L’assunzione di Francesco Farioli all’Ajax è una notizia storica, a suo modo. Intanto crea un prima e un dopo a livello statistico, visto che Farioli sarà solo il secondo allenatore italiano a guidare un club di Eredivisie – l’unico precedente è quello di Massimo Morales, che nel 1999 ha guidato per due mesi il De Graafschap. E poi c’è anche una questione di meritocrazia, di giustizia, di trasformazione culturale: il nuovo tecnico dell’Ajax ha compiuto da poco 35 anni, non è mai stato un calciatore professionista e ha cominciato il suo percorso professionale, come assistente tecnico e poi come preparatore dei portieri, nelle categorie minori toscane. Eppure è riuscito a rendersi eleggibile per la panchina della squadra più iconica del calcio olandese.
Ecco, questo è il punto più interessante dell’intera questione, dell’intera operazione: Farioli che va all’Ajax significa che l’Ajax ha visto in lui – o meglio: nelle squadre che ha allenato, il Fatih Karagümrük, l’Alanyaspor e soprattutto il Nizza – una certa aderenza al suo modello storico. Un modello che, almeno dal punto di vista tecnico-tattico, non ha mai conosciuto eccezioni o negoziazioni: l’Ajax deve giocare un calcio ricercato, obbligatoriamente offensivo, possibilmente spettacolare. E non si tratta di una scelta estetica. O meglio: l’estetica, in questo caso, non è la motivazione fondamentale. L’Ajax, infatti, pretende questo tipo di calcio perché è l’unico modo che ha per sviluppare – e per mettere in vetrina – i suoi giocatori di talento, che siano quelli venuti fuori dalle giovanili oppure quelli arrivati da altri club. La scelta di giocare in un certo modo, all’Ajax, è certamente legata alla storia e e all’identità del club. Ma è soprattutto una strategia di sopravvivenza, soprattutto da quando la sentenza-Bosman ha liberalizzato il calciomercato europeo.
Subito dopo l’annuncio ufficiale relativo all’annuncio di Farioli, l’Ajax ha pubblicato su Instagram un carousel di immagini in cui Farioli parla di sé e del suo modo di vedere il calcio. Nelle frasi attribuite al tecnico italiano, le trovate sotto, ci sono riferimenti a Cruijff, al 4-3-3, ai principi tattici che caratterizzano da sempre l’Ajax, al dna del club olandese. Ecco, torniamo di nuovo sullo stesso discorso: i dirigenti dell’Ajax hanno individuato e voluto e contrattualizzato un allenatore che ritengono affine alla storia e all’identità dell’Ajax. Altrimenti, molto banalmente, non l’avrebbero preso. Ed è una sensazione reciproca, anche al di là delle parole di Farioli: le sue squadre hanno sempre praticato un gioco sofisticato, esteticamente godibile ma tutt’altro che spregiudicato – il Nizza, non a caso, ha chiuso la Ligue 1 23/24 con la miglior difesa (29 gol subiti). E hanno saputo valorizzare le qualità dei calciatori, e in questo senso basta pensare a quanto sono cresciuti, negli ultimi mesi, Khéphren Thuram, Jean-Clair Todibo e Terem Moffi.
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State per leggere una frase che potrà sembrare altisonante, ma in realtà non lo è: il fatto che l’Ajax abbia scelto Farioli segna un nuovo corso del club olandese, naturalmente, ma anche per tutti gli allenatori italiani. Perché l’Ajax non prendeva un tecnico straniero dal 1998, all’epoca era il danese Morten Olsen, perché da quando esiste una cultura tattica indiscutibilmente legata all’Ajax – dall’invenzione del Totaalvoetbal, quindi dalla fine degli anni Sessanta – non si era mai parlato di un tecnico italiano. E invece oggi è successo. Ed è un evento che sembra naturale, quindi ripetibile.
Per dirla in poche parole: Farioli all’Ajax vuol dire che la nostra scuola di allenatori si è staccata di dosso le vecchie etichette, non è più vittima di certi pregiudizi tattici. Anche perché non si tratta di un caso isolato: nei giorni in cui tutta Europa celebra Gian Piero Gasperini, il più moderno e influente tra i nostri allenatori della vecchia generazione, si parla tantissimo del fatto che Roberto De Zerbi possa approdare in un top club, dell’interesse per Enzo Maresca da parte del Chelsea. Insomma, stiamo assistendo alla nascita di una nuova nidiata di tecnici italiani in grado di imporsi anche all’estero, di farlo in qualsiasi club, quelli più importanti come quelli più integralisti e intransigenti dal punto di vista tattico. Ed è una notizia enorme importantissima. Intanto perché non è una cosa scontata, come dimostra la stasi decennale del coaching inglese, giusto per fare un esempio significativo. E poi perché significa che i nostri allenatori si sono evoluti, che in qualche modo sono cambiati rispetto al passato. Anche questo non era scontato.