Il Milan ha creduto nel processo e ha avuto ragione

Lo scudetto dei rossoneri è la vittoria della progettualità: Maldini e tutta la dirigenza hanno sottolineato il valore della costruzione all'interno del nostro campionato.

Domenica sera, mentre festeggiavo lo scudetto del Milan in scooter con mio padre, siamo passati da piazza Gae Aulenti e lui mi ha fatto notare una cosa: che undici anni fa, l’ultima volta che il Milan aveva vinto il campionato, piazza Gae Aulenti neanche esisteva. Basta questo per capire al volo quanto tempo è passato – e quanto è cambiata la città, e con lei inevitabilmente le vite di tutti noi – prima che il Milan tornasse campione d’Italia. Undici anni in cui è successo parecchio: il gol di Muntari il poker di Berardi non si può pensare di dominare l’Empoli a San Siro l’haka di Milan Carpi Suso Benevento Benevento al ritorno (ancora peggio) il 5-0 di Bergamo. Fino al punto probabilmente più basso degli ultimi 40 anni della storia del club: dopo la cessione di Berlusconi a Yonghong Li nell’aprile 2017, a luglio 2018 la proprietà cinese non versa una rata da 32 milioni di euro per completare un aumento di capitale e il Milan passa nelle mani del fondo statunitense Elliott. Poco più di un anno dopo, il nuovo amministratore delegato Ivan Gazidis dirà: «Abbiamo dovuto salvare il club dal fallimento, quindi dalla caduta in Serie D, come è successo ad altri».

Nel comunicato stampa in cui annuncia di aver preso il controllo del Milan, il fondo Elliott dichiara i suoi obiettivi: «Creare stabilità finanziaria e di gestione, ottenere successi di lungo termine cominciando dalle fondamenta e condurre un modello operativo che rispetti le regole della Uefa sul Financial Fair Play». Praticamente è già tutto qui. Ma facciamo una pausa. Nel frattempo – siamo sempre a luglio 2018 – Paolo Maldini, nel cui cognome sono comprese tutte le parole che compongono la parola Milan, diventa brand ambassador e opinionista di Dazn, la piattaforma di streaming che è appena sbarcata in Italia con i diritti per tre partite di Serie A. Maldini in passato non era stato tenero con le precedenti gestioni rossonere («Hanno distrutto il mio Milan», prima pagina della Gazzetta dello Sport del 17 marzo 2014), ma chi meglio di lui rappresenta le fondamenta citate da Elliott nel comunicato di cui sopra? Così un mese dopo, ad agosto 2018, entra nella dirigenza affiancando Leonardo nell’area tecnica e tanti saluti a Dazn. Maldini sa di rappresentare una garanzia per i tifosi e lo dice esplicitamente. Nella stagione 2018/19 il Milan manca per un punto il ritorno in Champions League, ma a giugno il bilancio evidenzia perdite per 146 milioni di euro, il peggior rosso della storia (fino a quel momento). Tenete a mente questo numero, ci torneremo.

Nell’estate 2019 il Milan investe oltre 100 milioni sul mercato: oltre al riscatto di Kessié dall’Atalanta, arrivano due ottimi prospetti, due talenti da far sbocciare, come Theo Hernández dal Real Madrid e Rafael Leão dal Lille. Completano il carrello Bennacer e Krunić, centrocampisti appena retrocessi in Serie B con l’Empoli e per questo accolti tra qualche risatina dai tifosi delle altre squadre. Kessié, Theo, Leão, Bennacer e Krunic: praticamente metà della formazione che domenica ha battuto 3-0 il Sassuolo e ha vinto il diciannovesimo scudetto. La scelta di affidare questo progetto a Marco Giampaolo, però, si rivela un fallimento, e a inizio ottobre il Milan deve cercare un altro allenatore.

Tra Spalletti, Rudi Garcia, Marcelino e Pioli, nello scetticismo generale, la spunta quest’ultimo. Ora: non mi risulta che Maldini abbia mai spiegato chiaramente perché è stato scelto Pioli, e probabilmente hanno inciso sia la mancata rinuncia di Spalletti al contratto con l’Inter sia la fama di “gestore” che Pioli si portava dietro soprattutto dall’esperienza di Firenze, segnata dalla morte di Astori, ma con il senno di poi non è da escludere che in Pioli – uno degli allenatori più verticali del calcio italiano – sia stata vista, con una lungimiranza da fuoriclasse, la persona perfetta a cui affidare gente come Theo Hernández e Leão. Del resto pochi mesi fa Gazidis ha dichiarato: «Fin dal primo giorno abbiamo avuto […] il campo come priorità, perché il calcio moderno non è solo un sistema di gioco, ma è una mentalità. Velocità, pressing, uno contro uno con le transizioni come elemento fondamentale».

Il Milan ha vinto lo scudetto nonostante non fosse tra le candidate più accreditate alla vittoria: i rossoneri hanno il quarto monte ingaggi del campionato e il quarto valore della rosa (Tiziana Fabi / AFP)

Ma i giovani non bastano, e Maldini lo sa bene. «L’idea di ringiovanire la squadra è condivisa, come è condivisa l’idea che nessuna squadra giovane ha vinto campionati o Champions. Per farlo serve l’inserimento di calciatori d’esperienza», dice a ottobre 2019, poche settimane dopo l’arrivo di Pioli. E qui inizia a nascere il Milan non solo moderno, ma anche vincente. A gennaio arrivano Ibrahimović e Kjær, oltre allo sconosciuto Saelemaekers dall’Anderlecht, e dopo il primo lockdown Gazidis si convince a fare marcia indietro su Ralf Rangnick. C’è un seme che sta germogliando, a Milanello. Le tre sessioni di mercato successive portano tutti giocatori funzionali alla tattica e allo spogliatoio – Tonali e Kalulu nell’estate 2020, Tomori a gennaio 2021, Giroud, Florenzi e il capolavoro Maignan a luglio 2021 – e nel frattempo, dopo sette anni, la squadra torna in Champions League, ottenendo quei 50 milioni di euro che nel calcio di oggi fanno la differenza tra una società di vertice e una in fieri. A giugno 2021 il bilancio chiude con un passivo dimezzato rispetto ai 194 milioni dell’anno precedente (anche a causa del Covid): -96,4 milioni.

Alla fine della scorsa stagione scrivevamo che nel 2021/22 il Milan avrebbe potuto al massimo lottare per confermare la Champions League (anche se aggiungevamo, dopo una virgola carica di speranza: «Pur consapevoli che un anno di esperienza internazionale in più, un mercato intelligente e i numerosi cambi sulle panchine delle altre big potrebbero regalare sorprese»), e ancora un mese fa il presidente Scaroni predicava realismo: «Chi vincerà lo scudetto? Quando mi fanno questa domanda, rispondo da uomo di azienda: noi nel budget abbiamo messo di arrivare quarti, quindi tutto quello che verrà in più sarà assolutamente meraviglioso». Il Milan aveva il quinto monte ingaggi del campionato e il quarto valore della rosa secondo Transfermarkt.

Invece vincendo lo scudetto al primo anno dal ritorno in Champions League ha fatto anche meglio dell’Inter, che ha vissuto una parabola di riscatto simile, ma più lenta: al quarto posto all’ultima giornata della stagione 2017/18 sono seguiti un’altra qualificazione in Champions in extremis nel 2018/19, il secondo posto del 2019/20 e il campionato vinto con Conte nel 2020/21, al terzo anno consecutivo nell’Europa che conta. Il Milan ha bruciato le tappe. L’unico o uno dei pochi a credere nei rossoneri era ancora una volta Paolo Maldini, che nel dicembre 2019 diceva: «Per cambiare le cose devi fare un programma a media scadenza. Ma bisogna avere l’ambizione di prendere il treno che passa e accelerare. Altrimenti non avremmo vinto lo scudetto con Zaccheroni e almeno un paio di Champions. Dovremo avere la prontezza di saltare sul treno, perché poi lassù si sta comodi e all’improvviso ti riscopri al livello degli altri, se non meglio. Quindi noi lavoriamo per mettere le fondamenta, ma siamo pronti a fare un bel balzo».

Oggi il Milan va verso un ulteriore dimezzamento delle perdite in bilancio (significherebbe un rosso di circa 40/50 milioni di euro: ricordate i -146 milioni record del 2019? Nel 2021 Inter e Juve hanno scavalcato quota -200), un aumento dei ricavi (il contratto con Puma sarà rivisto al rialzo e nel solo 2021 sono entrati 21 nuovi sponsor), il progetto di uno stadio di proprietà e la cessione a un altro fondo, gli americani di RedBird, per 1,3 miliardi di euro. Una cifra che solo cinque anni fa sembrava fantascienza. Soprattutto, domenica il Milan ha vinto lo scudetto, e per molte persone lunedì è stata una giornata migliore.