Manca meno di una settimana dall’inizio del campionato, e non si può ancora parlare della Juventus di Andrea Pirlo. È una cosa normale, che rientra nelle normali logiche relative alle società che cambiano allenatore tra una stagione e l’altra – soprattutto in un’estate come questa. Però va considerato che questa condizione accompagnerà la squadra bianconera e il suo tecnico per buona parte dell’annata 2020/2021, ed è una diretta conseguenza della svolta emotiva, prima ancora che tecnica, che Andrea Agnelli ha voluto imprimere a cavallo delle due stagioni segnate dalle tempistiche compresse dal Covid. La scelta di affidare la panchina di una delle prime dieci squadre d’Europa a un esordiente assoluto rende difficile analizzare le prospettive di quello che, nei fatti, sarà un progetto che si farà scoprire e si comporrà strada facendo, giorno dopo giorno. E i cui contorni, al momento, possono essere solo intuiti attraverso le dichiarazioni in conferenza stampa e la naturale credibilità che sembra caratterizzare fin da subito il rapporto tra Pirlo e i giocatori.
Quel che è certo è che Andrea Pirlo si trova in una posizione non comodissima: deve esplorare i limiti suoi e della squadra e, contestualmente, deve costruire nel più breve tempo possibile un’identità di gioco moderna, riconoscibile, “europea”, che permetta alla Juventus di porsi sullo stesso piano di Bayern Monaco, Real, Barcellona, Liverpool, City, Psg. Vale a dire, tutto ciò che era stato richiesto a suo tempo a Maurizio Sarri. Pirlo è accomunato al suo predecessore per l’etichetta di “allenatore di sistema”, ma ora anche dovrà verificare l’aderenza tra la volontà di proporre un certo tipo di calcio e le caratteristiche della rosa a disposizione. Ciò che al momento sembra fare la differenza tra i due riguarda l’empatia, l’approccio, il dialogo con calciatori di alto livello.
Se ne facciamo una questione di campo, ovviamente in attesa di test più probanti e significativi, l’amichevole contro il Novara – così come quella con contro l’Under-23 – ha confermato che Pirlo vuole una squadra corta, aggressiva, verticale, che implementi i principi del gioco di posizione soprattutto per quello che riguarda l’occupazione preventiva degli spazi alle spalle della linea di pressione avversaria, la creazione di una superiorità numerica e posizionale attraverso la ricerca dell’uomo libero tra le linee e un migliore sfruttamento del terreno di gioco in ampiezza. Da questo punto di vista, la novità più interessante riguarda la fase di prima costruzione: Pirlo intende affidarla ai due centrali e al terzino che scala, giocatori che quindi andrebbero a determinare un sistema “liquido”; in pratica la Juventus potrebbe e vorrebbe «difendere a quattro e impostare a tre», in modo da rendere più fluida e veloce l’uscita palla. Contro il Novara questo compito è toccato sia a Danilo che ad Alex Sandro, con l’ampiezza garantita da Cuadrado – quinto di centrocampo o terzo d’attacco a seconda delle fasi di gara – e Rabiot; Ramsey tendeva ad assecondare i suoi istinti da trequartista, agendo alle spalle dell’inedita coppia formata da Ronaldo e Kulusevski, oppure associandosi con l’ex Parma negli spazi liberati dai movimenti profondità di Ronaldo.
Volendo parlare di numeri e moduli, è plausibile immaginare che, almeno all’inizio, la Juventus punterà su un 3-4-3 “spurio”, in cui al terzino bloccato in fase di avvio della manovra venga opposto sull’altro lato un esterno in grado di dare ampiezza in entrambe le fasi, affidando il compito di allargare e restringere il campo a Cuadrado, Bernardeschi o Douglas Costa; Bentancur e Arthur, oltre a pensare e giocare in verticale, saranno gli elementi che dovranno dare una nuova dimensione alla fase di pressing e riaggressione, a condizione di essere assecondati da un atteggiamento più coraggioso e meno conservativo da parte della linea difensiva: da come e quanto Bonucci e Chiellini riusciranno a rimodulare l’istinto a scappare all’indietro dopo il recupero palla da parte degli avversari, dipende gran parte della solidità difensiva dei bianconeri, in attesa del pieno recupero completo di De Ligt e Demiral.
Davanti, poi, Ronaldo dovrà abituarsi a lavorare e spendersi di più per la squadra off the ball: i suoi scatti in profondità ad allungare la difesa avversaria saranno fondamentali per permettere lo sfruttamento (con e senza palla) degli half spaces nell’ultimo terzo da parte di Ramsey e Kulusevski. Tutto questo in attesa di capire quale sarà la collocazione di Dybala in questo sistema, se il mercato porterà in dote il centravanti da affiancare a CR7 e quali sono i calciatori da cui ripartire nell’immediato oltre l’intoccabile portoghese: ad oggi la duttilità di Cuadrado e Alex Sandro, la brillantezza fisica di Rabiot, l’esuberanza di Kulusevski e McKennie e la solidità di Bentancur sembrano essere elementi sufficienti per includere questi giocatori nel primo progetto di “Juve-tipo” allenata da Andrea Pirlo.
Le immagini di Juventus-Novara 5-0
Come detto, però, si tratta di considerazioni preliminari e che contribuiscono solo in parte a chiarire come il lavoro di Pirlo debba necessariamente passare da una prima fase di conoscenza e adattamento al materiale tecnico e umano a sua disposizione. Come accaduto per Sarri, infatti, la volontà di impostare un gioco proattivo e propositivo potrebbe cozzare contro i limiti strutturali di una rosa che non è stata costruita, anzi non è stata pensata, per quel tipo di calcio. Non è solo una questione di età media o di inevitabile logorio fisico in alcuni elementi chiave, piuttosto di continuità filosofica e culturale con quell’idea di cambiamento radicale che si è voluta abbracciare nel momento in cui la scelta per il post Allegri è stata quella di affidarsi a Sarri, un anno fa, e ora a un allenatore (teoricamente) più vicino a Sarri che ad Allegri, almeno per quanto riguarda i principi di gioco. Negli ultimi anni la Juventus ha creduto di poter ovviare alle carenze del collettivo attraverso i singoli, strutturando le campagne acquisti su quelle che Marotta definiva «occasioni di mercato» piuttosto che su una progettualità condivisa con l’allenatore, cui era demandato il compito di mettere tutto assieme ottimizzando le risorse.
La sensazione comune per cui le eliminazioni in Champions League contro Ajax e Lione siano dipese quasi esclusivamente dal non aver saputo sfruttare al massimo le doti realizzative di Cristiano Ronaldo è un cortocircuito: negli ultimi anni, la crescita organica della Juventus è stata vista e raccontata e preparata come conseguenza della crescita del singolo, non viceversa. Una condizione che ha minato un po’ le certezze e le convinzioni della squadra campione d’Italia nel momento in cui era attesa dal salto di qualità definitivo anche in Europa.
Per questo il passaggio da un “gestore” alla Allegri a un allenatore più strettamente “di campo” come Sarri è stato così traumatico. Per questo non si può pensare che Pirlo possa cambiare tutto e subito, potendo contare su una squadra che, ad eccezione di scommesse affascinanti ma rischiose – i già citati Arthur, Kulusevski e McKennie – è rimasta quella che ha chiuso il suo 2019/2020 poco più di un mese fa perdendo contro il Lione. In attesa di quello che succederà sul mercato, è come se il forzato adattamento di Sarri – e tutto ciò che ne è conseguito a livello di risultati e mancanza di fluidità di gioco – a profili non adatti alle sue idee avesse messo la Juventus in condizione di fare finalmente i conti con la necessità di mettere al centro di tutto la funzionalità prima del nome, il collettivo prima del singolo, il compito e le funzioni prima del ruolo. Con tempo e pazienza.
Proprio le due cose mancate a Maurizio Sarri nella stagione del cambiamento che non è arrivato. Le due cose che, nella stagione in cui si presenta al mondo da allenatore, saranno necessarie ad Andrea Pirlo, e alla Juventus nella gestione del rapporto con Pirlo, perché il nuovo allenatore possa costruire una squadra vicina alle sue idee. In attesa di capire quali siano.