Il Lipsia si sta fermando sul più bello?

Il modello Red Bull l'ha portato a un passo dall'élite, ma ora compiere l'ultimo passo sembra davvero difficile.

A guardarlo da fuori, il RasenBallsport – che, se vogliamo tradurre letteralmente il tedesco, sta per sport della palla su prato – Leipzig non sembra una società in crisi. In fondo parliamo di una squadra che ha partecipato sei volte alla Bundesliga, che si è qualificata per cinque volte alla Champions League, e che può ancora qualificarsi agli ottavi dell’edizione in corso. Pochi mesi fa, come se non bastasse, è arrivata anche la vittoria in DFB-Pokal, la Coppa di Germania: il primo primo trofeo nella storia del club. Il problema è che la realtà, come succede sempre, non può essere misurata solo in valore assoluto: anche se questi risultati sembrano incredibili – e lo sono, altroché – per un club nato solamente tredici anni fa, la valutazione deve essere fatta in base a parametri come le risorse economiche a disposizione, le aspettative stuzzicate e non ancora ripagate, il tempo che passa e non cambia le cose, le sensazioni non proprio verdeggianti riguardo le prospettive a breve – ma anche a medio – termine.

A pensarci bene, l’avvento – piuttosto controverso e piuttosto osteggiato – del Lipsia targato Red Bull sembrava destinato a creare un punto di cesura, un prima e un dopo nella storia della Bundesliga e del calcio in senso lato: tutti pensavamo che il Lipsia avrebbe avuto lo stesso impatto della cometa nel film Don’t Look Up, che il Bayern Monaco avrebbe finalmente trovato una squadra rivale, che i top team europei avrebbero dovuto fronteggiare l’impatto di una squadra in grado di diventare subito una contender credibile per la Champions League. E invece il titolo nazionale è rimasto saldamente nelle mani del Bayern, in Europa i risultati sono gli stessi ormai da anni – la semifinale di Champions disputata nell’estate 2020 non può essere considerata reale per ovvie ragioni, e non c’è molta differenza tra i quarti e la semifinale di Europa League raggiunti nel 2018 e nel 2022 – e l’ultimo atto della Coppa di Germania era stata già giocata due volte, nel 2019 e nel 2021, prima della vittoria di qualche mese fa. Si può dire, rileggendo questa serie di risultati, che il Lipsia abbia trovato una sua rispettabilissima continuità ad alto livello. Guardando la stessa immagine da un’altra angolazione, però, si può dire anche che la squadra di punta della Red Bull sta vivendo in fase di stallo. Che il Lipsia si è fermato appena è giunto a un passo dall’élite, quando invece tutti ci saremmo aspettati ben altro.

La sensazione di stasi presente e futura è stata alimentata dalle notizie di mercato – sarebbe meglio chiamarle indiscrezioni, ma vabbè –  che sono trapelate nelle ultime settimane, e che vorrebbero Cristopher Nkunku destinato a indossare la maglia del Chelsea a partire dalla prossima estate. L’affare dovrebbe fruttare 66 milioni di euro, poco più o poco meno, alla società tedesca. Nulla di nuovo o di strano, ed è proprio questo il punto: il Lipsia sembra ancora una società venditrice, di quelle che cedono i loro migliori calciatori e li sostituiscono con dei talenti potenzialmente fantasmagorici ma ancora da sgrezzare, esattamente come lo era Nkunku quando nel 2019 ha lasciato il PSG per trasferirsi nell’ex Germania dell’Est. È evidente che, lavorando in questo modo, è stato e sarà praticamente impossibile pianificare un vero salto di qualità. È come se il club della Red Bull si fosse trasformato in ciò che da anni, ormai, è il Borussia Dortmund. Ovvero una società-squadra che il Guardian, qualche tempo fa, aveva presentato e raccontato ponendosi una domanda piuttosto inquietante: «Il BVB deve essere considerato un club sportivo virtuoso oppure una fredda linea di produzione industriale, che non vince più trofei di rilievo e in cui i calciatori sono semplicemente dei nomi di passaggio, degli asset da valorizzare?». Difficile non coltivare un dubbio di questo tipo anche per il Lipsia. Anzi: è praticamente impossibile se consideriamo che, negli ultimi quattro anni, la dirigenza ha avallato gli addii di Naby Keita, Timo Werner, Dayot Upamecano, Ibrahima Konaté, Marcel Sabitzer. A questo elenco va aggiunto pure il nome del tecnico-star Julian Nagelsmann, passato al Bayern Monaco, e allora il quadro diventa piuttosto chiaro, piuttosto definitivo.

Proprio gli avvicendamenti in panchina sembrano confermare il momento complicato, o quantomeno confuso, che sta vivendo il progetto-Lipsia. Da pochi giorni, infatti, Marco Rose ha sostituito Domenico Tedesco, che a sua volta era stato assunto meno di un anno fa, il 9 dicembre 2021: appena cinque mesi dopo la nomina di Jesse Marsch come successore di Nagelsmann. Il vero problema è che questo viavai sembra riguardare anche la società, gli uomini chiave della dirigenza: il vuoto lasciato da Rangnick nel 2019 era stato colmato da Markus Krösche, che però ha lasciato Lipsia dopo due anni per diventare direttore sportivo dell’Eintracht Francoforte. Da allora il club è stato gestito direttamente dal CEO Oliver Mintzlaff, un ex mezzofondista specializzato nel marketing, non certo un esperto di calcio. Anche Christopher Vivell ha abbandonato la Germania e la multiproprietà Red Bull dopo sette anni vissuti – con diverse mansioni – tra Salisburgo e Lipsia, e secondo alcuni media sportivi molto autorevoli diventerà il nuovo direttore tecnico del Chelsea.

Prima di accettare l’offerta del Lipsia, Marco Rose aveva già lavorato nella multiproprietà Red Bull: tra il 2013 e il 2019 è stato tecnico delle giovanili e poi della prima squadra del Salisburgo (Andy Buchanan/AFP via Getty Images)

In quella che era la seconda città della Germania Est per popolazione, è evidente, si sta concretizzando una situazione particolare. Anzi, si può dire paradossale: il sistema di formazione professionale costruito e attuato negli anni ha riempito l’organigramma societario di dirigenti e osservatori e tecnici eccezionali, di figure che negli ultimi anni hanno invaso l’Europa calcistica ed esportato altrove il modello Red Bull. Oltre a quelli che abbiamo già nominato, tra gli altri, ci sono anche Johannes Spors, Adi Hütter, Paul Mitchell. Nel frattempo, però, la stessa Red Bull ha fatto e sta facendo fatica a rimpiazzarli: non a caso, viene da dire, il nuovo direttore sportivo è Max Eberl, che ha ricoperto lo stesso ruolo al Borussia Mönchengladbach per quindici anni e sarà operativo dal prossimo 15 dicembre. Il tutto è reso ancora più significativo dal fatto che questa operazione costerà 2,5 milioni al Lipsia.

Tutti questi cambiamenti si sono riverberati sul campo in modo subdolo: il calciomercato è stato condotto sempre allo stesso modo, secondo una logica ideale sell-to-improve che però, come detto, è stata esasperata e ha finito per limitare le ambizioni della squadra; anche i giocatori sono stati allenati e schierati rispettando i principi tattici di sempre, vale a dire pressing iper-aggressivo e attacco ultra-verticale, ovviamente con sfumature diverse in base all’allenatore di turno – Tedesco, per esempio, aveva imposto uno stile di possesso sensibilmente più ragionato. Il punto è che forse al Lipsia serviva qualcosa di diverso, di più elastico, di più conservativo, per compiere l’ultimo passo dentro l’élite, per conquistare l’affermazione definitiva. In fondo si tratta del passaggio più decisivo e più delicato per tutte le società che hanno grandi aspirazioni, e quindi ci sta che il club della Red Bull si stia arrestando un po’. Anche perché su questo aspetto incidono anche fattori puramente economici, e di contesto: pur essendo l’emanazione calcistica di una multinazionale che fattura 6,307 miliardi di euro (dato riferito al 2020), il Lipsia non è ancora mai comparso nella top 20 della Deloitte Money League, che ordina le società di calcio europee in base al loro fatturato, una condizione che ha impedito – e impedisce ancora – un importante aumento del budget salariale; il sistema finanziario della Bundesliga – un modello chiuso fondato sulla regola del 50+1 – limita o preclude completamente l’accesso degli investitori stranieri, e questo finisce per inibire la crescita del movimento e della concorrenza interna, per stabilizzare lo status quo  Al punto che qualche tempo fa persino Karl-Heinze Rummenigge, uomo-Bayern per eccellenza, si è espresso in maniera critica nei confronti di un tradizionalismo esasperato ed evidentemente limitante, per la Bundes e le squadre che vi partecipano. Anche per il suo stesso Bayern.

Ecco, si pensava che il Lipsia potesse – anzi: dovesse – sfidare, combattere e rovesciare tutto questo. A costo di essere una società ancor più disprezzata da tutti gli altri club e tifosi della Germania, utilizzando un modello in grado di innovarsi e quindi di avanzare costantemente, senza tentennamenti, senza fermate. E invece il club della Red Bull si è impantanato, si è avvitato su se stesso, sulle proprie rigidità tecniche e progettuali, e così non si è emancipato davvero dal calcio tedesco, almeno finora. Certo, continua a scovare talenti e a proporre un gioco spettacolare, ed è così che oggi si producono risultati significativi. È così che si diventa competitivi. Ma per vincere un trofeo davvero importante sembra che manchi ancora qualcosa: forse un po’ di tempo, forse un cambio di politica, forse entrambe le cose. A guardarlo da dentro, da vicino e quindi con attenzione, anche un lavoro fatto bene può essere migliorato.