Ancora oggi, tra le infinite compilation di “Skills, Assist & Goals” che celebrano la rinascita di Charles De Ketelaere, è possibile risalire a questo video caricato su YouTube esattamente un anno fa su un canale di tifosi del Milan che ripercorre la storia rossonera degli ultimi vent’anni per “aree tematiche”. Nel video dedicato a CDK, in poco più di sessanta secondi, sono condensate tutte le volte in cui il ventiduenne belga avrebbe potuto segnare un gol o servire un assist già nella scorsa stagione, salvo poi vedersi fermare a un centimetro dalla linea del traguardo da un portiere, da un arbitro, dal VAR, talvolta persino dall’errore di un suo compagno di squadra prima ancora che dagli avversari. L’apice al contrario viene toccato il 4 gennaio 2023 nella partita contro la Salernitana: De Ketelaere entra al 63’ al posto di Brahim Diaz, gioca poco più di mezz’ora e si vede negare per ben due volte il gol da due miracoli di Ochoa su dei tiri praticamente a botta sicura; per dare un’idea della cosa, undici mesi dopo e sempre contro la Salernitana, gli basteranno 24 minuti per segnare il 3-1 e assistere Miranchuk per il 4-1.
Dopo un’annata del genere, in cui aveva impiegato appena 1.480 minuti (corrispondenti a 40 partite, di cui appena 12 da titolare e una sola senza essere sostituito prima del 90’) per passare da “coltellino svizzero che serviva al Milan” a principale delusione di una squadra che aveva deluso a prescindere da lui, era più che lecito chiedersi se e quando De Ketelaere sarebbe mai riuscito a segnare, in che modo avrebbe spezzato il sortilegio che ne ingabbiava il talento e la consapevolezza di sé. La domanda, retorica fino a un certo punto ha avuto risposta il 20 agosto 2023, quando De Ketelaere ha realizzato contro il Sassuolo il suo primo gol con la maglia dell’Atalanta, che poi è stato anche il primo gol in assoluto in Serie A: qualcosa che la prodigiosa respinta di Consigli sembrava avergli tolto che la Goal Line Technology gli ha invece restituito pochi secondi dopo, spezzando le catene di un incubo durato anche troppo a lungo.
Cinque mesi dopo a Genova, De Ketelaere ha segnato il gol dell’1-0 al Genoa – l’ottavo nelle ultime dieci partite, l’undicesimo della sua stagione – con un sinistro di controbalzo all’incrocio dei pali. Ed è stato lì che abbiamo capito che di fronte avevamo un altro giocatore anche dal punto di vista della prossemica e del linguaggio del corpo, ben lontano dal ragazzino timido che solo di tanto in tanto si illuminava del sorriso triste di chi sembrava soffrire di una perenne “sindrome dell’impostore” e che, proprio per questo, sentiva quasi di non meritare tutto quanto di buono gli stesse succedendo le poche volte che accadeva. Quando, a Marassi, il silenzio si è impossessato per qualche secondo delle tribune, CDK si è portato le mani alle orecchie, come aveva fatto Messi al Mondiale contro l’Olanda, quasi come a voler dire «eccomi, sono qui, parlate ancora, parlate adesso». Questo gesto assume ancora più valore se si considera che è stato lui da solo a tracciare questo nuovo percorso di catarsi e redenzione: «Charles ci mette tanto del suo, è lui che va in campo e fa queste prestazioni. Ha trovato un ambiente nel quale sta bene, in questi mesi ha preso fiducia in maniera esponenziale. Basta vedere il rigore e il modo in cui prova le giocate non semplici. Ne ha fatte tante oggi, perde pochi palloni e li recupera anche. Siamo contenti, che fosse un giocatore di qualità era risaputo. Nel calcio si va sempre avanti, lui sta facendo cose importanti, sta giocando con una sicurezza sempre maggiore e sta diventando un punto di riferimento per tutta la squadra» aveva detto Gasperini a DAZN dopo la partita contro la Lazio di una settimana prima, quella in cui De Ketelaere aveva realizzato una doppietta.
Tra il colpo di Sassuolo e la saetta di Genova ci sono state altre 26 gare in cui il giovane belga ha vissuto e celebrato il suo personale revenge tour. Nelle ultime settimane il racconto della resurrezione sportiva di De Ketelaere è stato costruito quasi esclusivamente attorno all’aspetto mentale, al lavoro psicologico che Gasperini ha dovuto fare per restituire al calcio ad alti livelli un giocatore così promettente e così fragile dal punto di vista caratteriale; in realtà è accaduto l’esatto opposto, con la ritrovata fiducia di De Ketelaere che è non stata causa ma conseguenza di un’evoluzione tattica attraverso cui il tecnico non solo ha ricostruito le antiche certezze ma gliene ha fornire addirittura di nuove, andando oltre il cortocircuito di fondo della multidimensionalità che avevano spinto Stefano Pioli a provarlo un po’ ovunque senza mai ricevere le risposte che si sarebbe aspettato. Gasperini, invece, ha preso la natura anacronistica di De Ketelaere – che continua a sembrare un giocatore degli anni Novanta catapultato non si sa come né perché in una tempolinea diversa – e l’ha rimodellata adattandola alle esigenze di un calcio dinamico e ipercinetico, senza per questo snaturare le sue qualità negli ultimi trenta metri per ciò che riguarda la rifinitura e la finalizzazione.
Il primo passo è stato, appunto, quello di avvicinarlo il più possibile alla porta. In un’intervista rilasciata a gennaio alla Gazzetta dello Sport De Ketelaere ha spiegato come tutto sia cominciato a metà settembre quando, dopo un fisiologico periodo di adattamento, nella partita in trasferta contro la Fiorentina viene schierato per la prima volta da «9 e mezzo», al centro di un tridente completato da Koopmeiners a destra e da Lookman a sinistra. Sembra la classica soluzione d’emergenza dettata dalle contingenze – la cessione di Zapata e gli infortuni di Scamacca ed El Bilal Touré – e invece, quattro giorni dopo la sconfitta del Franchi, De Ketelaere viene nuovamente impiegato come punta centrale in Europa League contro il Rakow e da punta centrale segna un altro gol di testa su cross di Zappacosta. La domenica successiva, poi, serve a Lookman l’assist per la rete dell’1-0 contro il Cagliari e a quel punto diventa chiaro a tutti come Gasperini sia riuscito a trovare una collocazione a un giocatore potenzialmente incollocabile, dandogli il compito di svuotare un’area che i suoi compagni avrebbero dovuto riempire attraverso il consueto campionario di tagli e inserimenti off the ball.
Il secondo momento chiave della stagione di De Ketelaere è il primo tempo della gara di Europa League contro lo Sporting Lisbona. All’Alvalade il belga rimane in campo 54’ prima di essere sostituito da Scamacca al rientro dopo l’infortunio ma Gasperini trova comunque il tempo di elogiare la grande lucidità dimostrata dal suo numero 17 nell’andare a cercarsi spazi e ricezioni sull’esterno per mandare fuori giri la rotazione difensiva della squadra di Amorim, che dal canto suo aveva organizzato l’intera fase di non possesso sull’accettazione senza compromessi dell’uomo contro uomo a tutto campo. De Ketelaere non contribuisce attivamente a nessuno dei due gol atalantini ma il modo in cui influisce e orienta lo sviluppo dell’azione con la sua sola presenza costituisce la rappresentazione viva, reale e tangibile di una centralità che avremmo fatto fatica a riconoscergli se non l’avessimo vista materializzarsi davanti ai nostri occhi sotto forma di occasioni create con e grazie a lui; già nella rete di Scalvini, ad esempio, il suo movimento a tirare fuori Diomande risulta fondamentale per liberare la traccia interna su cui si inserisce Zappacosta.
Quei primi 45’ in Portogallo diventano la conferma di ciò che Gasperini stava teorizzando da un po’ e cioè che CDK potesse essere l’esterno creativo che stava cercando da almeno due stagioni, da quando cioè si era interrotto il sodalizio tecnico con Alejandro Gómez; rispetto al “Papu” De Ketelaere è meno incisivo ed esplosivo nell’uno contro uno e non è così autosufficiente quando si tratta di creare dal nulla per sé e per gli altri, ma le sue qualità nel tocco e nel gioco corto fanno di lui la leva ideale per azionare esterni come Holm, Ruggeri e Zappacosta, tutti maggiormente a proprio agio quando possono essere serviti in situazione dinamica sul piede forte. Dopo lo Sporting l’Atalanta vince appena due delle successive cinque partite, poi la vittoria contro il Milan del 9 dicembre è la prima di dieci nelle undici gare disputate fino all’11 febbraio tra campionato e Coppa Italia: in questo lasso di tempo De Ketelaere ha segnato otto gol, il più significativo dei quali al Frosinone, un sinistro in corsa sotto la traversa che quasi spacca la porta difesa da Turati. Un gesto tecnico persino brutale se rapportato al suo talento etereo, sfuggente, così poco fisico e soverchiante per essere un calciatore dell’Atalanta di Gasperini.
Negli ultimi due mesi, cioè il periodo in cui i picchi prestazionali di molti dei giocatori nerazzurri hanno trovato un nuovo punto d’incontro, De Ketelaere è stato impiegato o da mezzapunta ibrida con compiti di raccordo accanto a un secondo trequartista di corsa e inserimento come Pasalic o Koopmeiners (quando gioca Scamacca) o, più frequentemente, come terzo di sinistra del tridente. Ed è proprio in questo ruolo che CDK ha fatto vedere le cose migliori con e senza palla: Gasperini ha costruito per lui una piccola nicchia all’interno del suo sistema in cui il belga è libero di scegliersi la sua personalissima zona d’influenza sul centro-sinistra sulla base di ciò che la squadra avversaria è disposta a concedergli in fase di non possesso. Le continue e furiose sovrapposizioni di Ruggeri fanno sì che la sua giocata preferita sia il taglio esterno-interno palla al piede per ritrovarsi fronte porta al momento del passaggio o della conclusione, ma non è raro vederlo sfruttare per intero l’ampiezza del campo aprendosi sulla fascia per creare densità in zona palla e liberare lo spazio per l’attacco dell’area di rigore dal lato debole: così sono arrivati gli assist per Lookman contro il Milan e per Miranchuk contro l’Udinese, in quella che può essere considerata una vera e propria signature move individuale e collettiva dell’Atalanta che è tornata a giocarsi la qualificazione in Champions League.
Ed è proprio questo il dettaglio che spiega come Gasperini abbia trasformato in un autentico specialista un giocatore che credevamo potesse far bene tutto e che, invece, era finito in un limbo di astrazione e indeterminatezza in cui non riusciva a fare bene nulla. Adesso resta da capire se e quanto De Ketelaere possa andare oltre sé stesso e il sistema di cui è entrato a far parte, che poi è il limite che abbiamo sempre paura di valicare quando si tratta di valutare ogni giocatore che si trovi a performare in quel contesto così peculiare e atipico. Un contesto in cui, comunque, ha recuperato tutto quello che ci aveva fatto intravedere in lui il giocatore generazionale che può ancora diventare, nonostante tutto: «Charles ha del talento e il Milan lo aveva riconosciuto. Ha solo 22 anni, i miglioramenti e la trasformazioni fanno parte del processo: tra un paio di stagioni sarà cresciuto ulteriormente e avrà ancora 25-26 anni. A volte con i giovani bisogna saper aspettare, poi è il campo a parlare» ha detto Gasperini qualche giorno fa. Forse conviene fidarsi di chi ci ha restituito Charles De Ketelaere. Magari non quello che ci aspettavamo, di certo il migliore possibile in questo momento della sua carriera.