Gianluca Scamacca è il miglior attaccante italiano?

L'Atalanta e Gasperini ci hanno messo un po', ma ci hanno restituito una punta dal profilo unico. Che può tornare utile, molto utile, anche a Spalletti.

Alle ore 11 di domenica 14 aprile 2024, il tweet dell’account ufficiale dell’Europa League che celebrava Gianluca Scamacca come “Player of The Week” dell’ultimo turno era stato ricondiviso su X da 118 utenti. Tra questi c’è anche lo stesso Scamacca che ha allegato al post la foto dell’esultanza successiva al suo secondo gol ad Anfield Road, una specie di shrug à la Ibrahimovic – non a caso il suo idolo di gioventù, come rivelò quasi tre anni fa in una lunga intervista a Sportweek – che aderisce perfettamente alla sua iconografia, all’idea che ci siamo fatti di lui in questi anni: quella di un giocatore unico nel suo genere, forte e sicuro di sé, ma anche indolente al limite dell’arroganza, e che proprio per questo sembra trascinarsi stancamente per il campo prima di esplodere con il fragore del tuono. Ma solo se e quando gli va

Evidentemente contro il Liverpool di Klopp gli andava eccome, soprattutto dopo che Luciano Spalletti lo aveva escluso dalla Nazionale nell’ultimo giro di convocazioni prima dell’Europeo. E dopo che Gasperini, a fine febbraio, aveva dichiarato che non si potesse ancora parlare di lui come un campione, nonostante stesse lavorando molto duramente per diventarlo. Da allora Scamacca ha realizzato sei gol nelle successive otto partite, di cui quattro nelle ultime tre gare europee e ben tre nelle due prestigiose trasferte di Lisbona (contro lo Sporting) e Liverpool. Dal 2022 a oggi nessun giocatore italiano ha segnato più di lui nelle coppe continentali, così come nessuno si è mai anche solo vagamente avvicinato alla doppia cifra che lui ha invece raggiunto senza troppi problemi nelle 16 partite disputate con West Ham e Atalanta nelle ultime due stagioni.

«Credo che la mancata convocazione sia stata giusta, ma in me non c’è alcun sentimento di rivalsa. Questo è un percorso che ho iniziato da quasi sette mesi e ora ne sto raccogliendo i frutti: penso sia un grande punto di partenza», ha dichiarato Scamacca subito dopo la partita con il Liverpool. Quella che, a 25 anni e dopo aver cambiato sette maglie in sette stagioni, dovrebbe averlo finalmente proiettato in una dimensione diversa e ulteriore della sua carriera. Non a caso, dopo la gara contro il Liverpool il suo allenatore ha detto che «questa partita deve essere un’iniezione di grandissima fiducia per Scamacca: lui spesso va a momenti nelle partite e improvvisamente si spegne perdendo fiducia. Stasera per la prima volta è stato continuo per tutti i 90′, solamente così può diventare un giocatore di alto livello come ci si aspetta dai mezzi che ha a disposizione»

Quando si parla di Scamacca viene naturale puntare sulla retorica dell’unicorno e su quella del giocatore che è pronto a prendersi tutto quello che gli spetta per diritto di nascita e per nobiltà calcistica, del centravanti estremo e peculiare che già di per sé costituisce qualcosa di mai visto in un campionato tradizionalista e conservatore come quello italiano, un porto delle nebbie in cui un classe 1999 come lui viene ancora considerato un giovane promettente. Se poi ci si trova nel bel mezzo del decennio in cui la crisi degli attaccanti italiani è più profonda che mai, per di più a due mesi dall’inizio ei Euro 2024, viene altrettanto naturale pensare a lui come il miglior numero 9 italiano in questo momento storico, la pietra angolare su cui costruire i sogni e le speranze di un futuro migliore a medio e lungo termine dopo gli anni passati ad aspettare inutilmente i nuovi Vieri, Inzaghi, Totti e Del Piero ed essersi ritrovati con il solo Balotelli all’altezza di questa eredità, peraltro per il solo breve volgere degli Europei 2012. Ma è davvero così? Oppure la penuria di talenti offensivi è talmente grave e radicalizzata da farci apparire fuori scala qualsiasi giocatore che riesca ad andare oltre le Colonne d’Ercole dei 15 gol stagionali?

Nel caso di Scamacca è come se entrambe queste visioni trovassero un punto d’incontro. Perché in realtà c’è ancora una certa distanza tra ciò che ci aspettiamo che Scamacca possa fare, almeno in teoria, e ciò che fa nella pratica. Questo concetto si comprende meglio quando si guarda uno degli aspetti più caratterizzanti e affascinanti del suo gioco, vale a dire il modo in cui riesce a relazionarsi con i compagni nell’ultimo terzo di campo dopo aver ricevuto palla sulla trequarti. Normalmente saremmo portati a pensare che un giocatore dalle caratteristiche fisiche e tecniche di Scamacca sia pienamente autosufficiente nella generazione di occasioni da gol per sé e per gli altri, che basti lanciare la palla lunga in avanti e poi aspettare che l’azione progredisca attraverso di lui come per magia, attingendo alla sempre florida narrazione che equipara i centravanti alti dotati di grande tecnica ai lunghi passatori alla Nikola Jokic che stanno dominando il basket Nba grazie a un’interpretazione del ruolo che li identifica come dei veri e propri mega-creator da cui tutto passa, tutto si crea e tutto si distrugge. Eppure, se c’è una cosa che l’infausta parentesi al West Ham ci ha dimostrato, è che Scamacca non è l’equivalente calcistico di Jokic e che anche un freak atletico delle sue dimensioni ha bisogno di sovrastrutture tattiche adeguate per permettere alle sue qualità associative di esprimersi in tutta la loro efficacia.

In un calcio come quello dell’Atalanta di Gasperini, in cui le connotazioni verticali emergono in una maniera persino brutale per qualità e continuità, Scamacca diventa un giocatore prezioso per sostenere l’azione delle catene laterali in fase di risalita del campo o per favorire l’inserimento senza palla sulle di Pasalic e/o Koopmeiners, trasformandosi nel trequartista ombra in grado di mandare in porta i compagni con una palla servita sulla corsa alle spalle del centrale attirato fuori dalla propria comfort zone. Che, poi, è esattamente quello che è accaduto al minuto 82 della sfida contro il Liverpool, quando con una semplice finta di corpo ha orientato il movimento dell’intera linea difensiva della squadra di Klopp in modo da liberare lo spazio per la corsa di Éderson, poi trovato dal passaggio in profondità che ha tagliato fuori quattro uomini in un colpo solo.

Se avviate il video potete gustarvi l’assist per Éderson, ma in realtà tutta la sintesi è una masterclass di Scamacca. E dell’Atalanta.

Se lo Scamacca rifinitore è figlio dei tempi in cui nessun attaccante che non si chiami Erling Braut Haaland può permettersi di essere solo un finalizzatore, è proprio lo Scamacca finalizzatore che si pone testa e spalle sopra qualsiasi altro attaccante italiano in questo momento. C’entra, naturalmente, un conversion rate che sfiora il 100% se confrontiamo il rapporto tra  expected goals e reti realizzate – in Serie A siamo a otto gol segnati per 8,24 xG complessivi prodotti, poco meno di 0,68 a partita secondo FootyStats – ma c’entra soprattutto la qualità e la varietà di soluzioni a sua disposizione nel momento in cui si tratta di concludere verso la porta avversaria. Ciò che colpisce, al di là della sua facilità di calciare indifferentemente di destro e di sinistro, da qualsiasi posizione e con eguale potenza e precisione, è il modo con cui riesce sempre a trovare la via più veloce per segnare, come se il fine ultimo non fosse il gol in sé ma la ricerca del minor numero di tocchi necessari affinché la palla passi dal suo piede al fondo della rete. 

Qualche anno fa girava in rete questo video relativo alla stagione 1989/90 di Hugo Sánchez, quella in cui il centravanti messicano del Real Madrid si laureò per la quinta volta Pichici della Liga segnando 38 gol, tutti con un tocco al volo o di prima: ecco, in questo senso Scamacca  può essere considerato in potenza come un giocatore ugualmente letale e creativo, una punta che dà il meglio di sé quando può improvvisare in situazioni complesse dentro e fuori l’area di rigore nello spazio di una frazione di secondo, come se avesse il potere di deformare a sua piacimento la dimensione spazio-temporale della partita. In quella contro l’Empoli del 30 ottobre scorso, quando è andato a una traversa di distanza dalla sua prima tripletta in campionato sotto gli occhi di Spalletti, Scamacca ha segnato un gol di tacco che l’account ufficiale della Serie A in lingua inglese ha definito “oltraggioso” (ma il termine si può tradurre anche con “esagerato”) per come è riuscito quasi senza sforzo ad annullare l’errore sul primo controllo con una giocata talmente contro-intuitiva da vanificare l’uscita tecnicamente perfetta di Berisha che credeva di avergli aveva chiuso l’unico angolo di tiro disponibile. Nel secondo tempo, poi, ha scaricato un destro sul primo palo che costituisce davvero una citazione al primo Balotelli, quello che assecondava l’istinto primario di ogni attaccante, cioè calciare non appena avesse stabilito un contatto con la porta, sentendola prima ancora di vederla.

Niente male davvero

Scamacca è sempre stato un giocatore difficile da capire e interpretare, come tutti quelli che sembrano essere capitati per sbaglio all’interno di un corpo troppo grande per riuscire a esprimere tutto il proprio potenziale tecnico. Per questo l’approdo all’Atalanta è sembrato fin da subito un passaggio giusto e naturale per razionalizzare le spigolature di un talento che si è sempre retto su un sistema di contrappesi e controsensi legati al suo essere un attaccante di quasi due metri che, incredibilmente, sembra trovarsi a proprio agio solo in quelle situazioni e in quei contesti che sarebbero più adatti a giocatori che pesano la metà di lui. E che siano più bassi di almeno venti centimetri. Eppure è proprio questo apparente cortocircuito che lo ha trasformato nell’attaccante italiano più forte, o comunque in quello che è riuscito ad andare oltre la specializzazione e la settorializzazione che costituisce il limite oltre il quale i vari Immobile, Belotti, Retegui e Kean non sono mai riusciti ad andare, e che li pone su un piano inferiore rispetto a tanti omologhi nel resto d’Europa.    

Anche Scamacca abita una dimensione ancora lontana da quella in cui si trovano altri grandi centravanti, pensiamo per esempio a Harry Kane, ma al momento resta l’unica punta italiana che può aspirare a uno status davvero elevato, nella gerarchia a strati del calcio europeo. Col tempo, l’incastro tipo puzzle con l’Atalanta e con Gasperini ha dato dei frutti promettenti, quantomeno gli ha permesso di riprendersi una centralità proporzionata ai suoi mezzi. Un finale di stagione e un (possibile, probabile) Europeo vissuti in vetrina potrebbero cancellare tutti i dubbi rimasti su di lui, sul fatto che Spalletti – cioè l’Italia – abbia finalmente un attaccante all’altezza dei suoi compagni di altri reparti. E il fatto che non ci sia grande concorrenza, purtroppo, non deve sminuire la sue qualità: quelle ci sono sempre state, ci sono ancora, e ora si stanno manifestando di nuovo. Non è ancora troppo tardi, forse.