L’entusiasmo che si respira in questi giorni a Palermo è un sentimento nobile e anche comprensibile. C’entra la promozione in Serie B conquistata tre anni dopo il fallimento, ma ovviamente pesano moltissimo anche l’imminente arrivo del City Football Group e le prospettive immaginate dalla stampa e dagli stessi tifosi rosanero, considerata l’importanza e la solidità dei soggetti in questione. Va pure sottolineato che dalla Sicilia, in questo modo, partirebbe una rivoluzione su scala nazionale, un evento capovolgente che riguarderebbe l’intero sistema calcistico italiano, un microcosmo che da pochi mesi ha iniziato ad assaggiare – grazie al lavoro del Genoa e all’approdo di Johannes Spors e Alexander Blessin – i metodi di altre due grandi multiproprietà calcistiche, 777 Partners e Red Bull, e che almeno finora era stato snobbato dal CFG.
In realtà l’approdo del City Football Group a Palermo dovrebbe generare un’attesa legata più al futuro del Palermo-società che del Palermo-squadra. Per avere un indizio che fa una prova, basta consultare la lista dei trasferimenti in entrata del Girona e del Troyes, ovvero delle due squadre del CFG che militano in una piramide calcistica allo stesso livello di quella italiana. E che, esattamente come il Palermo, vivevano – e vivono – a cavallo tra prima e seconda divisione. Le quote del Girona sono state acquisite dal gruppo nel 2017, e da allora la rosa del club che ha appena conquistato la promozione in Liga è stata integrata con 101 giocatori – di cui undici arrivati in prestito dal Manchester City – dall’età media di 24,32 anni, per un bilancio di mercato complessivamente in positivo per 16 milioni di euro. Il Troyes, invece, è stato comprato poco meno di due anni fa, ha conquistato subito la promozione in Ligue 1 e alla vigilia di questa stagione ha comprato 23 calciatori – di cui sei in prestito e/o a titolo definitivo dal Manchester City – con un’età media di 24 anni, per un investimento complessivo di 22 milioni di euro; poche settimane fa, la salvezza è arrivata in modo piuttosto comodo. Per quanto riguarda i giocatori, quelli più riconoscibili transitati dalla Catalogna e dall’Aube, le regioni in cui hanno sede Girona e Troyes, sono Pedro Porro, Bono, Pablo Maffeo e il veterano Adil Rami, che quest’anno ha accumulato 17 presenze in Ligue 1. Nessuno che abbia cambiato radicalmente la dimensione o la storia di queste società, nessuno per cui entusiasmarsi davvero.
In virtù di tutto ciò è evidente che, una svolta sbarcati a Palermo, i dirigenti anglo-arabo-ispanici del City Football Group – il managing director of global football della conglomerata, Brian Marwood, è nato a pochi chilometri da Sunderland; i proprietari sono ovviamente gli sceicchi di Abu Dhabi; l’amministratore delegato è il catalano Ferran Soriano – daranno vita a una rivoluzione più dolce e graduale di quanto immaginiamo. Non a caso, viene da dire, dalle trattative in corso sono filtrate alcune indiscrezioni per cui l’attuale presidente del club rosanero – Dario Mirri – dovrebbe rimanere al suo posto, così come il direttore sportivo Renzo Castagnini e l’allenatore Silvio Baldini. Ovviamente non sono notizie ufficiali e verificate, ma certe decisioni non sarebbero così lontane dallo storico della holding CFG, che di solito non demolisce completamente i club che acquista, soprattutto se hanno già una storia significativa, piuttosto li ristruttura dall’interno, importa e impone col tempo il proprio modello, il proprio know how, avvia una trasformazione del pensiero – quindi manageriale e culturale – prima ancora che tecnica o di mercato. Una volta, infatti, Ferran Soriano ha detto che «il calcio è il nostro business, è ciò che facciamo, quindi la nostra rete di club ci permette di crescere dal punto di vista tecnico, di sviluppare giocatori di alto livello che permettono al gruppo di essere finanziariamente sostenibile».
E allora il Palermo dovrà acquisire un nuovo metodo e soprattutto una nuova dimensione: quella per cui è una società-squadra destinata a diventare parte di un infinito processo industriale di valorizzazione dei calciatori, un obiettivo da inseguire creando una certa aderenza – o comunque una prossimità – con i concetti di gioco studiati e attuati da Pep Guardiola al Manchester City. In questo senso, le dichiarazioni rilasciate a The Athletic da Brian Marwood sono piuttosto significative: «Il nostro riferimento è Pep: se lui inventa un esercizio a Manchester durante una sessione di allenamento, possiamo condividerlo con i ragazzi di Melbourne, New York o Montevideo. Tutto, però, parte dalla formazione: i nostri tecnici devono sapere quello che sta facendo Guardiola, e fare in modo che ciò avvenga è una nostra responsabilità. Lo stesso vale per i direttori sportivi e gli osservatori: devono essere pienamente consapevoli del nostro stile di gioco e dei requisiti necessari perché i nostri calciatori, quelli vecchi e quelli nuovi, possano rispettarlo. Mettiamo questo aspetto al di sopra di ogni altra cosa».
In altre nazioni, con altri club, la rivoluzione è stata inevitabilmente più profonda. E ha portato risultati più consistenti: oltre ai trionfi colti con il Manchester City, il CFG ha vinto il titolo nazionale in Giappone (con gli Yokohama Marinos), in Australia (con il Melbourne City), in India (con il Mumbay City) e poi ha portato la prima MLS Cup a New York (grazie al successo colto dal New York City); inoltre, il Montevideo City Torque è risalito dalla terza fino alla prima divisione uruguaiana e si è anche qualificato per la prima volta nella sua storia alla Copa Libertadores. È evidente, però, come tutti questi successi siano arrivati in campionati di secondo o anche terzo livello, contesti in cui per creare – più o meno dal nulla – delle squadre in grado di primeggiare, o anche semplicemente competitive, bastava ed è bastato erigere una solida struttura finanziaria e societaria. Proprio nel caso del Montevideo City Torque, per esempio, l’arrivo del City Football Group ha determinato l’acquisto del primo bus per le trasferte, e infatti Marwood ha raccontato che «prima del nostro arrivo la società aveva lo stesso livello di organizzazione di una squadretta amatoriale fondata in un pub»; anche al Melbourne City gli uffici e gli spogliatoi dello stadio sono stati completamente rifatti, mentre al Lommel sono stati investiti 12 milioni di euro per il centro di formazione giovanile.
Il Palermo parte e partirà da una condizione diversa, molto più simile a quella di Girona e Troyes: la squadra rosanero dovrà affrontare un campionato più ricco, più competitivo, e quindi – almeno in questo momento storico – servirà al City Football Group per entrare in un mercato mai esplorato prima, ovviamente parliamo di quello italiano, proponendosi come nuovo nodo d’eccellenza per la valorizzazione del talento, quello locale – palermitano, siciliano, nazionale – e quello già all’interno del gruppo. Allo stesso modo, però, la storia e le prospettive ideali del Palermo sono piuttosto diverse. È un discorso socio-economico che diventa inevitabilmente tecnico: il club rosanero rappresenta una città da 630mila abitanti – Manchester ha 553mila abitanti censiti nel 2019 – e ha un’enorme fanbase all’estero grazie agli immigrati siciliani in tutto il mondo; inoltre ha partecipato alle coppe europee in maniera continuativa e in un tempo relativamente recente (cinque apparizioni in Coppa Uefa/Europa League a cavallo tra il 2005 e il 2011), a differenza di tutte le altre squadre europee del gruppo e anche del Troyes, che all’inizio di questo secolo si è qualificato per due volte all’Intertoto e per una volta alla vecchia Coppa Uefa. Insomma, è chiaro che le potenzialità del Palermo siano molto superiori rispetto a quelle di tutte le altre squadre minori del City Football Group, anzi si può dire che la holding di Abu Dhabi non abbia mai avuto a che fare con una realtà del genere, per seguito e quindi anche per possibilità – escluso ovviamente il Manchester City.
Questo potrebbe cambiare l’approccio alla nuova avventura? Potrebbe determinare un coinvolgimento diverso e quindi degli investimenti – iniziali e progressivi – più cospicui da parte del gruppo, per esempio la ristrutturazione dello stadio o la costruzione di un nuovo impianto, oppure l’assemblaggio di una squadra più forte rispetto a quelle messe su a Girona e Troyes? A queste domande si potrà rispondere solo tra qualche tempo, ma intanto non è eccessivo ipotizzare che il nuovo Palermo City – no, è solo un modo di dire: la squadra rosanero non cambierà nome né colori sociali, finora non è successo a nessuna società europea rilevata dalla holding – possa essere un esperimento differente, più ambizioso, rispetto a quelli portati avanti altrove. Da tempo, non a caso, ci si chiedeva se – anzi: quando – il CFG avrebbe iniziato a lavorare a un progetto diverso, a una squadra che non fosse solo un pianeta rotante intorno al sole, cioè al Manchester City. Dopotutto anche l’altro gigante del calcio delle multiproprietà, la Red Bull, ha mostrato che un sistema senza un unico riferimento, con due grandi squadre nello stesso continente, il Lipsia e il Salisburgo, può essere efficace. Anzi, può essere addirittura vincente.
E allora il nuovo Palermo potrebbe anche aspirare al ruolo di “primo satellite” del Manchester City, potrebbe ambire ad affrontare la squadra di Guardiola in Champions League, più o meno come successo a Lipsia e Salisburgo – che si sono sfidati nell’Europa League 2018/19. In effetti, pensandoci bene, una società italiana che vuol fare da hub per lo sviluppo dei giovani deve quantomeno stabilizzarsi in Serie A, come per esempio ha fatto il Sassuolo: solo a quel punto l’investimento iniziale potrebbe portare dei frutti interessanti nel modello di business portato avanti dal CFG. Marwood, Soriano e gli sceicchi si renderanno conto di tutto questo, magari la rivoluzione sarà dolce soltanto all’inizio e poi diventerà sempre più radicale, sempre più impattante. In ogni caso d’ora in poi il Palermo potrà tornare a praticare l’entusiasmo, ed è già una notizia importante, a vent’anni esatti dall’inizio dell’era-Zamparini. Ora resta da capire quanto durerà e quanto sarà consistente questo entusiasmo, ma in ogni caso a Palermo scopriranno com’è fatto il futuro, questo è praticamente certo.