La monotonia di Southgate è la forza dell’Inghilterra

Il suo ciclo si avvia verso la fine, è vero, ma ha riportato l’Inghilterra ai vertici del calcio internazionale. E stasera cerca un'altra finale.

Anche se oggi sembra incredibile, c’è stato un tempo in cui Gareth Southgate veniva percepito e raccontato come un innovatore. Dai suoi stessi connazionali, per giunta, quelli che oggi lo crocifiggono dopo ogni partita della Nazionale: era il 2018, non il 1998, e John Crace del Guardian scriveva che il ct dell’Inghilterra «ha mostrato a un’intera nazione come ci si comporta». In effetti, a pensarci bene, l’Inghilterra vista in Russia ai Mondiali di sei anni fa era una squadra giovane e brillante, che giocava in modo moderno e divertente. Non a caso, viene da dire, arrivò in semifinale. E così, per la prima volta in trent’anni, ribaltò quell’idea di predestinazione al contrario – alla sconfitta, alla subalternità, alla bruttezza – che aveva ammantato l’Inghilterra calcistica per tantissime edizioni degli Europei e dei Mondiali, persino quando in campo c’erano Terry, Lampard, Gerrard, Owen, Beckham, tutti insieme appassionatamente.

Poi però, come succede sempre nello sport, i buoni risultati hanno cambiato le aspettative. Le hanno rese più elevate. E così Southgate, dopo aver ridato dignità e freschezza a una Nazionale uscita malissimo dalle ere Capello-Hodgson-Allardyce (!), a quel punto è diventato un condannato a passeggio sul miglio verde, nel senso che doveva vincere. Anche perché, per sua (s)fortuna, si è ritrovato a gestire una vera e propria generazione d’oro, una fioritura di talenti con pochi precedenti nella storia della Nazionale inglese, e con pochissimi eguali in questa era calcistica. Ecco, per alcuni il fatto che Southgate non abbia vinto, che non ci sia ancora riuscito, è imperdonabile. E non importa che ci sia andato vicinissimo nel 2021, quando l’Italia di Mancini – una squadra meno mediocre di quello che si pensa, ma anche in evidente stato di grazia – riuscì a battere gli inglesi in finale, per altro ai rigori; e non importa che un anno e mezzo dopo, ai Mondiali del Qatar, soltanto la Francia di Deschamps – l’unica Nazionale al mondo con un roster più ricco rispetto a quello nelle mani di Southgate – abbia fermato la corsa dell’Inghilterra. E anche in quel caso ebbero un certo peso i rigori – vero, Harry Kane?

È vero, non possiamo negare che il tempo in cui Southgate è stato un innovatore sia finito da un pezzo, che da un pezzo la Nazionale inglese gioca in modo lento, noioso, dà la sensazione di soffrire contro chiunque e spesso risolve le partite solo grazie alla fiammata di uno dei suoi grandi campioni. Ma alla fine, pensandoci bene, queste evidenze potrebbero essere lette in maniera differente, in maniera opposta. Per esempio in questo modo qui: l’Inghilterra di Southgate è una squadra sempre competitiva, che ogni volta arriva ad affrontare dei grandi avversari negli appuntamenti che contano, che perde molto raramente (solo 16 gare su 100 da quando l’attuale ct è subentrato ad Allardyce) e che magari non incanta e non segna tantissimo, ok, ma incassa pochissimi gol. Soprattutto se guardiamo alle gare più prestigiose, quelle decisive: tra Euro 2020, Qatar 2022 ed Euro 2024, lo score è di nove reti subite in 17 partite complessive.

Nedum Onuoha, ex difensore del Manchester City, ha scritto un articolo sul sito della BBC – lo trovate qui – in cui c’è una lettura molto interessante. Questa: «Gli spettatori di Euro 2024 hanno la sensazione che le squadre più forti abbiano deluso le aspettative. Ma bisogna riflettere un attimo, su questo punto. Tanto per cominciare, siamo in fondo a una stagione massacrante, molti giocatori sono arrivati a 60 o 70 gare dall’estate scorsa a oggi. È per questo che molti ct hanno impostato la loro squadra guardando essenzialmente al risultato. Il nostro giudizio dovrebbe basarsi su questo, non ha senso fare paragoni con le partite dei club durante l’anno».

Insomma, se partiamo da questo punto di vista il lavoro di Southgate deve essere necessariamente rivalutato. Anche perché, pensandoci bene, a Euro 2024 soltanto i giocatori della Spagna – e, a tratti, quelli della Germania – hanno disegnato delle partite davvero brillanti. Il resto delle esibizioni viste in Germania sono state intermittenti se non addirittura scialbe, e di certo non c’è stata alcuna squadra che abbia offerto grandi spunti tattici. Certo, qualcuno obietterà che le ultime due Nazionali uscite vincitrici da un grande torneo – l’Italia di Mancini e l’Argentina di Scaloni – si sono imposte grazie a un’identità di gioco riconoscibile e sofisticata, ed è in questo modo che hanno colmato il gap con delle avversarie più forti, almeno sulla carta. Ma è proprio questo il punto, a pensarci bene: Southgate non può gestire l’Inghilterra come se fosse un club, non più; il talento a disposizione è così elevato che deve essere necessariamente assemblato in modo sequenziale, basico. È una questione di equilibri tattici ma anche gerarchici, di status: nella Nazionale dei Tre Leoni, oggi, devono convivere – e in qualche modo convivono – Kane, Bellingham, Foden e Saka, quattro campioni che durante la stagione con i loro club approcciano il calcio in maniera differente, quattro uomini-franchigia che saranno anche amici tra loro, anzi lo sono sicuramente, ma che in Nazionale non possono avere un’intesa come quella che si costruisce durante gli allenamenti quotidiani. E lo stesso discorso vale anche per i legami tra e con tutti gli altri giocatori dell’Inghilterra.

Mosca, 3 luglio 2018: Eric Dier segna il rigore decisivo che elimina la Colombia agli ottavi di finale del Mondiale. I calciatori e i tifosi dell’Inghilterra erano felici e lo sapevano. (Matthias Hangst/Getty Images)

E poi c’è un altro aspetto da tenere in considerazione, proprio in virtù di questo roster così vasto e così pregiato e così difficile da assemblare: Southgate, sorprendentemente, ha deciso di svecchiare la Nazionale inglese, di farlo alla vigilia dell’Europeo. E così ha rivoltato la lista dei convocati come un calzino, rendendola la terza più giovane tra tutte quelle che sono state composte in vista del torneo continentale (l’età media è di 26.5 anni, solo Turchia e Repubblica Ceca fanno rilevare un dato più basso). Eppure, nonostante gli inserimenti di giocatori praticamente all’esordio come Mainoo (19 anni), Wharton (20), Palmer (22) e Gordon (23), l’Inghilterra giocherà la terza semifinale di un grande torneo in sei anni. L’ottava in assoluto di tutta la sua storia, tra Mondiali ed Europei.

Sì, avete letto bene: da quando è diventato ct, Southgate ha permesso all’Inghilterra di raggiungere più di un terzo delle semifinali giocate tra il 1950 (l’anno in cui la Nazionale dei Tre Leoni accettò l’invito ai Mondiali per la prima volta) e il 2016. E se stasera dovesse battere i Paesi Bassi, conquisterebbe la seconda finale internazionale della sua carriera, il 100% in più rispetto a quelle disputate da Sir Alf Ramsey. Ecco, basterebbe questo, in realtà, a riscrivere la prospettiva storica di questi ultimi otto anni. Poi ci sarebbe anche un altro dato piuttosto significativo: Southgate in questo momento è il secondo miglior ct nella storia dell’Inghilterra per rapporto tra le partite partite vinte e quelle giocate, 63 su 100; davanti a lui c’è solo Fabio Capello, che però ha allenato la Nazionale inglese per 42 gare in tutto. E che ai Mondiali 2010, l’unico grande torneo disputato come commissario tecnico dei Tre Leoni, è stato eliminato agli ottavi di finale – dopo una prima fase a dir poco deprimente, per altro.

Tutto questo ragionamento non toglie che, al termine di questi Europei, il ciclo di Southgate potrebbe chiudersi. Anzi, forse è meglio dire che dovrebbe chiudersi, così che l’Inghilterra – intesa come squadra, ma anche come brand calcistico – possa sperimentare qualcosa di diverso, a livello tecnico-tattico come di gestione. A pensarci bene, esiste uno scenario ancora peggiore: quello per cui una sconfitta stasera contro i Paesi Bassi – o magari domenica in finale contro la Spagna – determinerebbe una sgradevole sensazione di incompiutezza, intorno all’esperienza di Southgate come commissario tecnico. I risultati delle singole partite, però, non possono e non devono cancellare un lavoro fatto in profondità, guardando sempre al futuro. E che ha riscritto l’idea stessa che abbiamo dell’Inghilterra. Anzi, proprio il fatto che Southgate sia pesantemente criticato nonostante abbia raggiunto tre semifinali (ed è in lizza per la seconda finale) tra Mondiali ed Europei è un chiaro segnale di cambiamento. Di miglioramento, di crescita. Non tutti se lo ricordano, ma otto anni fa, di questi tempi, la Nazionale più prestigiosa del mondo era reduce da una sconfitta contro l’Islanda agli ottavi di finale di Euro 2016, e in campo c’erano Rooney, Kane, Rushford, Walker, Sterling. Come dire: Southgate avrà anche dei difetti, avrà anche commesso degli errori, ma oggi certi eventi tragicomici capitano ad altre squadre. Se l’Inghilterra è diventata qualcosa di diverso, e lo è diventata, il merito è anche suo.