Al minuto 83′ di Juventus-Atlético Madrid, un errore in appoggio su palla in uscita di Bernardeschi regala a João Felix l’opportunità di servire Ángel Correa solo davanti a Szczesny: l’assist di esterno destro del fantasista portoghese a tagliare fuori i due centrali bianconeri è sontuoso, il controllo dell’argentino non perfetto ma comunque sufficiente a garantirgli la possibilità di calciare quasi a botta sicura, con il portiere già a terra in uscita bassa a chiudergli la conclusione sul primo palo.
Al momento del tocco di João Felix, Matthjs de Ligt dà le spalle a Correa: ha commesso l’errore di farsi attrarre dal pallone, perdendosi il taglio dell’uomo dal lato debole. E quando il numero 10 dell’Atlético Madrid stoppa, tra lui e l’olandese ci sono almeno cinque metri. Per questo l’intervento successivo è impressionante, persino brutale nella sua componente fisica: De Ligt compare all’improvviso nel campo visivo, rimonta Correa a una velocità impensabile per uno delle sue dimensioni e porta un tackle perfetto per potenza, tempismo e pulizia d’esecuzione, impattando la sfera prima che Correa riesca a calciare verso la porta.
Il boato dell’Allianz Stadium, dopo un iniziale momento di incredulità, è superiore a quello che aveva salutato il gol di Dybala alla fine del primo tempo. I compagni si avvicinano per congratularsi: Bonucci gli dà il “cinque”, Pjanic una pacca sulla spalla, Szczesny lo abbraccia e gli sussurra qualcosa all’orecchio. De Ligt reagisce come se nulla fosse successo e invita tutti a mantenere le posizioni sul corner successivo.
La prospettiva frontale restituisce l’irreale capacità di reazione alla base del tackle di De Ligt: a Correa risulta fatale l’attimo in cui il pallone si alza leggermente staccandosi dal suo piede
Cercando su YouTube è possibile imbattersi in questo video del 2015. Matthjs de Ligt ha 15 anni e, nell’Under-17 dell’Ajax, gioca davanti alla difesa o come mezzala di costruzione, perché gli allenatori vogliono migliorarne le qualità tecniche e di lettura delle singole situazioni. Le immagini mostrano un calciatore già fatto e finito, con una struttura fisica simile a quella attuale, che domina le partite quasi per inerzia, tanto da potersi permettere giocate che non sarebbero proprie del suo ruolo originario o comunque di un giocatore così grosso. Uno che già allora veicolava quella stessa sensazione di superiorità tecnica, fisica e psicologica percepita nell’intervento su Correa e, più in generale, nella sua interpretazione del ruolo all’olandese: Matthjs de Ligt è un centrale aggressivo, naturalmente portato a difendere in avanti, avanzare palla al piede e a esplorare soluzioni rischiose in fase di prima costruzione.
Non è per questo, però, che può essere considerato l’acquisto più importante della storia recente della Juventus. O, almeno, non solo per questo. È una questione filosofica, culturale, che si pone in momento storico in cui l’epica guerriera della BBC sta per esaurirsi e l’evoluzione del calcio ha imposto un cambiamento nella visione della difesa in senso stretto, passando da una concezione statica a una più dinamica. E se all’inizio si discuteva su chi avesse scelto chi tra la Juventus e De Ligt, oggi è evidente che si sia trattato di un “matrimonio di convenienza” in cui gli interessi delle parti in causa hanno finito per convergere.
Dal punto di vista di De Ligt la Juventus può essere considerata una tappa naturale, quasi obbligata, del suo percorso di crescita. L’olandese è un autentico studioso del gioco, conscio che la sua futura dimensione da “difensore totale” passa anche dal necessario apprendistato in contesti differenti dalla comfort zone del sistema Ajax: «Bonucci e Chiellini sono due difensori con tanta esperienza e provo a imparare da loro. Ogni giorno mi impegno per capire dove migliorare», ha dichiarato recentemente. Questa consapevolezza dei propri limiti, pur se in contrasto con la narrazione da predestinato che lo circonda, è ciò che lo ha reso pronto a giocare fin da subito ad altissimo livello. De Ligt è forte, anzi fortissimo, ma è anche disposto ad imparare, è ricettivo agli stimoli che provengono dall’esperienza sul campo, sua ma anche degli altri.
Ad esempio, una delle criticità maggiori riguarda la sua capacità di temporeggiare quando l’avversario è spalle alla porta: De Ligt è un difensore che, nella sua modernità, pur essendo in grado di tenere l’uno contro uno sia nel breve che sull’allungo grazie alla sua reattività fuori scala, cerca di giocare sempre sull’anticipo, aggredendo non l’uomo ma lo spazio che occuperà, in modo da massimizzare l’efficacia dell’intervento. Una tattica ambiziosa, in cui il coefficiente di rischio dipende dalla contro-intuitività dell’avversario, che può portare a un errore di concetto dettato dall’istintività, dall’irruenza e dalla consapevolezza di avere i mezzi fisici per poter vincere ogni duello individuale. Elementi che hanno segnato la prima fase della carriera anche di Bonucci e Chiellini e che oggi fanno parte del processo di maturazione di De Ligt.
Rispetto ai suoi attuali compagni di reparto, però, De Ligt partiva da presupposti – culturali e tattici – molto diversi. Simon Kuper ha scritto di lui che «è cresciuto sulla linea di centrocampo, il posto dove Sarri vuole i suoi centrali». Il punto è proprio questo: guardando una delle tante compilation di “defensive skills” che girano su Youtube, si può notare la differenza di approccio tra De Ligt, Bonucci e Chiellini. Quando l’olandese si alza per cercare l’anticipo sul diretto avversario, l’altro centrale si trova dieci metri dietro, di fatto slega l’intera catena difensiva, è incapace di scegliere a priori se assecondare l’atavico istinto di scappare verso la porta o accettare l’idea di accorciare a metà campo per favorire una fase di pressione più efficace e coerente con le caratteristiche del nuovo leader. Di qui la necessità, da parte di De Ligt, di imparare velocemente i dettami della difesa posizionale: oggi l’ex capitano dell’Ajax è un giocatore più riflessivo, che ha rimodulato le proprie tendenze sulla base di un sistema per lui inedito e che difende come sa (e come è stato abituato) soltanto quando è certo che questo non comporti uno scompenso di spazio alle sue spalle.
In questo “best of” pubblicato sul canale ufficiale della Juventus, a un certo punto la figura di De Ligt si sovrappone a quella di Bonucci, finendo quasi per oscurarla: un effetto non si sa quanto voluto ma che ben simboleggia un passaggio di consegne ormai imminente
Il paradosso si esprime anche nei tackle e nei contrasti, due fondamentali in cui De Ligt esalta e si esalta ma che considera «l’ultima opzione» perché «la cosa più importante è essere al posto giusto nel momento giusto. Virgil van Dijk è uno dei difensori più forti del mondo perché non ne fa quasi mai». L’ex Ajax ha dovuto modificare il suo approccio anche in quest’ambito, accettando di dover portare più tackle e più contrasti rispetto al recente passato per rimediare agli errori di lettura (suoi e degli altri) nelle marcature preventive, e per ovviare alle difficoltà di mantenere una squadra corta e con le giuste distanze tra i reparti.
Eppure Matthjs de Ligt è riuscito ugualmente ad andare oltre sé stesso, dimostrandosi molto più forte di quanto fosse lecito aspettarsi, non solo per qualità e continuità delle prestazioni – non è stato mai realmente insufficiente da quel punto di vista, se non nelle gare contro Napoli e Fiorentina – ma per la sua capacità di emergere in un contesto che avrebbe potuto finire per penalizzarlo. Per questo immaginare oggi una Juventus senza De Ligt è impensabile allo stesso modo in cui lo era immaginarla senza Barzagli, Bonucci e Chiellini appena qualche anno fa. Il fatto che sia riuscito a diventare così indispensabile in pochissimo tempo è la miglior dimostrazione possibile di una forza, di un’unicità e di un talento che prescindono dal sistema in cui si esprime. Come solo i più grandi sanno fare.