A Leverkusen, nella notte decisiva per la qualificazione agli Europei, Alessandro Buongiorno ha giocato la sua seconda partita con la Nazionale A. L’ha giocata benissimo, si può dire che sia stato decisivo: nonostante il cartellino giallo che gli è stato comminato dopo soli sette minuti, il centrale del Torino ha continuato a difendere in modo ambizioso, andando in avanti, cercando sempre l’anticipo; poi si è trasformato in una specie di muro di gomma nel momento in cui la partita è diventata di trincea, una prova di resistenza arretrata. Fino all’ultimissimo tackle, quello con cui ha smorzato la conclusione disperata tentata da Sikan, pochi secondi prima che l’arbitro fischiasse la fine del match. Ecco, Alessandro Buongiorno ha 24 anni compiuti da cinque mesi: ecco di cosa parliamo quando chiediamo più attenzione e più considerazione per i nostri giovani, per quel talento che c’è ma finisce per essere ignorato, svilito, poco considerato.
In questo senso, Luciano Spalletti ha impiegato pochissime partite a darci una lezione: la sua Italia, che tra l’altro ha dovuto e dovrà rinunciare a Sandro Tonali, è stata allestita subito intorno a Udogie, Scalvini, Dimarco, Frattesi, Zaniolo, Raspadori, Scamacca, poi è arrivato anche Buongiorno; questi giocatori hanno integrato i campioni d’Europa più giovani, quelli ancora spendibili: Donnarumma, Bastoni, Barella, Locatelli, Cristante, Berardi, Chiesa. La qualificazione agli Europei, un risultato che a un certo punto era diventato complicato da raggiungere, è stata ottenuta. Ora è chiaro che non tutti i calciatori citati siano all’altezza di vincere gli Europei o di giocare la finale di Champions League, ma molti di questi hanno proprio quella caratura lì. A dirlo sono i fatti. E in fondo, a suo tempo, Roberto Mancini ha costruito la sua Nazionale, la migliore degli ultimi 15 anni, agendo esattamente allo stesso modo. Fu proprio Mancini a lanciare definitivamente Spinazzola, Barella, Jorginho, Insigne, Chiesa e poi Di Lorenzo, Cristante, Locatelli, Pessina. Così è arrivato il titolo europeo conquistato a Wembley, due anni e mezzo fa.
Tutto questo per dire che l’Italia, al netto di un evidente buco generazionale al centro dell’attacco, è una squadra meno scarsa di come siamo soliti dipingerla. Come abbiamo già detto tra le righe, a Leverkusen sono scesi in campo otto campioni d’Europa per Nazionali e quattro vice-campioni d’Europa per club. Erano tutti tra gli Azzurri, e hanno anche offerto una buonissima prestazione. Almeno fino a quando la partita non è diventata una guerra emotiva, fino a quando l’Ucraina non ha dato fondo a tutto quello che aveva per conquistare la qualificazione.
Ecco, anche questo è un tema: l’Ucraina. Non sarà una grandissima squadra, non lo è, ma di certo era tra le migliori di quelle inserite terza fascia. Forse la migliore in assoluto. E forse è necessario riflettere sull’assurdo regolamento del sorteggio Uefa. Che, per dire, ha portato alla costituzione di un girone con Italia-Inghilterra-Ucraina (vincitrice, finalista e qualificata ai quarti di finale di Euro 2020) e uno con Ungheria-Serbia-Montenegro (una squadra eliminata ai gironi e due non qualificate a Euro 2020). In un altro girone a cinque squadre c’erano invece Polonia-Repubblica Ceca-Albania. Per effetto dello stesso regolamento, l’Italia sarà inserita nella quarta fascia del sorteggio agli Europei: gli Azzurri, visti i risultati conseguiti nel corso delle qualificazioni, saranno considerati più “scarsi” – almeno inizialmente – rispetto a Ungheria, Albania, Austria, Scozia, Slovenia, Slovacchia. Come dire: possiamo – anzi: dobbiamo – ammettere e accettare che la Francia, il Portogallo, l’Inghilterra, la Spagna e il Belgio siano considerati delle Nazionali migliori rispetto a quella di Spalletti. Ma c’è un limite a tutto.
Subito dopo la partita contro l’Ucraina, quando gli è stato chiesto e ora che succede?, Luciano Spalletti ha risposto facendo un sorriso tutt’altro che rilassato, un po’ in contrasto con ciò che ha detto: «Ora viene il bello, ora ci divertiamo». Il nuovo commissario tecnico va compreso: è subentrato in corsa e ha portato avanti un lavoro difficile, ha dovuto vivere e quindi ammortizzare la guerra politica legata alla successione di Mancini, ha gestito le pressioni per un risultato che doveva essere alla portata e invece stava per sfuggire, ha costruito una squadra per lo meno credibile mentre preparava partite che doveva vincere per forza (l’andata contro l’Ucraina, quella interna contro la Macedonia) e che non poteva perdere (quella di Leverkusen contro l’Ucraina). In mezzo la sua Italia ha sfidato anche l’Inghilterra: sì va bene, ha perso nettamente, ma ha anche mostrato qualcosa di buono, di interessante. Di futuribile.
Insomma, ci sta che Spalletti sia preoccupato, stanco, teso. Allo stesso tempo, però, è giusto che sia carico in vista del futuro, che creda di potersi divertire, che per lui il bello debba ancora venire. La sua Nazionale, al netto di un regolamento a dir poco cervellotico – anche perché il Ranking Fifa dice che l’Italia è nona, settima tra le rappresentative europee – e della severità estrema di chi è chiamato a giudicarla, è una squadra di buona qualità. Non andrà in Germania da favorita, come potrebbe, ma da outsider con discreti margini di crescita. Da qui a giugno, infatti, Buongiorno, Dimarco, Frattesi, Zaniolo, Scamacca e Raspadori hanno tutto il tempo per alimentare la loro credibilità, quindi la loro autostima. E lo stesso discorso vale per Donnarumma, Bastoni, Barella, Chiesa. Sì certo, magari in passato l’Italia è stata molto più forte di quanto lo sia oggi. Ma è stata anche molto meno forte e profonda. Chissà, magari agli Europei ci divertiamo. Di nuovo.