Alla Lazio sta fiorendo un Sarrismo tutto nuovo

La squadra biancoceleste gioca un calcio organizzato e di qualità, ma che non ha molto a che fare con le squadre allenate in passato da Sarri.

L’ha scritto la Lega Serie A, una fonte che più ufficiale non si può, sul suo profilo Twitter: il secondo gol realizzato dalla Lazio contro lo Spezia, firmato da Felipe Anderson al termine di una stordente serie di passaggi, è «un contenuto ad alto tasso di Sarrismo». Per qualsiasi altra squadra, non importa se italiana o straniera, si sarebbe parlato di azione da PlayStation; i più nostalgici, invece, avrebbero rispolverato l’espressione della palla mossa come se fosse quella di un flipper. E invece ecco rispuntare il Sarrismo, una definizione ormai vecchia e anche un po’ banalizzante per cui Maurizio Sarri passerebbe le sue giornate lavorative a elaborare e perfezionare schemi di scambi ad altissimo coefficiente di difficoltà, a muovere i suoi calciatori sul campo come se fossero pedine degli scacchi, così da ottenere in output una vasta gamma di manovre ultra-sofisticate in grado di mandare in tilt – proprio come succedeva ai vecchi flipper – le difese avversarie. Il tutto, ovviamente, tenendo sempre il pallone rasoterra, come se l’erba dei campi da gioco di Serie A fosse uno di quei panni verdi che si stendono sui tavoli da biliardo.

Non tutte le definizioni nascono vecchie, non tutte le definizioni nascono banalizzanti. E a suo tempo era giusto chiedersi se il Sarrismo sarebbe potuto esistere alla Lazio dopo aver colorato un triennio napoletano indimenticabile eppure privo di trofei, dopo essersi diluito fin troppo nel corso delle esperienze vissute da Sarri al Chelsea e alla Juventus. La sensatezza di questa domanda riguardava il tempo, gli uomini e i loro incastri: al netto della (vera o leggendaria?) incompatibilità politico-ideologica tra Sarri e la Lazio, era difficile pensare che si potesse ricomporre la stessa telepatia magica che animava le combinazioni tra Insigne, Mertens e Callejón, che Jorginho potesse trovare un erede in Lucas Leiva o Cataldi o Marcos Antonio, che Reina fosse ancora Reina dopo tutti questi anni, e così via. Dopo una prima stagione a cercare di rinfrescare un ambiente ancora scottato dalla viscerale e tormentata identificazione con Simone Inzaghi, la Lazio dell’autunno-inverno 2022 aveva alimentato un po’ di dubbi: la squadra di Immobile, Milinkovic-Savic e Zaccagni sembrava in grado di essere Sarrista solo a intermittenza, nel senso che non riusciva a esserlo con continuità. E allora le grandi partite si alternavano a prestazioni grigie e soprattutto ripetitive, come se a Formello ci si allenasse per giocare solo in un certo modo, senza sperimentare alternative, senza considerare l’ipotesi di un compromesso.

Mentre trasmetteva al mondo questa sensazione di stagnazione dovuta a rigidità, Maurizio Sarri in realtà stava facendo la cosa che gli riesce meglio fin dall’inizio della sua carriera: lavorare sul campo, aggiornarsi e immaginare nuove soluzioni per rendere più efficace il suo calcio. Il tutto, ovviamente, cercando di non barattare e di non imbrattare troppo la sua filosofia, la sua identità come allenatore. Il problema è che tutta la retorica costruita intorno all’idea del Sarrismo – una retorica giornalistica e anche un po’ populistica che lo stesso Sarri ha cavalcato più o meno consapevolmente ai tempi di Napoli – ha distorto un po’ la percezione rispetto alla reale essenza del calcio-di-Sarri: la cifra estetica del Sarrismo, la sua godibilità come gioco d’attacco, ha un’anima profondamente difensiva, nasce dall’equilibrio e dall’efficacia della fase di non possesso. È stato così ai tempi dell’Empoli e del Napoli, ovviamente in contesti molto diversi per potenzialità e quindi per ambizioni. Ed è così anche oggi.

Non a caso, viene da dire, la Lazio si è impadronita della zona-Champions e poi del secondo posto in classifica nel momento in cui ha iniziato a incassare pochissimi gol, solo uno nelle ultime otto gare di Serie A, fino a diventare la miglior difesa in assoluto – 20 reti subite contro le 21 del Napoli. Il miglioramento rispetto allo scorso campionato, chiuso con 58 gol subiti, è davvero clamoroso. E si può spiegare partendo dal lavoro fatto per rendere Sarrista vale a dire ambizioso, aggressivo, orientato sul pallone – un sistema difensivo che, con Inzaghi, ragionava in modo completamente diverso. Il primo tentativo, iniziato un anno e mezzo fa, è evidentemente fallito. Il secondo tentativo, anche grazie agli innesti di Provedel, Casale e Romagnoli, ha dato dei frutti rigogliosi. Anche perché in verità lo stesso Sarri ha stemperato un po’ la sua visione del gioco, ha fatto un passo verso la sua squadra mentre la sua squadra stava facendo verso di lui: ne è venuta fuori una Lazio che pressa in modo meno intenso rispetto allo scorso anno, che sa muoversi con armonia anche quando si compatta – come nel caso della gara vinta a Napoli – nella propria metà campo, che non esaspera il recupero palla in zone alte di campo. Questo non vuol dire che si tratti di una squadra conservativa o speculativa: molto più semplicemente, Sarri si è reso conto che i suoi difensori e i suoi centrocampisti non sono adatti ad aggredire a tutto campo e in tutte le situazioni di gioco, quindi a volte è più saggio tenere un baricentro medio-alto e coprire le linee di passaggio degli avversari, piuttosto che andargli addosso in maniera continuativa.

La Lazio 2022/23, in pillole di bellezza

Il calcio contemporaneo è un gioco sequenziale e consequenziale, per cui ogni allenatore deve creare un sistema tattico composito – fase di possesso, fase difensiva, transizioni positive, riaggressione – che sia sempre coerente con le caratteristiche degli atleti a sua disposizione. In questo senso, non può e non deve sfuggire che i migliori giocatori della Lazio – Immobile, Zaccagni, Felipe Anderson, Milinkovic-Savic, Luis Alberto – non siano tutti adatti a un pressing alto e costantemente intenso. E quindi la scelta di difendere con un approccio misto, orientato sul pallone ma non sempre aggressivo, non dipende solo dalle inclinazioni dei vari Marusic, Casale, Patric, Romagnoli e Hysaj, ma anche di tutti gli altri. Lo stesso discorso, proprio perché il calcio è un gioco sequenziale e consequenziale, vale anche per la fase offensiva. Nel senso: Sarri si è reso conto che Milinkovic-Savic, Luis Alberto, Felipe Anderson e anche Immobile sono dei giocatori abilissimi con il pallone in aria – soprattutto Milinkovic-Savic – e in campo aperto, che i suoi difensori, i registi e le mezzali muovono la palla in modo diverso, meno raffinato ma più diretto, rispetto ad altri giocatori che ha incrociato in passato. Così ha integrato dei nuovi strumenti nel suo menu classico, tra cui il lancio medio-lungo dalla difesa per cercare la sponda e/o l’attacco immediato della profondità, l’asse in verticale tra Luis Alberto e gli esterni d’attacco, un ricorso meno ossessivo al centromediano in fase di costruzione. Tutto questo non ha cancellato tutto ciò che ricordavamo e apprezzavamo del vecchio Sarrismo: l’esterno sinistro a piede invertito (Zaccagni) e le trame alla ricerca del terzo uomo nei mezzi spazi e sulle fasce, per esempio, sono dei marchi di fabbrica della Lazio di oggi. Ma il tempo passa e cambia le cose. A volte le aggiunge, altre volte le toglie o le mitiga, fino a farle apparire differenti.

Insomma, la Lazio 2022/23 difende e che attacca in modo diverso a quanto ci si aspetterebbe da una squadra allenata da Maurizio Sarri. Diciamolo meglio: ci sono dei momenti in cui la grande tecnica dei giocatori biancocelesti ricrea azioni che possono ricordare quelle del Napoli 2015-2018 o dell’Empoli 2013-2015, ma la Lazio di Sarri ha un’anima tattica che è solamente sua. E allora si può dire che alla Lazio, con la Lazio, grazie alla Lazio, sta fiorendo un Sarrismo tutto nuovo. O comunque un Sarrismo diverso rispetto a quello che avevamo impresso nella nostra memoria.

La conseguenze più immediata di tutto questo è che il concetto stesso di Sarrismo deve essere riscritto, o quantomeno rivisitato: non descrive un’identità di gioco fissa e immutabile come si potrebbe intuire leggendo il profilo Twitter della Lega Serie A, piuttosto è una definizione flessibile, liquida, che si nutre di ciò che succede intorno a Sarri. E che cambia di conseguenza. Non è più sinonimo di bellezza classicamente intesa, di un calcio cinematografico che sgorga sempre dagli stessi principi, ma è diventato un sinonimo di organizzazione tattica che si costruisce nel tempo, che può trasformarsi e si trasforma in base alle esigenze e alle contingenze. È una serie di compromessi accettati nel nome della funzionalità. Messo in questa prospettiva, il Sarrismo è un ideale che magari potrà risultare meno romantico, meno politico e meno filosofico rispetto al passato. Ma va detto che è decisamente più pragmatico, quindi più spendibile nella realtà.