Come deve sentirsi quel campionato che in un’estate perde la sua stella più luminosa, alcuni dei suoi giovani promettenti e un paio di protagonisti ormai affermati? È lo stesso campionato che manca puntualmente gli appuntamenti più importanti delle coppe europee, con pochissime e sporadiche apparizioni nei turni primaverili. È anche lo stesso che non riesce a vendere i diritti di trasmissione delle sue partite e finisce per accontentarsi delle briciole, mentre una miriade di club indebitati fino al collo trema per aver visto fallire una delle società storiche. Insomma, non deve sentirsi troppo bene questo campionato. Eppure la Ligue 1 è sempre lì, nel rango delle grandi leghe europee. Nei top-5 c’è sempre, anche se è unanime il consenso sul fatto che sia al quinto posto. È il ranking Uefa a dirlo, ed è vero che i valori del campionato francese sono inferiori solo a Premier League, Liga, Serie A e Bundesliga. Però da tempo ha smesso di accorciare la distanza rispetto a quei quattro, non solo nel ranking. Anzi, adesso teme di farsi acchiappare da Eredivisie e Primeira Liga.
Molti provano a delegittimare il posto fisso della Francia nei top-5. Lo ha fatto anche Cristiano Ronaldo, secondo cui le squadre della Saudi Pro League sono migliori del campionato francese. Ma la discussione non dovrebbe riguardare una classifica astratta dei campionati, che di per sé dice poco. Piuttosto, si può contestare la presenza della Ligue 1 tra le cinque migliori leghe del mondo perché ha una natura diversa, è un campionato con struttura e obiettivi distanti da quello dei grandi campionati, molto più simile invece alle leghe che vediamo qualche gradino più in basso nel ranking.
La Ligue 1 si definisce la Ligue des Talents, la lega dei talenti, perché è quella in cui gli under 21 hanno più spazio, quella che vende di più e meglio le sue stelle. Ma senza risultati sportivi degni di nota è automatica la retrocessione da lega dei talenti a lega delle cessioni, la selling league per eccellenza, quella che nel linguaggio violento dei social viene storpiata in farmers league, un campionato buono solo per sfamare l’élite continentale in cima alla catena alimentare. Forse si può trovare un compromesso e chiamarla, più semplicemente, lega di sviluppo. Forzando un po’ il concetto, è la stessa condizione della Ligue 2, solo che per una seconda divisione questa condizione di subalternità sarebbe anche naturale.
Il campionato francese vive di vendite, una gigantesca vetrina di talenti, alcuni davvero tra i più lucenti sulla piazza, ma pur sempre una vetrina. Anche se la bilancia dei trasferimenti, almeno fino a questo punto della finestra di mercato, sembrerebbe dire altro. Le cessioni ammontano a 335 milioni, gli acquisti a 355 milioni. E non è merito del solo Paris Saint-Germain. C’entra soprattutto il Lione, che ha già speso da solo 134 milioni, quindi più di un terzo dei soldi investiti da tutto il campionato. Ma se escludessimo l’OL il bilancio sarebbe parecchio diverso. Quest’estate sono andati già via alcuni dei migliori giocatori della scorsa stagione, a partire ovviamente da Kylian Mbappé, poi lo sfortunato difensore Leny Yoro — pagato oltre 60 milioni dal Manchester United e già infortunato — e i due centrocampisti più interessanti arrivati in Serie A, Kephren Thuram e Enzo Le Fée.
È esattamente lo stesso refrain di ogni estate. In Italia lo sappiamo bene perché è dalla Francia che sono arrivati Rafael Leão, Victor Osimhen, Timothy Weah, Mike Maignan. E gli altri campionati fanno razzia esattamente come la Serie A. Anzi, anche di più. La Premier League ha davvero fatto della massima serie francese il suo terreno di caccia: 2,34 miliardi di dollari per i giocatori della Ligue 1 nell’ultimo decennio, per 145 giocatori acquistati. È una condizione che prima legava, ad esempio, la Liga alla Premier League, con la sola differenza che nel frattempo le squadre e i giocatori spagnoli vincevano a tutti i livelli in Europa dimostrando di poter competere con idee, visione, progettualità. Senza la ragione del campo è un’altra storia, suona tutto in tono minore.
I club francesi non riescono mai a competere davvero con le controparti, ogni stagione è propedeutica solo a mettere in mostra i pezzi più pregiati. Monaco e Lione dimostrano come la strada per il successo possa essere breve e verticale, ma quella che riporta giù è speculare. Lens e Tolosa stanno diventando la dodicesima e la tredicesima squadra diversa della Ligue 1 a giocare in Europa dal 2018/19, più di quelle della Premier League nonostante la Francia abbia meno posti in Europa. Perché se da un lato può essere un segno di competitività interna – livellata al ribasso? – dall’altro è la dimostrazione che spesso i progetti societari non hanno prospettive di medio o lungo periodo.
Non è un caso che oltre alle grandi squadre europee, anche i fondi d’investimento hanno deciso di fare spesa in Francia, cercando qui un club da aggiungere al portafoglio e usando la Ligue 1 proprio come laboratorio. È il caso di 777 Partners, RedBird e altri pesi massimi dell’universo private equity che hanno deciso di scommettere forte sul calcio francese. Ma c’è anche il City Football Group con il Troyes, attualmente in Ligue 2. Un fenomeno raccontato da Le Monde nel 2022: «Fiutando l’affare, i fondi approfittano della difficile situazione finanziaria dei club europei per concludere trattative a prezzi bassi, sperando di raddoppiare il loro investimento in pochi anni».
Proprio per la sua natura di lega di sviluppo, o di selling league, chi riesce a tenere insieme una squadra e a darle una visione coerente spicca sulla concorrenza. Ed è per questo che negli ultimi anni la Ligue 1 è stata un trampolino di lancio anche per alcuni allenatori. È il caso di Farioli, appena arrivato all’Ajax, ma c’è anche il rilancio di Paulo Fonseca, tornato in Serie A dopo l’esperienza a Roma e la tappa a Lille. Presto potrebbe essere il turno di Eric Roy, capace di portare il Brest in Champions League con una squadra decisamente meno quotata di Marsiglia, Lione, Nizza.
Certo, questa condizione è dettata anche da fattori positivi. Perché il sistema di sviluppo del talento in Francia funziona. È innegabile. Ci sono ottime infrastrutture di sviluppo giovanile, con una rete di accademie di club professionistici che scovano e formano giovani promesse ogni anno. C’è grande attenzione allo scouting e all’identificazione dei giocatori più adatti a giocare ai massimi livelli in Europa e in Nazionale. E poi c’è l’eccellenza di Clairefontaine, con i 14 centri regionali di pre-formazione. Qui viene allevata l’élite giovanile francese, selezionando tra migliaia di pretendenti pochi allievi da giostrare nelle tre categorie che in settimana alternano scuola e calcio (Under 13, 14 e 15) e vengono poi restituiti ai club nel fine settimana. Sono questi i motivi di una produzione enorme di talento calcistico, quella che a ogni grande torneo estivo ci permette di dire: «Deschamps potrebbe schierare almeno tre squadre fortissime e vincere».
Questa grande produttività però poi incoccia con la scarsa solidità finanziaria dei club. Le squadre francesi, anche quelle più importanti, sono povere rispetto alla prima classe europea. Il Paris Saint-Germain è l’unico nella top 10 della Football Money League di Deloitte 2024, il Marsiglia è 20°, il Lione 29°, e per trovare gli altri bisogna scavare un bel po’. In una condizione del genere, il ricco calciomercato europeo di quest’epoca è una via d’uscita troppo ghiotta per non monetizzare e dare aria alle casse societarie. Questa precarietà però espone tutti a rischi enormi e il disastro è sempre dietro l’angolo, come dimostra il fallimento del Bordeaux.
È evidente che anche ai piani alti della Ligue 1 e dei club non ci sia molto margine di manovra. Anche perché, come accade in ogni mercato aperto, se dall’altro lato del tavolo c’è qualcuno che conosce la tua situazione di difficoltà sono guai. Vale per una squadra che deve comprare il suo prossimo attaccante, vale per le tv e le piattaforme di streaming che offrono al ribasso per i diritti di trasmissione delle partite. È esattamente quello che è successo quest’anno, con uno stallo durato mesi sul bando nazionale, al punto che per qualche momento si è rischiato di non fare in tempo per aggiudicare la gara prima dell’inizio della nuova stagione. Il caso si è poi risolto a metà luglio con Dazn e BeIN Sports: la prima ha offerto 400 milioni di euro a stagione per la messa in onda in esclusiva di otto partite a giornata, la seconda avrà l’esclusiva su tutta la Ligue 2 e su una delle nove gare della Ligue 1 per 100 milioni. In totale fa mezzo miliardo, la metà di quanto sperava la lega. E adesso molti club che sopravvivono solo grazie a quel tipo di entrata rischiano di affrontare un periodo nero, a ridimensionarsi, o sparire del tutto. Non sarebbe così strano.