Il Barcellona sta facendo di tutto per rovinare la sua immagine

Era il club più amato del mondo e oggi non è più così, tra gestioni fallimentari, strategie finanziarie azzardate, scandali e altri guai.

In due settimane il Barcellona è riuscito ad abbandonare tre competizioni, in una sequenza negativa con pochi precedenti. Prima la sconfitta 4-1 nel Clasico di Supercoppa contro il Real Madrid, poi il 4-2 a Bilbao contro l’Athletic Club in Copa del Rey, sabato il 3-5 a Montjuïc contro il Villarreal che ha messo 11 punti tra i blaugrana e la vetta della Liga. Se non ci fosse ancora la Champions League – che in questo momento non sembra alla portata – la stagione del Barcellona sarebbe praticamente conclusa, da mandare avanti con il pilota automatico fino a primavera, sapendo di chiudere il 2023/24 senza trofei. Xavi ha detto che il club è entrato in una «dinamica negativa». Ne ha parlato sabato sera dopo la partita con il Villarreal, in una conferenza stampa che è sembrata una seduta dal terapeuta, o qualcosa che gli si avvicina molto: è arrivato in sala con qualche minuto di ritardo rispetto alla sua puntualità, ha voluto dire qualcosa prima di ascoltare le domande dei giornalisti, ha annunciato l’addio a fine stagione e l’ha presentata come una decisione irrevocabile. Ora, senza troppi giri di parole, un allenatore del Barça che annuncia di lasciare il club perché incapace di far funzionare la sua squadra è un’immagine inedita. Soprattutto se si tratta di un personaggio-simbolo del club, di un uomo che possiede il fantomatico dna Barça.

Appena un anno fa il Barcellona vinceva la Supercoppa in Arabia Saudita contro il Real Madrid, si imponeva come la squadra più forte di Spagna e metteva le basi per la vittoria della Liga che sarebbe arrivata a maggio. Adesso della scorsa stagione non c’è quasi più traccia, tutto svanito, anche le buone sensazioni. I giocatori rendono al di sotto delle aspettative, ogni infortunio sembra aprire un vuoto incolmabile nella formazione titolare, i problemi tattici e tecnici della squadra non si risolvono ma si accentuano, si cronicizzano fino a diventare strutturali. Lo stesso Xavi che l’anno scorso aveva tenuto le redini dello spogliatoio ora sembra non avere più risposte. Incapace di comunicare con i suoi giocatori, e quando deve comunicare con la stampa o all’esterno del club non va molto meglio.

Dopo l’ultima sconfitta in campionato, in Spagna si è parlato di un deterioramento dell’immagine del Barcellona, di un ridimensionamento dal suo status di superpotenza. Il campo suggerisce questo. Ma forse è po’ presto. O meglio: è innegabile che il Barcellona non sia in grado di competere con le migliori d’Europa, ma i suoi problemi strettamente calcistici sono risolvibili – forse non a breve termine – e la sua stagione è ancora migliore dei passi falsi che fanno tante altre grandi squadre nelle annate peggiori – al momento in Premier League ci sono Manchester United e Chelsea fuori dalle coppe europee. Il Barça ha ancora una rosa piena di giocatori eccezionali: nulla impedisce di ritrovare competitività e motivazioni dalla prossima estate. Forse non servono nemmeno acquisti fenomenali, perché in questa stagione deludente le note più liete arrivano dai talentini della cantera, a partire da Lamine Yamal – ormai un titolare – ma anche Fermín López, Pau Cubarsí, Héctor Fort. Tutti con un enorme margine di crescita, individuale e all’interno della squadra.

È anche difficile certificare il decadimento d’immagine di un club che è ancora l’alter ego del Real Madrid in una delle rivalità con più hype del mondo. E non dimentichiamo che il Barcellona ha ancora un brand che è una calamita per gli sponsor, nonché uno dei più riconoscibili e imitati al mondo. La sua squadra femminile colleziona Palloni d’Oro, trofei nazionali e internazionali ed è costantemente tra le migliori d’Europa. Il club è ancora ambasciatore e promotore del sentimento catalano nel mondo, della Catalogna europeista e indipendente. E soprattutto ha ancora una scorta pressoché infinita di potere di attrazione e fascino da esercitare sui tifosi di tutte le età.

Per un decadimento globale di questo marchio e di questo club, insomma, non bastano difensori, attaccanti, allenatori, preparatori. Non bastano risultati deludenti e sfottò sui social con i meme. Ci vuole ben altro. Bisognerebbe immaginare di inanellare una sfilza spropositata di fesserie, operazioni azzardate, scelte antipatiche e sconsiderate a un livello più alto, bisogna guardare ai piani dirigenziali. Ecco, questo è il momento «stavate parlando di me» di questa storia. Perché qui entrano in gioco gli ultimi presidenti del club, da Sandro Rosell a Joan Laporta, passando per Josep Maria Bartomeu.

Quindici anni fa il Barcellona si imponeva nel calcio europeo come la squadra più forte del mondo, la squadra di Messi, Xavi e Iniesta, ovviamente di Guardiola, la squadra che aveva cambiato il calcio per sempre. Un club dell’aristocrazia storica del calcio che allo stesso tempo sembrava venuta da un futuro in cui il gioco si era fatto più geometrico e più veloce, più complesso, sicuramente più divertente. Anche quella poteva sembrare una squadra antipatica a suo modo, come tutte le squdare che egemonizzano partite e competizioni. Ma nulla a che vedere con quello che hanno in questi anni ai piani alti del club. A fine 2022, Espn scriveva che Xavi aveva bisogno di vincere trofei per «riportare stabilità al club», perché il Barcellona si era costruito da solo una pressione maggiore del normale: l’estate precedente aveva voluto vincere a tutti i costi il premio di squadra più antipatica del mondo.

Nella prima sessione di mercato dal suo rientro alla guida del club, Laporta aveva fatto una serie di operazioni finanziarie azzardate azionando delle “leve”, termine usato un po’ a sproposito che in realtà significa semplicemente vendere – o svendere – asset del patrimonio del club in cambio di liquidità immediata. Il club aveva in difficoltà economiche enormi dopo la gestione Bartomeu, poi era arrivata la pandemia e i debiti in aumento; le punizioni del Fair play finanziario della Liga sono stata altra sabbia negli ingranaggi. A un certo punto il Barcellona non riusciva nemmeno a iscrivere i suoi giocatori al campionato, probabilmente ha rischiato il fallimento e se n’è parlato meno del dovuto.

Poco meno di un anno fa, mentre faceva i controlli sui conti sgangherati del club, l’Agenzia delle entrate spagnola aveva notato una serie di pagamenti verso una società riconducibile a José María Enríquez Negreira, ex arbitro e per anni vice presidente della classe arbitrale spagnola. Da qui è nata l’indagine per corruzione conosciuta come Caso Negreira, nel corso della quale si è scoperto che negli ultimi vent’anni il Barcellona ha pagato a Negreira sette milioni di euro in commissioni. «Tralasciando per il momento le questioni relative alle sanzioni legali, economiche o sportive, ci sono le conseguenze che ciò ha sulla narrativa del club su se stesso. L’immagine del Barça era già gravemente danneggiata. Questo caso, che coinvolge un’associazione con il comitato arbitrale è particolarmente negativa per il club», scriveva Pol Ballús un anno fa.

L’operazione-antipatia è ancora più ramificata di così. Dentro ci sono cose più piccole, come i prezzi esorbitanti di biglietti e abbonamenti, e cose più grandi, come la gestione scellerata del calciomercato nell’ultimo decennio (i blaugrana hanno il bilancio peggiore d’Europa tra denaro speso e incassato nei trasferimenti). Altre cose contrastano con l’immagine che il club vorrebbe dare all’esterno, quella del Barcellona inteso come Més que un Club. Per esempio ai tifosi catalani non è piaciuto granché quel comunicato del club con le raccomandazioni per chi aveva intenzione di viaggiare in Arabia Saudita per vedere la Supercoppa di Spagna: il Barça ha informato i suoi tifosi, in particolare quelli appartenenti alla comunità Lgbtqia+, che avrebbero rischiato sanzioni severe se avessero mantenuto un «comportamento indecente, compreso qualsiasi atto di natura sessuale», con potenziali «conseguenze legali per gli stranieri». La risposta dei tifosi sta nell’aver definito «ipocrita» una società che va contro i valori che predica. Infine ci sarebbe anche la Super Lega, probabilmente l’unico progetto sportivo in grado di unire – nel rifiuto, ma è sempre unire – i tifosi di centinaia di squadre, anche al di là di ogni valutazione sul merito della proposta. Essere tra i club fondatori e promotori della Super Lega non ha portato molte simpatie al Barcellona.

Da anni il Barcellona sembra incapace di valorizzare, quindi tradurre sul campo, l’enorme potere e le enormi risorse che derivano dal brand globale di cui dispone. I risultati negativi degli ultimi mesi sono un’inezia, il trend negativo più facile da invertire, e magari non ci vorrà nemmeno una rivoluzione nello spogliatoio. Ma il capitale di soft power, immagine e reputazione che la dirigenza (o al plurale, le dirigenze) del Barcellona sta sperperando – soprattutto in anni in cui il Real Madrid somma vittorie sul campo a sobrietà finanziaria, più o meno – potrebbe essere a repentaglio. Perché se il calcio è come il business, così come lo intende Laporta e lo intendevano i suoi predecessori, allora è anche una questione di sostenibilità e capacità di riprodurre il successo nel tempo. Negli ultimi anni il Barça non è stato all’altezza, non è stato alla sua altezza. E se continua a fare di tutto per assecondare il decadimento della sua immagine, quella diventa l’unica conseguenza possibile, come in una profezia che si autoavvera. Perché nulla può essere dato per scontato e nulla è eterno. Nemmeno il brand scintillante del Barcellona.