Occhi fissi sulla pallina, piedi veloci sempre in movimento, dritto, rovescio, ogni gesto si chiude sopra la spalla opposta come insegnano i maestri. C’è un ragazzino a fondo campo, capelli rossi e braccia sottili, in mano una racchetta che fa tutti i movimenti giusti. A 15 anni il tennis di Jannik Sinner era robotico e preciso, un manuale del gioco. A riguardare i vecchi video non si può pensare qualcosa di diverso da: quel ragazzino farà strada, ha la stoffa del campione e si vede. Deve essere uno dei tanti bias già ampiamente esplorati dalle neuroscienze. Lunedì uno di quei video è apparso sui social, ha iniziato a circolare come corollario della vittoria di Sinner agli Australian Open. La backstory del campione è uno dei motivi ricorrenti di tutte le piattaforme, tanto quanto la foto col morto e l’accusa agli offesi dopo una battuta razzista.
Il video non l’ha postato un amatore ma Danilo Pizzorno, l’uomo dietro la telecamera quel giorno del 2016 a Bordighera. Pizzorno ha lavorato per molti anni con Riccardo Piatti, il primo coach di Sinner, e oggi lavora al fianco di Liudmila Samsonova, numero 21 del Ranking femminile. Nel frattempo è diventato uno dei migliori video analisti del tennis mondiale, richiesto praticamente da chiunque abbia un problema da risolvere e non riesce a venirne a capo solo con l’aiuto del suo coach. L’archivio video di Pizzorno torna indietro fino al 1996, per una collezione di oltre 45 terabyte di riprese. «In quel periodo facevo il video analista per Riccardo Piatti, facevo tutte le analisi sui ragazzi che arrivavano da lui e davo delle valutazioni sui movimenti che andavano migliorati, sui singoli colpi, sugli spostamenti. Guardavo un po’ tutta la parte tecnica e tattica», dice Pizzorno in esclusiva a Undici.
A notare per primo Sinner era stato Massimo Sartori, già coach di Andreas Seppi, convinto di aver trovato una gemma rara sui campi più a Nord d’Italia. Così nel 2015 lo ha portato al centro di Bordighera, appena 14enne: quell’adolescente pelle e ossa aveva la capacità di leggere in anticipo le triangolazioni del gioco, l’altezza della pallina, i prossimi colpi. «In pochissimo tempo», dice ancora Pizzorno, «ci siamo accorti tutti che aveva una dote particolare: vedeva prima degli altri la traiettoria della palla, sapeva calcolare il rimbalzo, valutare come aggredirla. Doti che sicuramente possono venire fuori con l’allenamento, ma lui le aveva innate». Col senno di poi è difficile capire quanto del campione di oggi ci fosse già nel ragazzino di qualche anno fa. Il numero 1 del Ranking del 2025 era un numero 1 anche nel 2015? Di sicuro lo era in potenza.
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Uno di quei giorni a Bordighera, Pizzorno aveva organizzato dei test di allenamento molto innovativi per l’epoca, soprattutto per ragazzi ancora lontani dal professionismo. Aveva piazzato delle GoPro sulla testa dei giocatori per valutare il loro focus sulla palla, come andavano a cercarla: erano stati sufficienti pochi colpi per capire la differenza tra Sinner e tutti gli altri. I tempi di reazione erano su scale troppo diverse, il modo in cui tagliava il campo era già di un livello superiore, i pari età contro di lui andavano sempre fuori giri. «Quindi probabilmente sì, era solo questione di tempo prima che tutto questo si trasformasse nei risultati che stiamo vedendo nell’ultimo anno», aggiunge Pizzorno. «C’è stato un momento della sua carriera in cui ha raccolto poco in termini di vittorie, ma lì conta anche la maturità fisica e mentale, riguarda anche la sua personalità, la convinzione nei suoi mezzi. Eppure nonostante tutto si vedeva cosa sarebbe diventato».
In ogni grande storia di sport, nelle fasi di genesi del personaggio deve esserci una componente intangibile che porta il protagonista fuori dall’ordinario. Può essere la passione, l’ossessione o qualunque cosa nel confine sfumato tra le due. Il giovane Sinner non fa eccezione, accompagnato da una voglia di migliorarsi ai limiti del soprannaturale. «A 14 o 15 anni già viveva per il tennis, aveva questa passione pazzesca», ricorda Pizzorno. «Lo vedevi in un qualsiasi momento della giornata e lo sorprendevi a fare i movimenti a vuoto, un dritto, un rovescio, un servizio, senza racchetta, senza pallina. Sempre con l’idea di migliorare il gesto per migliorare tutto il gioco, Una volta era venuto a casa mia a Torino per fare delle analisi e alle sei e mezza di mattina mia moglie mi fa cenno che lui era nell’altra stanza a riprodurre questi gesti, appena sveglio. La cosa importante da sottolineare è che molto probabilmente lui immaginava quei movimenti in situazioni di partita. È una questione di approccio, lui aveva già la testa per essere campione». Arrivare al vertice come destino inevitabile. Ma rimanere in vetta, vincere tre Slam – e chissà quanti altri – e minacciare una tirannia duratura sul resto del circuito è un’altra storia. Non basta il talento, non basta la genetica, non basta il singolo: nemmeno in uno sport individuale come il tennis si vince senza una buona squadra.
Sinner cita sempre il suo staff dopo ogni vittoria, sa che non sarebbe lo stesso senza di loro. «Uno come lui a quel livello ci può arrivare in tanti modi diversi, però se poi ci resta così a lungo allora vuol dire che il team lavora bene e lavora in prospettiva, sa limare ogni dettaglio», dice Pizzorno. Nemmeno il numero uno può adagiarsi, soprattutto in questo tennis accelerato in cui gli aspiranti campioni sbucano fuori da ogni angolo, come hanno dimostrato João Fonseca e Learner Tien a Melbourne. «Tutto questo», aggiunge ancora Pizzorno «deve dare ancora più valore a quello che sta facendo Sinner con il suo staff per aggiungere sempre qualcosa, perfezionare qualcos’altro, per non farsi raggiungere da chi oggi sta dietro».
Migliorare vuol dire anche saper guardare alle nuove opportunità, comprese quelle proposte dall’innovazione tecnologica. Anche l’intelligenza artificiale può essere uno strumento al servizio di un coach, non per ridurre il lavoro ma per entrare nei dettagli dei colpi, studiare gli avversari, limitare gli errori, prevenire gli infortuni. «I nuovi strumenti sono già una componente importante nel tennis», spiega Pizzorno. «Ricordo che quando ho iniziato ho speso tantissimi soldi per comprare una telecamera adeguata per fare lo slow motion. Un’operazione che adesso col telefonino si può fare in meno tempo e con immagini migliori della telecamera di allora. Lo stesso si può dire per i computer, oggi facilmente sostituibili da un iPad. C’è sempre più strumentazione a disposizione e anche un’accessibilità molto maggiore rispetto al passato. Anche per questo si sta diffondendo tantissimo l’uso della tecnologia sui campi d’allenamento. Però è logico che ci vuole sempre la competenza di un allenatore che ha fatto la sua esperienza e che sa tracciare un percorso corretto nella crescita di un giocatore».
Sul profilo Instagram di Pizzorno ci sono anche altri video di Sinner, a Bordighera, a Elba, colpi da fondo, volée, smorzate. E il cappellino che qualche volta c’è e altre lascia spazio ai capelli lunghissimi da adolescente. Ci sono anche tanti altri giocatori, un archivio di oltre tremila video in cui compaiono Nadal, Djokovic, Murray, Hurkacz, Dimitrov, e ovviamente i tantissimi italiani che popolano i circuiti Atp e Wta. A rivedere certi colpi di Jasmine Paolini e Lorenzo Musetti, Matteo Arnaldi e Lorenzo Sonego, sembra di intuire perché già più di un anno fa si parlava di età dell’oro del tennis italiano (in questo momento ci sono 11 italiani nella top-100 dell’Atp). L’Italia ha saputo aggiornarsi, ha saputo costruire un movimento lavorando sulla formazione, dei giocatori e degli allenatori. È così che si imposta una crescita sistemica, iniziata con gli exploit isolati di Cecchinato, seguita dai primi lampi di Berrettini e Sonego, poi consolidata dall’arrivo di tantissimi talenti nati dopo il 2000. «I risultati straordinari di questo periodo li vediamo perché sono migliorati prima di tutti i tecnici», dice Pizzorno. «Chi deve curare lo sviluppo di un tennista oggi è più attento, sa cosa serve in ogni fase della costruzione, sa quali sono i tempi corretti per la crescita del ragazzo. Perché a certi livelli non può essere solo un discorso di talento, servono pazienza, visione, capacità di adattamento. Da Sinner in giù, nessuno avrebbe raggiunto i migliori risultati senza dei tecnici competenti al loro fianco».