Cesc Fàbregas che resta al Como non è una scelta strana, è una scelta giusta

Elogio di una scelta controcorrente: dire di no al Bayer Leverkusen per rimanere sulla panchina di una "provinciale" che studia da grande.

Chissà che a portare consiglio non sia stata proprio la parabola tedesca: un anno fa era toccato a Xabi Alonso resistere alle sirene di un top club, poteva essere Liverpool, Barça, Man United, alla fine è stato ancora Bayer Leverkusen. Oggi, da un allenatore spagnolo all’altro – e già compagni di reparto, nella Spagna che vinse tutto – la risposta alle tentazioni è la stessa. Grazie, ma vado avanti dove mi trovo. Parola di Cesc Fàbregas, che così risponde “no” proprio a quello stesso Bayer pronto a salutare l’artefice del trionfo in Bundesliga della scorsa stagione, stavolta per davvero. Piccolo spoiler: se attendere dodici mesi vale la panchina del Real Madrid, come è accaduto a Xabi, la guida tecnica del Como può dormire sonni tranquilli. Rimanere sulle rive del lago è tutto fuorché un azzardo.

Certo è che la notizia arriva come un colpo di scena, con Fàbregas da mesi promesso sposo del Bayer. E siccome però questo matrimonio non s’ha da fare, va individuato il Don Abbondio di turno (più benefico nel calcio, in tal caso, che nella letteratura). Faraoniche controfferte dei Suwarso? Segnali instabili dalla Germania? Forse e più di tutto l’adrenalinico effetto del campo. Perché il Como di Cesc viaggia al ritmo di sei vittorie consecutive, in questo frangente sarebbe in testa alla classifica della Serie A. E dopo tanti sforzi, fatti di una promozione al fotofinish e di un girone d’andata invischiato nella lotta per non retrocedere, di colpo la squadra di Fàbregas si è ritrovata a sbocciare in primavera. Freschi, belli, un po’ sfacciati. Giovani e leggeri. Capaci di divertirsi – e di divertire – a suon di gol e giocate in transizione. Se non è Diao è Nico Paz. Se non è Paz è Douvikas. O Strefezza, mattatore plurimo di questo decimo posto che per una neopromossa vale un mezzo scudetto.

A questo punto allora, perché mai Fabregas dovrebbe lasciare Como? Ha a disposizione risorse pressoché illimitate, un club che continua a dargli carta bianca – dopo averlo aspettato e lanciato nella nuova professione, quando ancora non aveva il patentino – e un contratto fino al 2028. Certo il Leverkusen rappresenta il salto di qualità, l’usato sicuro di livello europeo: Champions League, rosa potenzialmente da anti-Bayern, i mezzi per andare subito a caccia di trofei. Uno sballo, per chi non conta nemmeno 50 panchine da allenatore in carriera. Pure troppo. C’è anche il rovescio della medaglia: la pressione dei risultati, l’incognita di un campionato straniero – che Fabregas non ha mai assaggiato nemmeno da giocatore – e la pesantissima eredità di Xabi Alonso (perché meglio del Bayer 2023/24, un solo ko su 53 gare stagionali, è statisticamente impossibile fare).

A Como invece, Fàbregas ha davanti a sé uno spazio vergine. E può farci quello che vuole: sperimentando il suo calcio, scegliendo gli esatti uomini per interpretarlo. Sul taccuino ci sono già Eric Garcia – occhio al prezzo, dopo i gol all’Inter e al Real –, Bryan Cristante e Yeremay Hernández, promettente attaccante del Deportivo La Coruña. Gli altri arriveranno. C’è tutta l’estate davanti. Anche di più. Ed è finalmente il momento di raccogliere i frutti di questi diciotto mesi: il Como nel calcio italiano è in vorace ascesa, ma con la serenità di chi sta già riscrivendo la propria storia. Da qui in poi la scalata va goduta, quanto in alto non si sa – l’Atalanta resta il modello dichiarato. Ma sulla provinciale che si fa largo per la Serie A c’è e ci sarà sempre il marchio di Fàbregas.

Questo non vuol dire che però sia stata una decisione facile. Molti altri allenatori non avrebbero saputo resistere all’inno della Champions (e tanti saluti). Nessun osservatore, al contempo, si sarebbe mai permesso di dare a Fàbregas del mercenario in caso di sì al Bayer: i risultati parlano per lui, l’offerta di una big non è occasione che capita tutti i giorni. E se l’è meritata. C’è però un altro aspetto da considerare, che un visionario centrocampista come lui – certe traiettorie ti restano dentro – non può aver tralasciato: la pazienza, alla lunga, paga. Rifiutare la Bundesliga è scommettere su se stessi. Sull’ancora di più, un giorno. E su quel Como che ha smesso di porsi limiti. «I ragazzi si butterebbero contro un muro per me», ha detto Cesc dopo aver battuto la Fiorentina, tra le tante vittime eccellenti di questo girone di ritorno. «Seguono ogni mia indicazione perché sanno di poter migliorare. Le nostre prestazioni sono ottime, di partita in partita. Sono sempre più contento di quello che stiamo realizzando». Dove la trova un’altra squadra così? Le notti europee possono aspettare. E magari venire loro a Como, in futuro non troppo lontano.

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