Brexit e Covid: il mercato più difficile e povero di sempre in Premier League

Nella sessione invernale sono stati completati solo quattro trasferimenti a titolo definitivo.

Da quasi un anno, ormai, sentiamo dire che la pandemia avrebbe determinato l’inizio di una profonda crisi economica, per il calcio. Da molto più tempo, inoltre, sappiamo che l’effettiva entrata in vigore di Brexit avrebbe reso più complesso il lavoro dei club inglesi sul mercato. Ecco, ora abbiamo la prova che queste prospettive erano assolutamente realistiche: la sessione di trasferimenti in corso è davvero poverissima e poco movimentata, per i club della Premier League. Le cifre sono eloquenti: sono state portate a termine solo quattro operazioni a titolo definitivo, ovvero quelle che hanno coinvolto Robert Snodgrass (passato dal West Ham al WBA), Morgan Sanson (dal Marsiglia all’Aston Villa), Filip Stevanovic (dal Partizan al Manchester City) e Amad Diallo (dall’Atalanta al Manchester United); tutti gli altri affari sono stati conclusi con la formula del prestito, o hanno riguardato calciatori precedentemente svincolati. Anche il bilancio economico chiarisce le differenze: nel mercato invernale 2021 sono stati investiti 52 milioni per acquistare o prendere in prestito giocatori da altre squadre inglesi o straniere, mentre un anno fa si era arrivati a 242 milioni. Nel 2018, la quota fu addirittura di 561 milioni spesi solo a gennaio.

Anche l’ultimo reportage della BBC spiega come i club inglesi stiano vivendo una sessione di mercato profondamente condizionata dalla crisi economica e dai nuovi regolamenti imposti da Brexit. Per quest’ultimo punto, va ricordato che, dal primo gennaio 2021, tutti i giocatori non britannici sono considerati come degli extracomunitari per i club inglesi; per poterli acquistare, dunque, serve che ottengano il GBE (Governing Body Endorsement), praticamente un permesso di lavoro che il Ministero dell’Interno concede sulla base di un sistema a punti basato su diversi fattori esperienziali – tra cui le presenze in Nazionale a livello di prima squadra e giovanili, le presenze di club accumulate, il prestigio del club venditore e altre ancora. Inoltre, il nuovo protocollo prevede che le società inglesi non possano rilevare il cartellino di calciatori non britannici sotto i 18 anni, mentre per gli Under 21 è stato posto un limite fisso di tre atleti acquistabili per ogni sessione di mercato, e di sei per tutta la stagione. Si tratta di un regolamento piuttosto complesso, per non dire disorientante: Les Ferdinand, Director of Football del QPR (club di Championship), ha detto che «non siamo sicuri al 100% di quali siano le nuove normative: Brexit ha tolto molti Paesi stranieri dai nostri radar, ma partivamo già con un budget basso per via della pandemia»; John Print, amministratore delegato della società di consulenza aziendale sportiva Sprint MG, ha spiegato che «Brexit ha reso l’Inghilterra un luogo impraticabile per un giovane calciatore che vuole far progredire la propria carriera. Il numero di atleti europei che soddisfano i nuovi requisiti è decisamente diminuito: in pratica stiamo dicendo ai giocatori che molte opportunità di giocare nel Regno Unito sono svanite. E loro non ne capiscono il motivo».

L’inevitabile conseguenza economica di questi nuovi regolamenti è l’aumento dei prezzi di giocatori britannici, che a sua volta ha contribuito a frenare le trattative. Paul Stretford, agente di Wayne Rooney, ha spiegato che «la maggior difficoltà a essere acquistati da un club inglese non cambierà tanto le cose, in realtà: faccio fatica a pensare che i club di Premier League prenderanno giocatori britannici solo perché sono britannici. Sono convinto che se vuoi giocare per un top club, devi essere in grado di competere con i migliori talenti di tutto il mondo. La conseguenza, però, mi sembra ovvia: i migliori giocatori allevati nelle Academy costeranno molto di più rispetto al passato». In tempi di crisi economica per la pandemia, non è proprio lo scenario migliore per avere un calciomercato ricco e divertente.