L’amore tormentato tra Luis Alberto e la Lazio è giunto alla fine?

Dopo l'arrivo da oggetto misterioso e l'esplosione con Inzaghi, le incomprensioni con Sarri sono l'ultimo capitolo di una bella storia?

Luis Alberto vive il calcio in maniera intensa, viscerale. Al punto che, dopo ogni partita, non riesce ad addormentarsi prima delle quattro di mattina. A Roma, alla Lazio, in un ambiente caldo ma umorale, dominato da un presidente-padrone, un giocatore del genere era destinato a vivere sempre al limite: un giorno in cielo e quello dopo a terra, nella polvere. Il pubblico della Lazio in effetti l’ha adorato dopo averlo accolto con diffidenza, e ora siamo nel mezzo di un nuovo paradosso: Luis Alberto è in discussione. Anche per i tifosi della Lazio. Proprio lui, che aveva fatto riscoprire all’universo biancoceleste l’essenza di un numero dieci molti anni dopo dopo il genio folle di Paul Gascoigne, la leggenda di Roberto Mancini e l’illusione di Mauro Zarate.

Il nuovo punto di rottura, in questa storia, ha un nome e un cognome: Maurizio Sarri. In realtà il tecnico toscano non ha rappresentato un cortocircuito soltanto per lo spagnolo, ma per l’intero ecosistema della Lazio. Quando Simone Inzaghi disse sì all’Inter, nell’estate del 2021, Lotito e la dirigenza vennero messi di fronte a un bivio: continuare il progetto tecnico con un allenatore vicino, per idee e concetti, a Inzaghi? Oppure ribaltare tutto e ricominciare? Il presidente decise di rilanciare, quantomeno di provarci. E allora prese uno dei migliori allenatori italiani sul mercato, poi cominciò a comprare e vendere giocatori assecondando il suo culto, i suoi dogmi. Ma se per qualcuno uscire dalla comfort zone costruita da Inzaghi poteva essere una sfida stimolante, in grado di dare quella scossa d’elettricità che serve rimandare la fine di un ciclo, per altri significava rinunciare alle proprie certezze, a uno status conquistato con fatica. Al secondo gruppo apparteneva Luis Alberto: persona emotiva, carattere aspro, dna calcistico insofferente all’autorità e a certe imposizioni.

Nel giorno del primo allenamento di Maurizio Sarri alla Lazio, Luis Alberto non c’era. Nessuna comunicazione alla società, tantomeno al nuovo allenatore. Insomma, aveva fatto perdere perdere le sue tracce. Sarebbe arrivato in ritiro una settimana dopo. Nel mezzo ha sofferto di un’evidente crisi di abbandono, della difficoltà ad accettare il passaggio da Inzaghi, padre compiacente, a Sarri, comandante esigente. E per cercare di capire cosa possa essere scattato, in quel momento, nella testa di Luis Alberto bisogna tornare al 2017, ovvero al punto più basso e terribile della sua carriera. Appena arrivato alla Lazio, infatti, Luis Alberto faticava a ingranare: era stato acquistato per essere il sostituto di Candreva, anche lui finito all’Inter come poi sarebbe toccato a Inzaghi, ma fin da subito aveva dimostrato di avere un passo diverso, di non poter giocare sulla fascia. A Formello era considerato un oggetto misterioso, un abbaglio, una scommessa persa da Tare. Lui si sentiva inutile e annoiato, divorato dalla malinconia. Qualche tempo dopo avrebbe confessato, raccontando quei giorni, come una delle sue idee ricorrenti fosse quella di ritirarsi. Di tornarsene a Siviglia e lasciarsi il calcio alle spalle.

È qui che comincia a incidere la figura di Simone Inzaghi: il tecnico della Lazio scelse di non arrendersi, decise di lavorare su Luis Alberto affiancandogli uno psicologo – un “mental coach”, come li chiamano nel settore – che potesse insegnargli l’importanza della respirazione per rallentare i pensieri e sconfiggere i propri demoni. Per aprire la sua visione, e non solo di gioco. Nel frattempo, Inzaghi-allenatore gli stava cucendo addosso la squadra: il 3-5-2 che ha segnato quegli anni di Lazio nacque proprio da un’intuizione dell’allenatore, ovvero spostare Luis Alberto della fascia al centro del campo, affidandogli il governo della manovra offensiva. È così che Luis Alberto è diventato Luis Alberto, prima trequartista e poi centrocampista di palleggio e rifinitura: un interprete del ruolo che la Serie A non aveva mai visto, unico nel suo genere.

Il nuovo inizio è accecante: 12 gol e 19 assist, nella stagione 2017-18, sono la conseguenza di un gioco verticale esasperato dalla continua ricerca della profondità di Ciro Immobile, una specie di sentenza sugli assist illuminanti di Luis Alberto, ma anche del fatto che Inzaghi abbia fatto dello spagnolo giocatore più importante della sua Lazio, almeno per quanto riguarda l’aspetto creativo. Il resto è storia recente e pure gioiosa, tutto sommato: la vittoria in Coppa Italia; il titolo di re degli assist della stagione 2019/20, quella segnata dal Covid; un ultimo anno insieme e forse un po’ meno brillante, per Inzaghi e anche per Luis Alberto, prima dell’addio dell’allenatore. E dell’arrivo di Sarri.

Con la maglia della Lazio, Luis Alberto ha accumulato 238 partite, 44 gol segnati e 63 assist serviti; ha vinto un’edizione della Coppa Italia e due edizioni della Supercoppa Italiana (Marco Rosi – SS Lazio/Getty Images)

Il rapporto tra Luis Alberto e Sarri ha creato equivoci ed è vissuto sugli equivoci fin dal primo giorno: Luis Alberto non è adatto per il gioco di Sarri, Sarri non è l’allenatore giusto per Luis Alberto. Luis Alberto vuole andarsene, Sarri spinge per la cessione di Luis Alberto, e così via. C’è stato e c’è qualcosa di vero, ovviamente, in tutto questo. Ma alcune di queste voci sono anche da considerare il frutto di quell’esasperazione strumentale (e a volte strumentalizzata) tipica dell’ambiente romano. «Non siamo migliori amici, ma abbiamo un rapporto normale», ha detto Luis, intervistato da Dazn. È stato sintetico e anche sincero, come al solito: la realtà è che tra Luis Alberto e Sarri c’è una relazione puramente professionale, puramente di campo, che non riguarda e non invade la sfera personale.

In fondo può andare e va così in ogni luogo di lavoro, anche se spesso fatichiamo a vedere un campo da calcio come se fosse un ufficio qualunque. Non piacersi caratterialmente, insomma, non vuol dire necessariamente non lavorare bene insieme. E Sarri lo ha fatto capire più volte: «Ragazzo intelligente, giocatore fantastico, carattere, se vogliamo, particolare» disse una volta il tecnico in conferenza. Aggiungendo: «Più ci conosceremo e più andremo d’accordo». E allora il cuore della questione sta in campo, anche se sembra assurdo: ai tempi della Juventus, infatti, Sarri aveva definito il centrocampo della Lazio di Inzaghi (Milinkovic-Leiva-Luis Alberto) come «il migliore d’Italia». E in effetti un palleggiatore eccezionale come Luis Alberto, nel suo calcio di possesso, ci dovrebbe stare alla perfezione. Il punto, però, è che la Lazio di Sarri fatica ad assimilare alcuni dettami del nuovo allenatore: il passaggio al 4-3-3 è stato ed è ancora più traumatico del previsto, la squadra è fragile in difesa e allora il centrocampo non può permettersi Milinkovic-Savic e Luis Alberto insieme, ha bisogno di un equilibratore. Così nel corso della prima stagione lo spagnolo finisce spesso in panchina, sostituito da una mezzala più fisica e difensiva come Basic, o addirittura dalla corsa di Akpa Akpro. «I dati di Luis Alberto ci dicono che è più adatto a momenti di partita in cui il ritmo è più basso», ha detto Sarri in una conferenza durante la scorsa stagione.  E per un calciatore che quei ritmi di gioco era abituato a dominarli, che era abituato a essere al centro della Lazio, quelle parole potevano avere due effetti: cedere alla rabbia e all’orgoglio ferito, oppure cercare di far cambiare idea all’allenatore, accettando una nuova sfida.

In questo stato sospeso, Luis Alberto ha ripreso a essere intermittente. Era inevitabile, in fondo, per un giocatore emotivo come lui. Domenica scorsa, per esempio, la Lazio ha vinto per 2-0 in casa del Sassuolo e il centrocampista spagnolo, schierato da titolare per la settima gara su 17 in Serie A, è stato scelto come MVP della partita. Nelle interviste postgara, Maurizio Sarri ha pronunciato queste parole: «Oggi è stata la miglior partita di Luis Alberto da quando ci sono io. Se gioca così, ci possiamo permettere tutto». La risposta di Luis Alberto è stata: «Se lo dice lui…». È evidente che qualcosa si sia rotto, o che comunque non funzioni più come un tempo. L’hanno capito anche al di fuori della squadra: per la prima volta dopo anni, infatti, la tifoseria biancoceleste sembrerebbe pronta anche ad accettare il suo addio. Anzi, qualcuno sotto sotto si augura che la cessione di Luis Alberto possa arrivare presto, così da avere soldi freschi per acquistare profili più giovani e adatti al gioco di Sarri. Dopo sette anni in cui la Lazio con Luis Alberto è stata molto migliore della Lazio senza Luis Alberto, anzi sembrava quasi che non potesse esistere, forse siamo arrivati alla fine di una storia d’amore bella e tormentata, e perciò indimenticabile.