La Scozia sta facendo grandi cose, anche se il suo campionato è in crisi

La Nazionale di Clarke è distante anni luce rispetto alla Premiership.

Magari sembrerà incredibile, se guardiamo ai risultati degli ultimi decenni, ma la Scozia è diventata una delle Nazionali europee più solide e continue nel rendimento. La squadra guidata dal CT Steve Clarke non perde una partita da giugno 2022, quando uscì sconfitta da una sfida di Nations League contro l’Irlanda, e finora è stata perfetta nel percorso di qualificazione agli Europei del 2024: cinque vittorie in cinque partite, 12 gol fatti e uno subito e lo scalpo prestigioso della Spagna – battuta 2-0 nella gara giocata a marzo scorso. Tutti questi grandi risultati, naturalmente, hanno scatenato un entusiasmo che non in Scozia si vedeva da anni: la Scozia, infatti, è tornata in una grande manifestazione – gli Europei 2021 – dopo 23 anni, l’ultima fase finale a cui aveva partecipato era stata quella dei Mondiali 1998. E ora è praticamente a un passo dall’accesso a Euro 2024.

La gioia per i risultati della Tartan Army, però, non deve illudere troppo: il campionato e quindi il movimento scozzese sono tutt’altro che in salute, come dimostrano i dati relativi alle convocazioni di Clarke. Nell’ultima partita di qualificazioni europee giocata e vinta 3-0 contro Cipro, per esempio, l’unico rappresentante della Scottish Premiership – tra gli undici titolari e i cinque sostituti scelti dal ct – era Callum McGregor, centrocampista del Celtic; tutti gli altri calciatori mandati in campo, invece, provenivano da club stranieri. La stragrande maggioranza milita in Premier League, ma nella gara contro Cipro c’erano anche Tiernery (Real Sociedad) e Hendry (Al-Ettifaq).

Questo dato è una conseguenza diretta di quello che succede nella Premiership. Ecco qualche altro dato significativo: dei 32 giocatori scesi in campo in occasione dell’ultimo Old Firm, il prestigioso – e sentitissimo – derby di Glasgow tra Rangers e Celtic, solo sei erano scozzesi; nell’ultima finestra di mercato, i 12 club della lega hanno acquistato solo 14 giocatori scozzesi su 80 totali; anche squadre minori hanno gli stessi identici equilibri: in occasione di St.Mirren-Aberdeen dello scorso agosto, c’erano appena nove calciatori scozzesi – tre del St.Mirren, sei dell’Aberdeen – nelle distinte consegnate all’arbitro.

Insomma, la rinascita della Nazionale scozzese – che, come detto, è un processo che ormai va avanti da anni – è circoscritta soltanto alla Nazionale. E quindi va ascritta più che altro al lavoro della Federazione, non certo a quello che stanno facendo – o che possono fare – i club. Lo dimostra anche la grande attenzione rivolta dai club europei, soprattutto da quelli italiani, ai talenti allevati nel Paese. Per le società, il problema è essenzialmente economico: la Premiership non può competere con gli altri grandi europei, i risultati internazionali e quindi il fascino di Celtic e Rangers sono piuttosto scarsi, i nuovi regolamenti connessi a Brexit hanno ulteriormente aggravato la situazione, visto che hanno ristretto e rallentato il calciomercato in entrata. Come ha scritto il Guardian in questa analisi, il ct Clarke e i suoi giocatori – a cominciare da McTominay, capocannoniere di tutti i gironi di qualificazione – hanno tantissimi meriti, che però non vanno confusi con una reale crescita corporativa. E allora sono meriti ancora più grandi, diventano enormi, esattamente come i risultati raggiunti dalla Scozia.