Perché il Bernabéu ha fischiato Mbappé e fischia sempre i giocatori del Real Madrid?

Per un club che fa del successo la sua ragion d'essere, l'unico modo per scampare alle proteste è continuare a vincere: quando non succede, i tifosi non perdonano. Nemmeno i fuoriclasse.

È possibile segnare 36 gol in 52 partite alla prima stagione con la nuova squadra e finire fischiati dai propri tifosi? Sì, se quella squadra si chiama Real Madrid. E non importa se quel giocatore si chiami Kylian Mbappé: dalle parti del Bernabéu, nell’ultimo secolo, lo stesso inflessibile trattamento è stato riservato a mostri sacri che hanno fatto la storia del club – senza nulla togliere al francese, subito chiamato a bissare un’annata (Liga più Champions League) statisticamente irripetibile. È il prezzo da pagare in una realtà ossessionata dai trofei: appena non arrivano, dagli spalti si alzano puntuali mugugni di disapprovazione. Non ci sono alternative, nel destino del Real Madrid. Vinci o sarai costretto a vincere.

Le proteste sono rimbombate forti e chiare durante l’ultimo match di campionato, domenica contro il Celta Vigo. Non è bastata la doppietta di Mbappé dopo il gol di Guler, con la sfida in ghiaccio già al 48esimo, per placare il mal di pancia dei tifosi: negli occhi ancora l’onta subita dal Barça in finale di Coppa del Re. E pazienza se alla fine di questa settimana ci sarà un nuovo Clásico, e che un’eventuale vittoria del Madrid potrebbe riaprire una buona fetta di campionato. Per aver tradito le aspettative – naturalmente altissime – i ragazzi di Ancelotti andavano fischiati. Punto. A partire da Vázquez e Tchouameni, individuati come i principali responsabili della più recente sconfitta (è bastato che lo speaker chiamasse i loro nomi).

Va detto: in questo i tifosi dei blancos sono spietatamente democratici. Da tempo non risparmiano nemmeno Mbappé, travolto dai ‘buuuu’ all’indomani dell’eliminazione europea per mano dell’Arsenal: durante la gara seguente, in casa contro l’Athletic, il francese era in tribuna squalificato, ma appena le telecamere l’hanno inquadrato sui maxischermi l’intero stadio si è espresso fin troppo eloquente. D’altronde l’ex PSG è stato protagonista del trasferimento a parametro zero più costoso della storia – ingaggio quinquennale fino a 150 milioni di euro, bonus compresi – e qualunque altro esito che non sia lo stradominio sportivo non è all’altezza dell’investimento (così il popolo ha parlato). I miracoli non li fa neanche Mbappé, mancato però nei momenti decisivi e non ancora migliorativo – al netto dei tanti gol – all’interno dello scacchiere tattico di Ancelotti.

«Questi fischi sono una strigliata accettabile», ha commentato proprio Ancelotti, ben conscio dell’ambiente circostante e di cosa riesca a stimolarlo. Anche perché la stessa sorte, in questa stagione, era già toccata a Vini Jr. – che a differenza di Kylian col Real ha già vinto tutto, da protagonista, fino a diventare un simbolo collettivo di un club oltraggiato per il mancato arrivo del Pallone d’Oro, soltanto pochi mesi fa. E riavvolgendo il nastro, non sono stati risparmiati dalla pubblica contestazione nemmeno Zidane, Bale, Ronaldo (sia il Fenomeno, sia CR7) Casillas, Valdano o Di Stéfano. Praticamente il gotha della storia Real, il gotha del calcio mondiale. Ci vogliono le spalle larghe per giocare al Bernabéu, devono ancora più larghe per sopportare le conseguenze di una mancata vittoria.

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