprendere come il mondo del centravanti argentino si sia ribaltato nell’arco di una stagione, anzi di sei mesi: «Lo scorso anno Gonzalo ha sofferto il distacco dalla Juve, lo ha vissuto come una sconfitta personale. Ora ha ritrovato grandi motivazioni: è migliorato molto, si mette a disposizione della squadra, ha una grande partecipazione anche nella fase difensiva, fornisce assist, è un giocatore forse leggermente meno pericoloso in area, ma importantissimo per lo sviluppo della nostra manovra».

Sono parole con un sottotesto ben più ampio di quello che potrebbe emergere da una lettura iniziale, superficiale, e rappresentano una novità nel modo di raccontare l’attaccante argentino. O, almeno, rispetto a un certo modo di raccontarlo. Perché se è vero che la narrazione di Higuaín, oggi come ieri, è sempre stata costruita sull’evidenza di una fragilità mentale non propriamente all’altezza delle qualità fisiche e tecniche – qualità mai messe in discussione, nemmeno nei periodi più neri –, è altrettanto vero che una simile chiave di lettura risulta ormai inadeguata per descrivere il tipo di impatto che sta avendo nella Juventus attuale. E non è certo una questione di numeri in relazione ai minuti in campo – tre gol e quattro assist in 14 partite disputate, molte da titolare: basti pensare che al Milan segnò in sette delle prime otto gare giocate – o di una dimensione psicologica passata improvvisamente in secondo piano: semplicemente è cambiato il modo in cui la stessa condiziona (e condizionerà) le prestazioni di uno dei centravanti più forti d’Europa, che è entrato nella fase declinante della carriera eppure si è riscoperto indispensabile in un modo del tutto nuovo.

La Juventus che negli ultimi dieci minuti della trasferta moscovita (e negli ultimi 30’ della sfida con i rossoneri) sceglie di rinunciare a Ronaldo e non a lui è una squadra che non sa, non può e, per certi versi, non vuole fare a meno di Higuaín. La nuova centralità del centravanti argentino assume più importanza perché si è concretizzata in quello che Andrea Agnelli ha definito “l’anno zero”, nella stagione di una rivoluzione filosofica e culturale che sta richiedendo tempo e pazienza, dopo un inizio che lasciava presagire un’accelerazione del processo.

L’assist di Higuaiín per il gol di Douglas Costa contro la Lokomotiv è una delle migliori giocate di questo avvio di stagione

Passare da esubero difficile da piazzare a centro di gravità di una squadra dalla fase offensiva in costante – e non sempre fluida – evoluzione può essere semplice o complesso: dipende tutto dal carico di aspettative che gravano sul singolo e dal modo in cui queste possono arrivare a pesare sul collettivo. Nel passato, anche recente, il principale problema di Higuaín è stato quello di riuscire a trovare un giusto equilibrio tra emotività, ambizioni, pressioni e risultati (personali e di squadra) da raggiungere, con le prestazioni sul campo che, spesso, hanno risentito di una sensibilità fin troppo umana  che poco si addice al calciatore professionista del XXI secolo. È successo a Napoli nell’anno dei 36 gol in occasione dell’espulsione contro l’Udinese nella partita spartiacque del campionato; è successo nella scorsa stagione al Milan, quando lo 0-2 subito a San Siro dai rossoneri contro la Juventus ha dato il via un dramma umano e sportivo culminato con la fuga, non certo salvifica, al Chelsea.

Higuaín ha sempre dimostrato di essere un giocatore che, per esprimersi al meglio, ha bisogno di sentirsi protagonista. Allo stesso modo, però, fin troppe volte ha finito con il farsi schiacciare dalla pressione che l’essere protagonista genera, una situazione che è detonata quando tutto ciò che Higuaín faceva – o non faceva – era filtrato attraverso la lente dei 90 milioni di euro spesi nell’estate 2016 per farne il centravanti di una squadra che deve vincere la Champions. Prospettive e percezioni sono cambiate, paradossalmente, nel momento in cui Ronaldo è diventato l’uomo che si è fatto carico di tutto questo peso: libero dalla necessità di ricercare quella leadership tecnica ed emotiva che non è stato in grado di sostenere con continuità, l’argentino si è ritagliato “naturalmente” il proprio spazio all’interno di un sistema strutturato e dai principi codificati, dimostrandosi centrale nella sostanza e lasciando che fossero gli altri a fare i conti con gli onori e gli oneri della forma. Gonzalo Higuaín che manda in porta Cuadrado a Madrid, che segna a entrambe le dirette concorrenti della Juventus in campionato, che cambia l’andamento del derby ben al di là dell’assist per il gol decisivo di de Ligt, che viene tenuto in campo – lui, non CR7 – nei minuti decisivi della partita che vale il passaggio agli ottavi di Champions League, è un giocatore che fa la differenza, cioè la cosa che gli è sempre stata richiesta, e la fa proprio perché è sgravato da quella pressione (per lui) negativa di doverla fare per forza.

Da quando è arrivato in Europa, al Real Madrid, Higuaín ha disputato 110 partite nelle coppe internazionali, segnando 36 gol (Javier Soriano/AFP via Getty Images)

Con questi presupposti, gli aspetti tecnici e tattici diventano quelli più facili da raccontare. Di fatto, alla soglia dei 32 anni, Higuaín è ancora stabilmente tra i primi cinque centravanti d’Europa; anzi, è tra i primi tre se assimiliamo il suo gioco a quello di elementi come Roberto Firmino o Karim Benzema, attaccanti dalle capacità creative sovradimensionate e in grado di fungere da primo riferimento offensivo per la costruzione e la rifinitura della manovra nell’ultimo terzo di campo. Senza contare che, nell’arco di un’intera carriera ad altissimo livello, l’ex Napoli si è sempre dimostrato particolarmente attento e ricettivo ai cambiamenti e alle evoluzioni del gioco, adattandosi a contesti anche molto diversi da loro e risultando decisivo, in forme e misure diverse, in ciascuno di essi.

E se con Massimiliano Allegri l’efficacia e l’efficienza di Higuaín è rimasta praticamente intatta in termini di occasioni create e convertite – 105 presenze, 55 gol e 15 assist in due stagioni – nonostante un volume di gioco molto diverso dal contesto di provenienza, con Sarri c’è stato una sorta di “ritorno alle origini”, con le variazioni minime ma sostanziali imposte dall’utilizzo del rombo in luogo del 4-3-3.

Il Brescia è una delle due squadre che militano attualmente Serie A contro cui Higuaín non ha mai realizzato un gol – ma l’ha affrontato una volta sola. L’altra è il Parma (Marco Bertorello/AFP via Getty Images)

Nella Juventus della prima parte di questa stagione, ancora alla ricerca di una dimensione verticale adeguata a un possesso palla non più così conservativo, Higuaín è l’unico tra gli attaccanti a poter garantire varietà di movimenti sull’intero fronte offensivo, tanto in ampiezza quanto in profondità; migliora la qualità delle ricezioni sul lungo e sul corto, giocando di spalle o di fronte alla porta; crea linee di passaggio ulteriori per arrivare al tiro e liberare gli spazi in cui possano inserirsi le mezzali; inoltre, è l’unico attaccante in rosa che può operare da “regista offensivo”, che è in grado di facilitare lo sviluppo dell’azione per vie centrali – fornendo la sponda ideale per uno scambio in spazi stretti o rifinendo lui stesso, premiando l’inserimento del compagno proveniente dal lato debole – ma anche laterali, allungandosi sull’esterno nel momento in cui al terzino di riferimento mancano metri di campo da attaccare nell’uno contro uno.

Higuaín sta vivendo un coinvolgimento pieno e totale in ogni aspetto del gioco – una condizione che val bene un sacrificio in termini realizzativi –, nel frattempo la Juventus ha sviluppato una “dipendenza” da Higuaín che ci si aspettava da sempre, e che invece è arrivata nel momento in cui non gli è stata più richiesta a tutti i costi. Sembra un paradosso, eppure è la realtà: la nuova squadra di Sarri, che vince e non sempre convince, non può proprio fare a meno di Gonzalo Higuaín.