Giornalisti senza sport: Jonathan Wilson

La vita senza calcio, e il calcio senza partite, secondo alcuni dei migliori giornalisti sportivi nazionali e stranieri.

Jonathan Wilson, classe 1976, è uno dei migliori giornalisti inglesi, quando si parla di calcio ma non solo di calcio. Inverting the Pyramid (in italiano La piramide rovesciata, Libreria dello sport) è una specie di Bibbia dell’evoluzione delle tattiche e degli uomini che le hanno inventate e cambiate nel corso di un secolo, mentre The Outsider (in italiano: Il portiere, Isbn edizioni) è una storia tattica, culturale e antropologica del ruolo più strano e affascinante del gioco, da sempre. Oggi scrive principalmente sul Guardian, ma lo trovate anche su The Blizzard, il trimestrale che ha fondato nel 2011, in cui il calcio viene trattato con gli strumenti più eruditi. Continuiamo con lui una serie di brevi interviste (qui la prima, con Paolo Condò) per affrontare il tema di come la pandemia da Covid-19 si sta riflettendo sullo sport e sul mestiere di giornalista, oltre che sulla vita da “semplice” appassionato di calcio e non solo.

Ⓤ Jonathan, quanto è diversa la tua routine senza partite?

Per alcuni versi lo è. Da giornalista, le tue settimane sono normalmente scandite dalle partite, io vado allo stadio più o meno due volte alla settimana, quindi questo è il cambiamento più grande: guardi alla tua agenda e dici ok martedì devo andare a Manchester per questa partita, e domenica a Londra a vedere il Tottenham. E hai poi la Champions League il mercoledì, e nel weekend apri il computer per seguire i risultati delle partite che non stai vedendo, quindi in quel senso è molto diverso. Ma in un altro senso è abbastanza simile a prima: molto del lavoro che faccio è storico, quindi implica leggere, e quello lo faccio ancora. Vivo da solo, per cui non parlare con nessuno per tre giorni per molto tempo non è una cosa che mi ha mai toccato più di tanto. La differenza è che non sono tre giorni, ma sono ormai tre settimane.

Ⓤ Forse questo stop, così inedito, ci farà riscoprire la mancanza per la parte più ludica del gioco, più che quella legata allo show. Alla fine quello che vorremmo rivedere subito è il gioco, l’azione più semplice.

La mia opinione su questo cambia di minuto in minuto. Ci sono minuti in cui penso: non mi manca davvero il calcio. Alla fine sono contento di stare alla scrivania e scrivere di squadre del 1930 o del Milan degli anni Ottanta. Ci sono giorni in cui mi dico ok, quando il calcio riprenderà non voglio esserne così ossessionato, ho visto un mondo senza sport e alla fine non è così male. E poi ci sono momenti in cui penso: quello che vorrei più di ogni altra cosa, adesso, è il profumo di un hamburger, l’odore della merda dei cavalli, del sudore delle persone ammassate allo stadio. Voglio essere nella sala stampa, voglio vedere gli altri giornalisti… e non so davvero come andrà e quando tornerà tutto, ma penso che mi commuoverò, alle prime partite. E naturalmente ci saranno i minuti di silenzio per le vittime, ma per le persone il solo fatto di venire coinvolte nuovamente in queste attività di massa sarà un grande conforto. E penso che questo sarà un momento simbolico enormemente importante.

Ⓤ Per ora ci rimane internet, e i social network. È sempre stato deludente, in un certo senso, guardare gli account dei giocatori, perché perdono lo status di eroi che hanno in campo e si mostrano come ragazzi con case arredate male e poco altro. In questo periodo hai visto qualcuno che invece sta tenendo un comportamento particolarmente interessante?

Jordan Henderson è straordinario: ha organizzato un fondo per concentrare le donazioni degli altri calciatori, in un certo senso ha mostrato l’umanità del calcio. Ma ci sono anche cose più piccole. La prendo larga: Matt Hancock, il Segretario di Stato per la salute, è probabilmente l’uomo più deludente di tutto il governo. È stato molto criticato di recente, per il fatto che ci fosse così poca attrezzatura per il servizio sanitario, nonostante due mesi per prepararsi: mascherine, ventilatori. E nel mezzo di una conferenza stampa ha deciso di puntare il dito sul calcio, dicendo: perché il calcio non sta facendo la sua parte? E così è facile: la gente pensa che i calciatori guadagnino un sacco di soldi per non fare molto, alla fine. Ma naturalmente Hancock non ha puntato il dito verso le banche, verso i milionari che supportano, finanziariamente, il Partito conservatore: attacca i calciatori. Perché non ci vuole molto, e perché sono famosi. È un modo scorretto di distrarre l’attenzione dalle colpe del governo. Il giorno dopo, qualcuno ha pubblicato una foto dal sito JustGiving, una charity online per donare fondi anche durante l’emergenza Coronavirus, e in questa pagina c’erano i nomi di Rebekah Vardy, la moglie di Jamie, con una donazione di diecimila sterline a un ospedale. C’era Fuchs, anche, con una somma di un certo tipo… E c’è anche Aaron Ramsey, che ha donato 20mila sterline al Nhs in Galles. Ma l’hanno fatto senza annunci, senza pubblicità. E io penso che questa cosa succeda piuttosto spesso, nel calcio: che i giocatori, senza pubblicizzarsi troppo, abbiano dato grosse somme di denaro.

Ⓤ Molti media si sono rivolti al calcio di una volta per coprire le pagine solitamente dedicate all’attualità. Cosa pensi possa venire dalla riscoperta del calcio di una volta? Forse pensare in un modo più approfondito a  qualcosa che abbiamo dimenticato troppo presto?

La storia del calcio è sempre stato il mio campo, ed è abbastanza strano che il resto del mondo all’improvviso si sia messo a fare quello che io ho fatto per anni. È strano vedere un sacco di podcast e siti che all’improvviso dicono ok, sabato alle sei ci guarderemo la finale di FA Cup del 1970. Poi guardi il traffico di questi programmi e noti che un sacco di gente li segue. Penso che ci sia intanto un lato positivo nelle persone che guardano delle partite insieme: si crea per quanto possibile un senso di comunità. Ma è anche possibile che così questa generazione forse avrà più conoscenza del calcio di una volta rispetto alle precedenti. E certo questo li porterà a una certa intimità con giocatori che sono stati poi dimenticati, forse realizzeranno quanto erano forti certi altri giocatori… Se guardi per intero Inghilterra-Argentina del 1986, per parlare di una partita famosa, ti accorgi di quanto forte fosse Maradona. il Guardian ha appena fatto un “watch along” con quella partita, e penso che sia stato molto utile. La tendenza è di ricordarsi solo di due cose: il gol di mano di Maraona e quello bellissimo poco dopo. Ma quando guardi l’intera partita realizzi che l’Argentina era nettamente superiore all’Inghilterra. Non c’era storia. E capisci quanto fisica fosse l’Inghilterra: nel calcio di oggi probabilmente avrebbe avuto tre giocatori espulsi. Quindi penso che le persone possano avere accesso a un contesto più ampio che può essere molto di aiuto, anche riguardo al calcio attuale.