Non solo l’Inter Miami, «che vivo con molta più ansia da co-proprietario seduto in tribuna rispetto a quando scendevo in campo». A 50 anni appena compiuti, David Beckham è stato inserito tra le cento personalità più influenti al mondo – sezione beneficenza – nella speciale classifica stilata da TIME per il 2025. Una sorta di carrellata di vip con vocazione umanitaria: al fianco dello storico uomo simbolo dell’Inghilterra calcistica, troviamo personaggi del calibro di Michael Bloomberg, Oprah Winfrey, la coppia reale William e Kate. Ma l’ex Real Madrid e Manchester United è l’unico sportivo della lista insieme a Steph Curry.
La prestigiosa rivista statunitense incorona Beckham «campione del cambiamento». Qualcosa che tende a passare in secondo piano all’interno del suo portfolio sterminato: dirigente nella MLS, a capo di innumerevoli business – prodotti di bellezza, integratori alimentari, una piccola casa di produzione cinematografica, che ha dato supervisione all’omonimo documentario su Netflix a lui dedicato –, testimonial di grandi marchi come Hugo Boss e Stella Artois. Ma David è anche ambasciatore di lunga data per l’UNICEF. E uno dei suoi più attivi contribuenti.
«Voglio vedere vittorie in ogni contesto», spiega Beckham. «Voglio vedere i bambini passeggiare con vestiti adeguati e non essere soggetti alla violenza delle loro case, scuole o comunità. Garantire loro un’istruzione. Tenerli lontano dai matrimoni precoci. Quando ti impegni in progetti del genere e vedi queste cose accadere, ecco dov’è la vittoria». E in occasione del suo recente compleanno, l’ex centrocampista ha lanciato una nuova raccolta fondi per la medesima organizzazione internazionale per l’infanzia, sfruttando al meglio il suo bacino d’utenza da 88 milioni di follower su Instagram (più di qualunque altro calciatore oggi in attività in Premier League).
Beckham spiega che fare beneficenza è come «una terapia benefica», anche per sé stesso – e TIME sottolinea che la sua collaborazione con l’UNICEF è lunga quasi come il suo matrimonio con Victoria. Così ha viaggiato in luoghi che il calcio non contemplava: Sierra Leone, India, Indonesia, all’interno di missioni umanitarie a tutela dei bambini e delle famiglie sotto la soglia di povertà, in questi e altri paesi. L’impatto del suo attivismo è globale, dal Nepal a El Salvador. Fino alla natia Inghilterra, dove Beckham l’anno scorso si è unito al Principe William per raccogliere 20 milioni di dollari destinati al servizio di ambulanza aerea di Londra.
A gennaio, nel corso del consueto meeting annuale a Davos, il World Economic Forum ha consegnato a Beckham un Crystal Award «per il suo impegno umanitario di lungo termine e l’instancabile attività per migliorare le vite dei bambini, diventando un portavoce dei loro diritti in tutto il mondo«. D’altronde, sottolineano i vertici dell’UNICEF, «David potrebbe benissimo far nulla: è ricco, famoso, popolare. Invece lavora instancabilmente per le persone che ne hanno più bisogno». E secondo sua moglie Victoria, “finora ha soltanto scalfito la superficie del suo vero potenziale». Cento di questi TIME100, insomma.
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