Silvio Baldini è l’ultimo residuo del calcio maccheronico

Pochi allenatori sono riusciti a mescolare genialità e imbarazzi come lui, e col tempo non è cambiato.

Nel mondo del calcio esistono due tipi di imbarazzo. Uno è dato dalle cose previste, che vanno esattamente come devono andare: è l’imbarazzo delle dichiarazioni tutte uguali e dalle interviste che sembrano moduli burocratici completati con la funzione di riempimento automatico. L’altro tipo di imbarazzo è quello portato dagli imprevisti, dalle cose che finiscono come nessuno avrebbe pensato. Silvio Baldini ha vissuto quasi tutta la sua carriera di allenatore – viene da pensare quasi tutta la sua vita – circondato dal secondo tipo di imbarazzo. È successo anche nei giorni in cui festeggiava la promozione in Serie B ottenuta con il Palermo. Baldini va a parlarne su Sky con quelli di Calciomercato – L’originale, nessuno si aspetta di ricavare lanci stampa da un’intervista che nelle previsioni doveva essere veloce e indolore. E invece lui, Baldini, a un certo punto si mette a sproloquiare delle sue affinità elettive con una presunta cultura palermitana, della punizione che nel capoluogo siciliano si pretenderebbe per il vecchio che si accompagna alla ragazzina, di un’umanità che certamente penerebbe meno se solo accettasse di seguire il codice in vigore nell’isola. Un imbarazzato Alessandro Bonan cerca di riportare la conversazione sulla stretta attualità calcistica ma Baldini insiste con l’insistenza di cui sono capaci solo gli uomini con una missione. La sua è «non vengo mica qui la sera a di’ cazzate». Ovviamente, è diventato l’idolo istantaneo di tutti quelli che sono sempre alla ricerca di un portavoce volgare ma sincero, sboccato ma autentico da contrapporre a un calcio che, a dir loro, si fa sempre più finto e freddo, ipocrita e bugiardo ogni anno che passa. Magari fosse, verrebbe da dire.

In molti, in realtà, si sono ricordati di Silvio Baldini dopo aver visto, in diretta tv o differita social, quell’intervista a Calciomercato – L’originale. Immaginare la prossima stagione del Palermo è stato il divertissement di qualche ora per tutti gli appassionati di pallone ai quali in queste settimane mancano gli spunti di conversazione (d’altronde, non di solo calciomercato vive l’uomo). Immaginarsi il primo incontro tra Baldini e gli esponenti del City Football Group nuovo proprietario del Palermo, sognare di essere presenti al tavolo del ristorante al quale l’allenatore incontrerà per la prima volta Mansur bin Zayd Al Nahyan. Anche in quel caso, Baldini di certo “non andrà mica lì a di’ cazzate”. Spiegherà al vice Primo ministro degli Emirati Arabi Uniti che a lui dei soldi e della gloria non importa nulla. Che una società fondata su aspettative di vittoria e insistenza sulla prestazione non gli garba. Che l’ultima volta che ha fatto una cosa per denaro era il 2004, quando Zamparini gli offrì la panchina del Palermo a un milione di euro all’anno per tre anni, accettò e andò a finire malissimo: fu esonerato a gennaio, quando era terzo in classifica, pare in seguito a un incontro con il presidente che per poco non divenne un duello all’arma bianca.

Da quel momento in poi Baldini si è ripromesso di non fare mai più niente per i soldi. Per mantenere quella promessa però ci ha messo un po’: tredici anni, composti dalle esperienze a Parma, Lecce, Catania, la seconda volta a Empoli, Vicenza, un calcio in culo tirato a Mimmo Di Carlo nel finale di un Parma-Catania («Ma chi è quel teppistello con la camicia aperta, tutto sudato e sbracato, che si scaglia contro l’ allenatore del Parma e lo prende a calci nel sedere?», racconterà poi Crosetti nel suo pezzo su Repubblica) e un anno sabbatico che alla fine di anni ne durerà sei. Chi conosce bene Baldini lo definisce un genio. Della sua bravura non hanno mai dubitato colleghi e amici come Mancini, Spalletti, Conte. Diversi suoi ex giocatori lo hanno detto e ripetuto: Baldini è uno dei migliori allenatori cosiddetti di campo del calcio italiano. Massimo Maccarone, Francesco Tavano, Lele Adani, che prima di diventare uno dei Four Stooges del nostro pallone è stato vice di Baldini a Vicenza e ha sempre sostenuto, con quella sua peculiare assertività, il paragone con Marcelo Bielsa. Tutto si può dire di Baldini tranne che sia uno che si lascia sedurre facilmente: dell’accostamento con Bielsa ha accettato e conservato solo l’aggettivo loco, pazzo, che per l’argentino è un soprannome e per Baldini, invece, essenza.

Silvio Baldini ha allenato in Serie A sulla panchina dell’Empoli – esordio nel 2003 – e poi su quelle del Parma, del Lecce, del Catania; la prossima stagione sarà quella del ritorno in Serie B a undici anni dall’ultima esperienza, alla guida del Vicenza (Grazia Neri/Getty Images)

Alla fine dell’anno sabbatico durato sei anni (che lui dice di aver trascorso andando a caccia di pernici con i pastori siciliani, figure tra folklore e realtà che poi saranno alla base della sua decisione di tornare a Palermo) accetta la panchina della Carrarese. Suo padre Valentino faceva il cavatore lì da quelle parti. Lui, Silvio, è cresciuto bighellonando attorno allo stadio, nel tempo libero le cose che lo appassionavano erano le bische e i racconti di guerra e anarchici di sua nonna. Alla Carrarese, per qualche ragione, decide di andare a lavorarci gratis. Non vuole nemmeno i rimborsi spese, solo un premio in caso di promozione e una penale in caso di esonero. A Carrara rimane per quattro anni, dal giugno 2017 all’aprile del 2021. Si dimette tre volte, in due occasioni ci ripensa dopo aver letto una lettera scritta dai suoi giocatori, capitanati dall’adorato Giovanni Foresta («Uno, dieci, dodici Foresta in una squadra e vai in cima al mondo, batti anche la Juve», dirà a Giancarlo Dotto in uno stupendo profilo-intervista per Vanity Fair). La terza volta è quella buona e se ne va. Di lui, a Carrara, oltre ai play off si ricordano soprattutto un’incredibile conferenza stampa in cui si mise a parlare della stima che sentiva per il prefetto locale e di un progetto di occupazione del Consiglio comunale nel caso in cui i membri di quest’ultimo non si fossero spesi per ripristinare l’agibilità dello Stadio dei Marmi. «Io non sono capriccioso, sono pazzo», disse in quell’occasione.

Negli anni Baldini ha cercato di tenere a bada il pazzo affiancandogli un monaco. Si è sempre detto credente ma nell’ultima parte della sua carriera si è definito così sempre più spesso. E ha cercato di trasmettere questo approccio religioso al pallone anche ai suoi giocatori: per Baldini, oggi, quello che conta durante gli allenamenti non sono i tempi del pressing o gli automatismi delle diagonali. Paragona i calciatori ai monaci e gli esercizi alla preghiera: tutto serve per «avvicinarsi a Dio» e per condividere l’esperienza dell’amore, fatica e sconfitta comprese («sono nato perdente ma poi ci ho messo del mio pure io» è una della sue frasi preferite quando si tratta di descriversi). In certi momenti sembra un prete, in altri un guru, in altri ancora un poeta: talvolta parla come Walt Whitman, di esistenza e di identità, e di potenti spettacoli che continuano e ai quali ognuno può contribuire con un verso.

Silvio Baldini è un uomo fermo in un punto che sta esattamente a metà tra i suoi migliori angeli e i suoi demoni peggiori. Certe volte hanno la meglio i primi, e quelle sono le volte in cui alla domanda di Massimiliano Nebuloni sui festeggiamenti per la promozione del Palermo lui risponde «desidero trascorrere cinque minuti con la mamma dei miei figli, non chiedo di più». Altrettante volte prendono il sopravvento i demoni, e queste sono le occasioni in cui si mette a parlare di una Palermo governata da una legge informale e brutale che prevede l’asportazione dei testicoli per i sessantenni trovati a passeggio («a scopare», per essere precisi) con giovani donne. Resta una domanda: quando tutte queste informazioni arriveranno sulla sua scrivania per una prima valutazione del personale impiegato nella nuova proprietà City Group, cosa ne penserà Mansur bin Zayd Al Nahyan?