Non deve stupire il fatto che Fiorentina-Juventus sia stata la peggior partita della squadra bianconera in questo inizio di stagione: l’infortunio di Douglas Costa dopo pochi minuti aveva privato i bianconeri della principale opzione offensiva, in un momento in cui Maurizio Sarri era ancora in fase di adattamento delle sue idee al materiale tecnico e umano a disposizione, soprattutto per quel che riguarda la ricerca del profilo ideale che fungesse da raccordo tra centrocampo e attacco. Pur dovendo rinunciare alla capacità del brasiliano di muoversi tra le linee e garantire una dimensione creativa e dinamica unica nel suo genere, il tecnico non ha però derogato all’idea di avere un riferimento che facilitasse lo sviluppo della manovra per vie centrali nell’ultimo terzo di campo.
Dopo la partita di Madrid contro l’Atletico – con Cuadrado a completare il tridente con Higuain e Cristiano Ronaldo – la scelta di Sarri, per certi versi obbligata, è stata quella di puntare su Aaron Ramsey come vertice alto di un 4-3-1-2. I 195 minuti (sui 270 disponibili) disputati dal gallese nella settimana del trittico Verona-Brescia-Spal, hanno un significato chiaro: Sarri ha cercato di far recuperare il ritmo partita all’ex Arsenal, ma soprattutto era alla ricerca di una soluzione efficace e rapida ai problemi di risalita del campo emersi al Franchi. Al di là del gol del pareggio contro i veronesi, l’impatto di Ramsey ha portato dei benefici immediati: la brillantezza dimostrata dal gallese nel muoversi nello spazio si è tradotta rapidamente in quella velocità di piede e di pensiero che difettava all’ultima Juventus allegriana. Grazie al suo essere potenzialmente almeno due passaggi avanti agli altri, Ramsey è in grado di farsi trovare sempre al posto giusto nel momento giusto quando si tratta di ricevere il pallone; la sua tecnica di base, in termini di primo controllo orientato e capacità di giocare ad uno, massimo due tocchi, poi fa il resto, soprattutto quando è in grado di dialogare con giocatori che parlano la sua stessa lingua. E, anche in questo caso, il nome non poteva che essere uno: quello di Paulo Dybala.
Da questo punto di vista la gara contro il Brescia è stata paradigmatica. Sotto di un gol dopo appena quattro minuti, la Juventus è riuscita, con relativa facilità, a venire a capo di una sfida tatticamente e tecnicamente complessa. Nel momento in cui Ramsey e Dybala hanno aumentato la frequenza e la velocità degli scambi ravvicinati palla a terra, intendendosi a meraviglia anche per quel che riguarda la lettura della posizione da occupare di volta in volta, il risultato è girato. Quando Dybala si abbassava per ricevere spalle alla porta, Ramsey attaccava il corridoio centrale alle sue spalle; quando, invece, l’argentino si portava sul prediletto centro-destra per poi tentare il rientro sul piede forte, il gallese era il suo omologo sul centro-sinistra, in una sorta di 4-3-2-1 che ha spesso mandato fuori giri le linee di pressione degli avversari. Queste dinamiche hanno portato notevoli benefici anche per quel che riguarda la costruzione bassa: contro il Brescia, Pjanic ha toccato il pallone 124 volte, dando al suo gioco una nuova e più efficace dimensione verticale – 115 passaggi tentati e 108 riusciti (94% di precisione, record del campionato), di cui il 37,4% in avanti: «Siamo migliorati molto dal punto di vista del palleggio, abbiamo controllato meglio la partita, dobbiamo perfezionare la fase difensiva che con il 4-3-1-2 non è semplice» ha dichiarato Sarri nel post partita. «Ho visto passi in avanti nella capacità di palleggiare e nelle occasioni create. In questo momento abbiamo problemi con gli esterni e abbiamo tanti centrocampisti offensivi. Quindi mi sembrava logico andare a sfruttare le risorse che abbiamo in questo momento. E Ramsey è il più adatto».
Dybala esce a ricevere palla spalle alla porta, Ramsey occupa lo spazio allo sue spalle e con il tocco di prima elude la pressione bresciana, permettendo al numero 10 di avere una linea di passaggio pulita per premiare il movimento di Higuain alle spalle della linea difensiva. Il fuorigioco del Pipita non toglie nulla alla pulizia in fase di rifinitura che sta caratterizzando questa fase della Juve di Sarri
A proposito di Pjanic: il bosniaco è stato tra i primi a beneficiare del nuovo sistema di gioco, fugando tutti i dubbi e le perplessità estive circa la sua capacità di interpretare in un certo modo il ruolo di vertice basso del centrocampo. E la spiegazione sta proprio nella connessione stabilita con l’estremo opposto del rombo: «Con Allegri era un modo completamente diverso di giocare», ha spiegato Pjanic, «chiedeva di cercare spesso i nostri esterni alti, ora invece devo cercare di più la verticalizzazione perché ho tanti giocatori che davanti a me si muovono bene tra le linee Nelle ultime partite ho cercato più verticalizzazioni, ma dipende tutto da quello che mi chiede l’allenatore». E, cioè, toccare quei famosi “150 palloni a partita” che da un certo punto di vista sono un dettaglio ben più importante e vistoso delle sue già note capacità balistiche, che hanno fruttato sei punti nelle ultime due gare di Serie A e che fanno di Pjanic il quarto giocatore (dopo Messi, Cristiano Ronaldo e Ibrahimovic) dei top-5 campionati europei per numero di gol da fuori area dalla stagione 2007/2008.
Undici degli ultimi dodici gol di Miralem Pjanic in Serie A sono arrivati da fuori area: è il centrocampista che dal 2016/2017 ne ha totalizzati di più nel nostro campionato
Non mancano, tuttavia, le criticità sulle quali Sarri dovrà lavorare nel medio-lungo periodo e che riguardano soprattutto la fase di non possesso. Alcune difficoltà sono emerse nel primo tempo della partita contro il Bayer Leverkusen: a dispetto del vantaggio siglato da Higuain, i bianconeri sono sembrati in balìa del palleggio tedesco, soprattutto per quel che riguarda le coperture preventive, il pressing alto e la riaggressione. E questo al netto del vantaggio, per ora assolutamente teorico, derivante dall’avere un uomo – il trequartista, appunto – da utilizzare per “sporcare” la ricezione del centrocampista centrale avversario e permettere alle due mezzali di occuparsi esclusivamente delle linee di passaggio laterali.
Una circostanza che è poi il motivo per cui l’ex allenatore di Napoli e Chelsea sta puntando con decisione su Khedira e Matuidi, riscopertosi fondamentale dopo un precampionato da “precario di lusso” destinato alla cessione o quantomeno alla panchina: le capacità aerobiche e fisiche del francese, infatti, ben si bilanciano con quelle di lettura di Khedira, concedendo a Sarri il lusso di potersi permettere una prima fase di partita in cui la pressione non venga portata nei modi e nei tempi corretti senza che l’equilibrio generale della squadra ne risenta. Una volta assestate le distanze tra i reparti, la Juventus prende a guadagnare campo, anche se Ramsey e/o Bernardeschi (tra i meno brillanti in questo inizio di stagione) non sono apparsi particolarmente abili a trovare i tempi di pressione giusti sulla trequarti avversaria, così da non lasciare a Pjanic una fetta di campo troppo ampia da coprire.
In questo senso la partita con l’Inter rappresenterà un test importante, forse il più probante in assoluto dell’avvio di stagione: questa prima versione della Juventus di Sarri, oltre ad andare in difficoltà contro squadre fisicamente intense – problema parzialmente risolto già nella serata del Wanda Metropolitano attraverso uno sviluppo fluido e armonico della manovra – ha dimostrato di soffrire le squadre che restringono il campo in fase di prima costruzione per poi ricercare l’ampiezza sugli esterni, rendendo difficile anche la risalita avversaria attraverso le catene laterali. Praticamente l’identikit dell’Inter di Antonio Conte, che giocando così ha sfiorato l’impresa al Camp Nou, finendo per cedere solo nel momento in cui ha lasciato campo a un avversario tecnicamente superiore – un copione che potrebbe ripetersi anche nel derby d’Italia.
Si tratta, comunque, di una questione di compromessi tra vantaggi accumulati e rischi concessi. Oggi la Juventus si sta (ri)costruendo un’identità offensiva riconosciuta e riconoscibile attraverso alcuni elementi caratterizzanti del calcio di Sarri: il 45% del possesso medio dei bianconeri avviene non a caso nella metà campo avversaria, mentre la linea difensiva staziona stabilmente ai 40-50 metri dalla porta, e sta cercando di privilegiare la ricerca dell’anticipo alle lunghe fasi di difesa posizionale. In assenza di Douglas Costa, l’unico giocatore in grado di garantire contestualmente asimmetria in ampiezza e un appoggio per costruire la manovra (anche) sull’esterno, Sarri ha scelto di rinforzare le connessioni per vie centrali tra i suoi giocatori più tecnici. Finora, la scelta sembra aver pagato.