Questa è la volta buona dell’Arsenal?

Non c'è mai stato tanto entusiasmo intorno alla squadra di Arteta negli ultimi anni, anche grazie a un mercato intelligente. Nonostante tutto i Gunners riusciranno a deluderci ancora?

Il calcio d’estate conta poco per non dire niente, a luglio meno che ad agosto. Ma per fortuna l’Arsenal riesce a rendere interessanti anche queste settimane di preseason. Le prime amichevoli e il calciomercato hanno messo in vetrina una squadra che, al di là di un contesto atletico inevitabilmente morbido e del classico entusiasmo che si percepisce quando le cose devono ancora cominciare, ha idee e formule molto chiare. E il campo ha fornito indicazioni altrettanto chiare: Norimberga, Everton, Orlando City, Cheslea, i Gunners hanno vinto tutte le amichevoli giocate da inizio luglio, e hanno vinto esattamente come fanno dall’inizio del 2022, con il loro gioco fatto di tagli e inserimenti, di verticalità e scambi rapidi, un gioco che parte dai principi e dalla lavagnetta di Mikel Arteta, ma si modella sulle caratteristiche e le possibilità dei singoli. Da quando è allenatore del suo Arsenal, quello di cui era capitano nell’ultima fase di carriera da giocatore, Arteta guarda con calma e fiducia al futuro, consapevole di dover aggiungere un nuovo mattoncino ogni volta che va in campo, in un percorso graduale e controllato molto diverso dallo stile delle altre Big Six della Premier League. Per necessità, per scelta. Per spirito di cambiamento.

Ogni anno, da quasi un decennio, a inizio stagione l’Arsenal prova a rintuzzare quell’atmosfera di decadentismo che circonda la squadra. E ogni stagione è stata decadente quanto le precedenti, al punto che pure le poche eccezioni – come l’annata 2018/19, conclusa con la finale di Europa League – appaiono elementi a sé stanti, monadi uniche e separate più che elementi di una storia progressiva. E poi c’è la sensazione di essere costantemente sulle montagne russe. Meno di un anno fa, per esempio, l’Arsenal metteva in archivio il peggior inizio di stagione dal 1954, con tre sconfitte nelle prime quattro partite di Premier League, zero gol fatti e dieci subiti, compresi cinque nella trasferta di Manchester contro il City di Pep Guardiola. Sembrava un epilogo triste e giusto per una società che pare aver scritto nello statuto la Legge di Murphy, una squadra che non ha più un singolo punto in comune con la corazzata di inizio millennio, quella che è stata chiamata The Invincibles, perché invincibile lo era per davvero. Invece il progetto di Arteta si è dispiegato un po’ alla volta dall’autunno in poi. E così a marzo l’Arsenal era diventato una delle realtà più solide e continue del campionato.

Arteta forse non lo ammetterà mai, ma sta trasformando l’Arsenal in una specie di cosplay del Manchester City. L’allenatore basco non vorrebbe necessariamente paragonarsi a Guardiola o al suo mentore Arsène Wenger – l’ultimo allenatore a vincere un trofeo sulla panchina dei Gunners prima di lui, con Arteta giocatore – ma la sua amministrazione si inserisce inevitabilmente nel solco tracciato dall’alsaziano, con influenze e richiami alla versione moderna del juego de posición assimilato nei tre anni all’ombra di Pep a Manchester. Non a caso gli ultimi due acquisti in ordine cronologico sono Gabriel Jesus e Oleksandr Zinchenko, in arrivo proprio dal City, entrambi titolari nella vittoria per 4-0 sul Chelsea in Florida Cup nel weekend – l’ucraino è andato in campo poche ore dopo il suo primo incontro con la squadra. Coloro che sono arrivati erano pronti da subito per entrare in formazione proprio perché i principi di base che reggono il gioco dei Gunners sono mutuati da quelli del City. Poi, certo, Arteta ha dovuto imporsi e imporre una proposta meno estrema, meno radicale, in grado di adattarsi all’avversario in caso di necessità. Una voglia di versatilità che si legge anche in quelle stesse operazioni di mercato: Zinchenko, Gabriel Jesus e anche Fábio Vieira non sono dei giocatori specialisti, offrono più di una soluzione, possono risolvere più di un problema: terzino o centrocampista, l’ucraino; prima o seconda punta o esterno, il brasiliano; mezzala, trequartista o falso esterno, il portoghese. «Questa è una delle cose che abbiamo considerato, così possiamo adattare struttura, formazione e rotazioni: possiamo giocare in modi diversi con gli stessi giocatori per essere più imprevedibili», ha detto l’allenatore basco. Nelle amichevoli estive si è rivisto il classico 4-3-3 di partenza, poi uno schieramento a due punte (a un certo punto, contro il Norimberga), passaggi con la difesa a tre (Everton), altre variazioni più o meno estemporanee.

Sarà anche calcio d’estate, ma non è male battere la squadra campione del mondo con un risultato così netto, così rotondo

L’assenza di un centravanti classico, il target man britannico a cui chiedere di ripulire palloni sporchi, alti e ingiocabili, dice molto della squadra che sta costruendo Arteta: vuole dimostrare che nella Premier League del 2023 «le dimensioni non contano», come ha scritto James McNicholas su The Athletic in un articolo incentrato sulla proposta di Artega. La coppia d’attacco Eddie Nketiah-Gabriel Jesus, entrambi alti 175 cm, può essere molto fisica, se decliniamo la fisicità attraverso chiavi quali ritmo e intensità: i due titolari potenziali permettono di pressare uomo su uomo a tutto campo e creare spazio per gli inserimenti, possono fare lavoro di raccordo e di rifinitura, e possono segnare in più modi. Arteta sa bene che un piano B potrebbe tornargli utile nel corso della stagione, e l’assenza di un centravanti più alto e quindi più visibile potrebbe farsi sentire in alcune partite, ma al momento la priorità è costruire il piano A nel miglior modo possibile.

In questo senso, l’acquisto di Gabriel Jesus è perfetto per questo scopo: «Crea caos e incertezza», ha detto Arteta dell’attaccante brasiliano, accanto al quale ha già lavorato in tre stagioni al City. Da quando è arrivato in Europa, a gennaio 2017, Gabriel Jesus ha sempre giocato a un livello altissimo, ma non è mai stato il centro di gravità della sua squadra: il City non glielo permetteva, non glielo chiedeva, e questa eventualità non era nemmeno nei piani futuri. Adesso, a 25 anni compiuti, deve dimostrare di avere la maturità giusta per fare un altro piccolo step. Per i Gunners non deve risolvere le partite da solo, ma deve offrire uno sfogo alla regia di Martin Ødegaard e Vieira, diventare il compagno di reparto perfetto per Nketiah e l’innesco che accende le fiammate di Bukayo Saka, Gabriel Martinelli, Emil Smith Rowe. Mettendo a sistema tutti questi elementi l’Arsenal genera la sua frenesia cooperativa di tagli, tocchi di prima e filtranti in strettoie anguste, quell’insieme di giocate codificate solo in linea di principio che rendono imprevedibile l’attacco.

È attuando questo programma che l’Arsenal che spera di tornare a competere con le Big Six. È un progetto che sta prendendo forma poco alla volta, ma in maniera sempre più convinta: Arteta ormai viene consultato attivamente in ogni decisione del club e nonostante un carattere spigoloso ha portato «spirito di famiglia» (cfr. Emil Smith Rowe) tra i Gunners, creando il giusto ambiente in cui far crescere i giovani che dovranno riportare il club dove manca da troppi anni. La parte più difficile è parametrare le ambizioni di una squadra così giovane su un campionato in cui le prime due sono inarrivabili, la terza è il Chelsea che ha vinto Champions League 14 mesi fa, e c’è un quarto posto da contendere a Manchester United e Tottenham. Non c’è molto margine d’errore per una squadra che è finita due volte all’ottavo posto e una volta al quinto negli ultimi tre anni. Dopotutto, anche il sesto posto potrebbe essere accettabile. Semplicemente perché chi davanti a sé alcune delle squadre più forti e più ricche d’Europa non può avere il risultato finale come unico metro di valutazione. Per l’Arsenal l’importante non è cosa dirà la classifica a fine anno, ma cosa avrà costruito durante la stagione. È da lì che misureremo la temperatura della soddisfazione, della delusione, dell’illusione creata da questo ennesimo tentativo, dalla sensazione che questa possa essere la volta buona anche per i Gunners, finalmente.