La Formula Uno è tornata giovane e bella

Macchine più veloci, nuove strategie social e l'impatto di Drive to Survive: è il rinascimento della F1?

All’ultima curva del Gp di Abu Dhabi, lo scorso 12 dicembre, davanti alla tv c’erano tutti. C’era anche chi, come me, non aveva mai seguito assiduamente la Formula Uno, chi prima la vedeva come una cosa rumorosa, caotica, noiosa: stereotipi costruiti nel tempo, etichette che storicamente accompagnano l’automobilismo. Con quel campionato del mondo, però, qualcosa è cambiato. E la gara di Abu Dhabi è stato il coronamento di un processo di cesura netta con il passato, che ha investito ogni aspetto della Formula Uno: un universo che si è riscoperto incerto e quindi spettacolare, dentro e fuori dalla pista, che è riuscito a reinventarsi, uscendo dal circolo elitario in cui si era rinchiuso. I numeri non mentono: i telespettatori che hanno seguito l’ultima gara del 2021 sono stati 108,7 milioni, quasi il 30% in più rispetto alla media dell’anno precedente. Numeri record che non si registravano da anni. Merito dei piloti, di un duello – quello tra Lewis Hamilton e Max Verstappen –  che si è deciso all’ultima gara, anzi all’ultima curva. Questa rinascita, però, è anche il frutto di una strategia di comunicazione che ha rivitalizzato la Formula Uno, rendendola un prodotto appetibile anche per un pubblico giovane. E proprio qui sta la grande discontinuità con il passato recente: ora il 62% dei nuovi appassionati di Formula Uno ha meno di 35 anni, mentre gli under 25 superano il 14%, una percentuale che è la seconda più alta tra tutti i campionati sportivi mondiali, dopo l’NBA. Ma come si è arrivati a questo punto?

Bernie Ecclestone è stato il primo a trasformare un evento sportivo in una struttura economica redditizia. Boss del Circus per oltre 40 anni, Ecclestone voleva rendere la Formula Uno un prodotto dichiaratamente elitario, di sangue blu. Ma la sua strategia, alla prova del tempo, si è dimostrata miope. Il calo di ascolti, costante e progressivo, anno dopo anno, è stato globale e generalizzato, e ha investito persino un Paese rosso Ferrari come l’Italia. Dopo i primi anni Duemila e l’entusiasmo per i cinque titoli vinti da Michael Schumacher, l’inizio del regno di Lewis Hamilton – che ha conquistato sei mondiali in sette anni – e il calo parallelo della Ferrari hanno fatto perdere infatti oltre tre milioni di spettatori solo nel nostro Paese. Una cifra che, se allargata su scala globale, ha costretto gli organi costitutivi della Formula Uno a una riflessione.

Il primo passo è stato quello di investire nelle innovazioni tecnologiche che incidono sulla progettazione e la costruzione delle macchine – aspetti meccanici che, con il passare degli anni, sono diventati dominanti. Le auto si sono evolute, modernizzate, ridimensionando così il ruolo dei piloti. I risultati di Hamilton, Leclerc o Verstappen sono legati più alla competitività della macchina che alla loro abilità, e questo ha limitato un po’ il romanticismo dei grandi duelli in pista, che si sono trasformati in una lotta tra scuderie, piuttosto che tra piloti. E che hanno fatto nascere il mito dei Gran Premi “noiosi”. Per rispondere a questa accusa, la risposta è stata sempre e solo una, individuata in maniera unanime: aumentare il numero di sorpassi. Già nel 2011, esattamente per questo motivo, era stato introdotto il Drag Reduction System (DRS), ovvero un dispositivo che si attiva quando c’è meno di un secondo di distanza tra due macchine, e che riduce la resistenza aerodinamica, favorendo i sorpassi. Quest’anno la FIA è andata ancora oltre: è entrato in vigore un nuovo regolamento che ha permesso alle scuderie di progettare una macchina che resistesse alla cosiddetta “aria sporca”, cioè un flusso d’aria turbolento generato dal passaggio di un’altra macchina.

Charles Leclerc è alla Ferrari dal 2019; nelle prime tre stagioni, ha conquistato due vittorie e 13 podi complessivi in 60 gran premi (Clive Mason/Getty Images)

A cambiare, nel corso degli anni, non è stata soltanto la struttura meccanica delle automobili. La Formula Uno ha dovuto trovare un modo diverso di raccontarsi. L’anno zero, da questo punto di vista, è stato il 2017, ovvero quando Ecclestone ha ceduto i diritti commerciali del Circus a Chase Carey e alla sua Liberty Media. La società di comunicazione statunitense ha reso chiare le proprie priorità fin dal primo momento: «Bisogna creare un grande spettacolo in pista e coinvolgere i tifosi. I piloti sono stelle: devono essere valorizzati sulle varie piattaforme, senza che si perda il Dna di questo sport, cioè le qualità atletiche che si sposano alla tecnologia e alle capacità degli ingegneri. La F1 deve cambiare mentalità». Carey ha spostato il target. L’obiettivo della Formula Uno è diventato avvicinare la fascia più giovane di pubblico, ovvero quella che fino a quel momento è stata la più difficile da intercettare: «I giovani sono cruciali: li voglio coinvolti sia a livello reale sia sul fronte digitale». Ed è proprio qui che si è sviluppato il cambio di strategia di Liberty Media, ora registrato come Formula One Group (FOG): invece di combattere con social network, videogiochi e piattaforme streaming, perché non sfruttarne il potere? Dopotutto il mondo contemporaneo è regolato da algoritmi e social network, e quindi il successo di un evento sportivo non può essere legato solo a chi paga centinaia di euro – nel caso del weekend di Formula Uno – per assistere dal vivo alla gara, ai ricchi che prenotano il proprio posto in balconata, piuttosto deve tener conto di mezzi di fruizione nuovi, quelli che devono garantire un flusso costante di spettacolo e di intrattenimento, quindi contenuti che esulano dai tre giorni di gara.

Fino al 2016 i social erano sottovalutati, quasi snobbati, dalla classe dirigente della Formula Uno. E il motivo stava nella fascia d’età molto alta (35-40 anni) che ruotava intorno all’automobilismo. Ora le cose sono cambiate: la Formula Uno è presente su tutte le piattaforme e produce contenuti che variano a seconda delle caratteristiche costitutive dei diversi social. Su Facebook, dove più della metà degli utenti ha almeno trent’anni, ci sono video dei grandi Gran Premi del passato e articoli di approfondimento; Twitter (7,8 milioni di follower) ha una natura istantanea, fatta di trend volubili, e allora l’account ufficiale F1 si occupa, durante il weekend di gara, di fornire aggiornamenti costanti; la pagina Instagram conta 19,2 milioni di follower, e i suoi contenuti sono più rapidi e spettacolari, così come il profilo su TikTok, il social preferito delle nuove generazioni, che ha 4 milioni di utenti e una media di circa 700mila visualizzazioni. Qui gli spezzoni più spettacolari della gara si alternano a video divertenti dei piloti, che partecipano anche a challenge pensate apposta per diventare virali e coinvolgere gli utenti, in modo che si avvicinino – anche solo idealmente – ai loro idoli. Anche questo è un aspetto centrale, nella rinascita del franchise Formula Uno: non è solo questione di rivalità, di sfide come Hamilton-Verstappen dello scorso anno o come quella tra l’olandese e Leclerc in questa stagione, ma anche di creare le condizioni perché diventino davvero dei modelli, delle celebrità. In questo senso, una delle operazioni più interessanti è Beyond The Grid, il podcast ufficiale F1, disponibile su Spotify e YouTube, in cui i piloti si raccontano senza filtri, tra ambizioni in pista e vita privata. Tutto, insomma, vuole creare un’esperienza quotidiana e immersiva, pensata per i giovani. Il brand Formula Uno, con questa strategia, ha raggiunto oltre 35 milioni di follower, con più di 800 milioni di interazioni annue. Tra il 2019 e il 2020 l’incremento è stato addirittura del 99%, un aumento che ha reso la Formula Uno l’evento sportivo più in crescita sui social.

Anche Netflix, sta partecipando attivamente a questo processo: da ormai quattro anni, e almeno per altre sue stagioni, la serie Drive to Survive segue piloti, ingegneri, meccanici e Team Principal delle dieci scuderie per tutta la durata del Mondiale, raccontando quello che succede dentro e fuori i box. Il risultato è un prodotto seriale dai contorni cinematografici, da cui emergono soprattutto gli scontri tra compagni di squadra, i veleni e le polemiche tra i team. Certo, alcune dinamiche interne alla serie sono state create ad hoc per fini drammatici, e persino il rombo del motore delle macchine non è quello vero. Questa distanza tra realtà e drama ha fatto storcere il naso a più di un pilota, non a caso Max Verstappen ha deciso di non partecipare più alla serie, ma ha generato un flusso enorme di appassionati e nuovi tifosi, specialmente giovani, e ha aperto nuovi canali nel mercato, soprattutto quello americano. E infatti sono stati inseriti in calendario due Gran Premi nuovi negli Usa, quello di Miami e quello di Las Vegas: in Florida abbiamo già visto yacht, sabbia e costumi a bordo pista, vip d’eccezione  e location mai viste prime in Formula Uno per eventi pre e post-gara, mentre per veder correre la Ferrari e gli altri team in Nevada bisognerà aspettare la prossima stagione. Ma è certo che assisteremo a un nuovo capitolo dell’americanizzazione del circus, un processo che non ci aspettavamo potesse avvenire in tempi così rapidi, visto che la Formula Uno e gli States sono stati due rette parallele per molti anni. Oggi la storia è molto diversa: «Sento che Drive to Survive ha cambiato qualcosa qui in America», ha detto Daniel Ricciardo, pilota della McLaren, «ora cammino per strada e la gente mi dice: “ti ho visto su Netflix, quella serie è fantastica!” La Formula Uno ha avuto una grande vetrina».

Il trailer di Drive to Survive

Insomma, la Formula Uno si è riscoperta bella e giovane. E lo ha fatto dandosi il tempo di rinnovarsi, abbracciando tutti i mezzi e gli strumenti e le nuove tecnologie che il 21esimo secolo mette a disposizione, invece di demonizzarle. La sua rifioritura non è passata inosservata nemmeno ai piani alti degli altri sport, a cominciare dal calcio: Luigi De Laurentiis, figlio di Aurelio e presidente del Bari, ha detto che «oggi i ragazzi guardano le partite con tre schermi davanti. Cose come Drive to Survive hanno un potere enorme, ti fanno affezionare alle scuderie e ai piloti. Noi dovremmo mettere su la nostra Play to Survive». Anche Maurizio Arrivabene, amministratore delegato della Juventus, ha detto delle cose significative: «La chiave è trovare il giusto compromesso tra chi regola lo sport e chi gestisce l’aspetto commerciale. Il rilancio della Formula Uno non passa solo da Netflix, ma anche dal ruolo della Fia (che regola), F1 (che detiene i diritti commerciali) e dalle squadre (che competono). Questo ha portato a radicali cambiamenti in ogni campo, che hanno aumentato lo spettacolo in pista».

Le parole di Arrivabene sono ancora più importanti perché vengono da una persona che ha assistito da vicino al rinnovamento della Formula Uno: per cinque anni, dal 2014 al 2019, è stato infatti Team Principal della Ferrari, prima di essere sostituito da Mattia Binotto. Parliamo dunque di un dirigente che ha vissuto il medioevo di Ecclestone e il rinascimento firmato Liberty Media, che ha permesso alla Formula Uno di tornare a parlare ai giovani. Un’impresa che necessitava di diverse cose, perché potesse essere compiuta: idee, visione e soprattutto l’unità di intenti necessaria per rinnovarsi, cambiare, andare avanti. Di solito non basta una serie Netflix, ma anche quella può dare una mano.