Non c’è da scandalizzarsi per i fischi a Gigi Riva, ma per molto altro di questa Supercoppa

Il pubblico di Riyadh che non rispetta il minuto di silenzio è solo l'ultimo atto di un torneo tutto sbagliato.

L’Inter ha vinto la Supercoppa Italiana 2023, 1-0 sul Napoli con gol di Lautaro Martínez durante i minuti di recupero del secondo tempo. L’andamento e gli episodi della finale hanno alimentato il fuoco – mai spento, sempre quiescente – delle polemiche arbitrali, del complottismo o al meglio dell’inadeguatezza di Rapuano, direttore di gara della partita. Ma si tratta delle solite schermaglie calcistiche, niente di cui scandalizzarsi troppo. Anche perché a Riyadh è successo molto altro, molto altro per cui scandalizzarsi davvero: i fischi per il minuto di raccoglimento a Gigi Riva, improvvisato dopo l’intervallo.

Perché è il caso di usare il termine “improvvisato”? Risposta semplice: la notizia della morte di Riva è arrivata a pochi minuti del calcio d’inizio, quando ormai era troppo tardi per organizzare il classico omaggio italiano, minuto di silenzio prima di iniziare a giocare, misto silenzio/applausi dagli spalti, giocatori che guardano il cielo, allenatori e panchina in piedi, tifosi sugli spalti inquadrati dalle telecamere, tutti con i volti segnati dal dolore, vero o simulato che sia, non importa. E così la Lega Serie A ha pensato bene (bene?) di spostare tutto di 45 minuti più l’intervallo, cioè di improvvisare – di nuovo – un minuto di silenzio prima che l’arbitro fischiasse l’inizio del secondo tempo. La foto di Riva sul tabellone elettronicodello stadio, Acerbi che indica il cielo, i fischi piovuti in campo direttamente da tutti i settori dell’Al-Awwal Stadium.

L’indignazione per quanto successo è del tutto comprensibile, ma in realtà bisogna fare attenzione. O meglio: bisognava fare attenzione alla cultura del lutto che c’è in Arabia Saudita. Bastava andare indietro nel tempo di dodici giorni, quindi neanche tantissimo: nella stessa identica città, nello stesso identico stadio, lo stesso identico pubblico ha fischiato durante il minuto di silenzio in omaggio a Franz Beckenbauer. Era la semifinale della Supercoppa spagnola, altra competizione “comprata” dall’Arabia Saudita, e i tifosi di Riyadh hanno fischiato l’omaggio all’ex capitano e commissario tecnico della Nazionale tedesca:

Ora tutti vi starete chiedendo: perché? Che senso ha fischiare un minuto di silenzio in memoria di una persona che è morta da pochissimo tempo? La risposta, come anticipato in precedenza, sta nella cultura del lutto che caratterizza l’Arabia Saudita. O meglio: che caratterizza l’Islam radicale che si pratica in Arabia Saudita. Per capire di cosa parliamo, riportiamo qui un breve passaggio dell’intervista che Wael Jabir, redattore del sito web di calcio mediorientale Ahdaaf.me, aveva rilasciato a Vice nel 2017: «Per l’interpretazione conservatrice della religione che hanno in Arabia Saudita, il minuto di silenzio è considerato una Bida’h, praticamente un’eresia, un qualcosa che il profeta Maometto non ha mai fatto e quindi nessun musulmano dovrebbe fare mai. In pratica, quindi, significa che i sauditi non osservano i minuti di silenzio per onorare una persona scomparsa, anche se si tratta di un loro concittadino».

Ora, è chiaro che queste parole non devono essere percepite come una giustificazione. Perché, semplicemente, non ce n’è bisogno. Il fatto è che bisogna prendere atto di una realtà. Di una distanza culturale che, in quanto tale, non può essere sottoposta a giudizio preventivo. Per dire: a Bali, le cerimonie funebri indù prevedono che il corpo di chi muore venga arso davanti ai parenti, a volte anche insieme ad altri cadaveri, e tutto si svolge in allegria. Per celebrare la vita di chi non c’è più, questa è la spiegazione che sta dietro a una funzione del genere.

Il problema, quindi, va ricercato a monte, ovvero nella volontà di riproporre il minuto di silenzio “europeo” in un contesto che non lo contempla: una scelta, come dire, non proprio avveduta. Oppure, ancora meglio, il problema va ricercato molto più a monte: nell’idea e poi nella decisione di esportare la Supercoppa Italiana in Arabia Saudita. Per dirla in modo semplice quanto brutale: i fischi al minuto di raccoglimento per Riva hanno confermato una cosa che era già abbastanza visibile, e cioè che la Lega Serie A ha sbagliato tutto ciò che poteva sbagliare. Per capire cosa intendiamo, basta riavvolgere il nastro e riguardare la quattro giorni vissuta a Riyadh: la scarsa affluenza di pubblico (eufemismo) per la prima semifinale tra Napoli e Fiorentina, le polemiche per lo striscione “Lazio Mer*a” comparso durante la partita, le lamentele delle autorità saudite per l’assenza di Juventus e Milan.

Insomma: scandalizzarsi per ciò che è successo con l’omaggio a Riva è sacrosanto, ci mancherebbe, ma stiamo parlando dell’ultimissima parte di un discorso più ampio. La verità è che bisognava – e quindi ora bisogna – scandalizzarsi per una competizione organizzata in un Paese in cui era inopportuno andare a giocare. Per tanti motivi, alcuni dei quali sono addirittura più importanti rispetto ai (prevedibili, e anche questo è una cosa che va imputato ai dirigenti) fischi durante un minuto di raccoglimento per la morte di un ex calciatore. Di cosa stiamo parlando? Del mancato rispetto dei diritti umani, del mancato rispetto dei diritti politici e di associazioni, del fatto che, almeno secondo il Democracy Index redatto nel 2019, l’Arabia Saudita occupa la 159ª posizione su 167 paesi analizzati. Dovrebbero essere delle cose abbastanza convincenti.