Il Barcellona non può fare mercato, eppure lo fa lo stesso

Il club catalano ha un debito enorme, eppure ha già annunciato Christensen, Kessié e punta altri grandi giocatori.

Nel corso della storia, tanti top club hanno dovuto far fronte a crisi economiche anche molto gravi, molto profonde. Nel nostro tempo, il caso più eclatante è sicuramente quello del Barcellona, le cui difficoltà a bilancio sono causa ma anche effetto di dissidi interni, di incroci politici a dir poco tortuosi per non dire pericolosi, di un caos che ha finito per mangiarsi tutto, col tempo. E che ha letteralmente costretto il club catalano a privarsi di Lionel Messi. Da mesi, ormai, i media ci raccontano che la società blaugrana è tecnicamente fallita, a causa di un debito complessivo di 1,3 miliardi di euro. Eppure il nome del Barça è già comparso e continua a comparire nelle cronache di calciomercato: la rosa a disposizione di Xavi è già stata integrata con Kessié e Christensen, entrambi arrivati a parametro zero dal Milan e dal Chelsea, e si parla di altri acquisti a titolo oneroso, per esempio Raphinha del Leeds, Lewandowski del Bayern Monaco, Marcos Alonso del Chelsea, Bernardo Silva del Manchester City, Jules Koundé del Siviglia. E non è tutto: quei giocatori che sembravano dover essere ceduti per creare budget trasferimenti e alleggerire il monte ingaggi – Dembélé e De Jong, giusto per fare due nomi di rilievo – alla fine potrebbero rimanere in Catalogna. O, almeno, il presidente Laporta si è espresso in questo senso, anche se poi il mercato potrebbe andare in direzioni differenti, chissà.

La domanda che ne discende, inevitabilmente, è semplice e difficile allo stesso tempo: com’è possibile? Sviluppiamola meglio: se il Barcellona vive una condizione così drammatica, e la vive, come fa a fare mercato? Se non bastassero i numeri, può essere utile andare a riprendere le dichiarazioni del vicepresidente Eduard Romeu, secondo cui il Barça sarebbe «clinicamente morto». Anche Espn si è posto la stessa domanda, e ha assegnato a Sid Lowe il compito di provare a dare una risposta. Lowe lo ha fatto in questo articolo, spiegando che il Barcellona, allo stato attuale delle cose, «in effetti non può fare mercato: Kessié e Christensen sono stati annunciati e presentati ufficialmente questa settimana, si stanno allenando con i loro nuovi compagni, ma non possono essere registrati perché il Barcellona non soddisfa i criteri di fair play finanziario della Liga, legati ai limiti salariali imposti a ogni club». È questo l’aspetto più spinoso della ricostruzione: il tetto imposto al rapporto tra entrate del club e gli stipendi da versare ai calciatori della prima squadra, fissato dalla Liga alla quota del 60%, impedisce a nuovi calciatori di essere registrati in rosa. Il Barcellona, in questo senso, ha un disavanzo negativo – l’unico dell’intero campionato – di 144 milioni di euro, e se non risolve questo problema non ha la possibilità materiale – Sid Lowe racconta che il software applicativo che gestisce l’inserimento di nuovi giocatori in rosa non consente di finalizzare un’operazione in entrata – di concludere nuovi acquisti.

Per colmare questa situazione, il Barcellona ha bisogno di due cose: tagliare i costi – al momento i salari complessivi ammontano a 560 milioni di euro annui – e aumentare le entrate. La soluzione più ovvia sarebbe, banalmente, rivedere al ribasso i contratti in essere e/o cedere i calciatori che generano i costi più alti: una strategia che permetterebbe di generare introiti e di alleggerire il monte stipendi. Ci sono diversi problemi, però: il mercato, inteso come corpus di squadre e procuratori di calciatori, è perfettamente consapevole della crisi del Barça. E poi i giocatori non sono così disposti ad abbassare i propri stipendi. E allora il Barça ha iniziato a battere altre strade: oltre all’accordo commerciale con Spotify, il club blaugrana ha praticamente ipotecato i propri introiti, cioè ha ceduto il 10% dei soldi che incasserà dalla Liga, per i diritti televisivi, nei prossimi 25 anni. In questo modo ha incassato circa 207,5 milioni di euro liquidi, qui e ora. È stata una buona idea? Forse sì, ma solo per tamponare la situazione attuale: il contratto in essere prevede un incasso di circa 166 milioni di euro annui, e quindi la quota del 10% degli incassi per i prossimi 25 anni – basta fare due semplici moltiplicazioni – ha un valore di 400 milioni di euro. Insomma, il Barcellona ha venduto poco meno di 200 milioni di euro del futuro per averne 207,5 subito. Non proprio un affare a lungo termine.

Un’altra ipotesi per rimpolpare le casse sociali del Barça è anche la vendita del 49,9% delle quote di BLM, acronimo di Barça Licensing & Merchandise, vale a dire la società creata dal club per gestire il marketing e le licenze collegate al brand-Barcellona. In questo modo, il club potrebbe rattoppare un po’ il bilancio, grazie a un introito potenziale di 300 milioni di euro. In realtà quest’ultimo passaggio – e quindi la conseguente vendita delle azioni al fondo americano Sixth Street – è stato autorizzato dal consiglio, ma poi non è stato portato a termine. Anche perché il vero obiettivo sarebbe rivendere un ulteriore 15% dei soldi dei diritti tv che saranno versati dalla Liga, in cambio di 400 milioni di euro, senza toccare BLM.

Questi eventuali 600 milioni di euro basterebbero o basteranno per poter sbloccare le operazioni in entrata? Forse sì, sfruttando i pacchetti di aiuti messi a disposizione della Liga perché i club potessero – e possano – fronteggiare la crisi congiunturale legata al Coronavirus. Laporta ha pubblicamente annunciato che, attraverso ulteriori tagli, il Barcellona potrebbe ambire a “riaprire” il suo mercato, rinunciando – almeno per ora – alla vendita della metà di BLM. Per questo lui e i dirigenti stanno provando a tagliare gli stipendi dei giocatori già in rosa – l’hanno già fatto in tanti, l’ultimo in ordine di tempo è stato Sergi Roberto – e a piazzare elementi in esubero, per esempio Lenglet e Umtiti, un altro calciatore che ha esteso il suo contratto con condizioni di salario più vantaggiose per il club. Certo, il sacrificio di De Jong potrebbe essere utile a velocizzare il processo, ma il Barcellona sembra intenzionato a tentare il colpaccio, cioè a tenere il centrocampista olandese e cercare di aumentare gli introiti in altri modi. Cioè facendo dei veri e propri equilibrismi, camminando in bilico su una corda tesa e senza rete di protezione. Solo se riuscirà a non cadere sarà possibile fare mercato, nonostante gli enormi buchi di un bilancio mai così disastrato.