In un tennis moderno fatto di rovesci a due mani, allenatori che cambiano in fretta e la nuova figura dei “super coach”, Lorenzo Musetti si concede il lusso di essere l’unico giocatore nella top 10 del ranking ATP con il rovescio a una mano. E l’unico con lo stesso coach da quasi vent’anni. Simone Tartarini lo allena dai tempi delle scuole tennis ed è il compagno di viaggio con il quale ha condiviso tutto, persino il letto, quando i soldi da spendere ancora non c’erano. Un allenatore che, come spesso accade in rapporti così longevi, è diventato anche un secondo padre.
Prima di partire per i tornei in Asia, Tartarini ha raccontato a Undici gli ultimi mesi di quello che è stato l’anno più intenso di Musetti. Un’altalena di emozioni continua, nel corso del quale ogni successo è stato segnato da un infortunio e ogni soddisfazione ha dovuto fare i conti con un periodo di pausa. Dalla finale di Monte Carlo al breve stop di Barcellona, passando per due semifinali ai Masters 1000 di Madrid e Roma. Dino ad arrivare alla semifinale del Roland Garros contro Carlos Alcaraz. Anche se quella del 2025 è stata sicuramente la miglior stagione sulla terra battuta di Musetti, il tempo per festeggiare quasi non c’è stato: lo stop per infortunio sull’erba e un primo turno perso a Wimbledon hanno rimesso tutto in discussione. Musetti è arrivato in America scarico e nervoso. Solo il doppio giocato con l’amico Sonego a Cincinnati ha fatto ripartire i motori, giusto in tempo per gli US Open, dove ha raggiunto i quarti di finale persi contro un Sinner nettamente superiore.
In seguito al ritiro di Jack Draper e con l’incertezza intorno al nome Novak Djokovic, la corsa per un posto alle ATP Finals sembra più aperta che mai. Ma, a detta di coach Tartarini, «le Finals possono sembrare vicine ma sono ancora molto lontane». Il tennis non è solamente una questione di programmazione, scelte tecniche e superfici. Prima di ogni ogni decisione, bisogna fare i conti con la pressione, le emozioni e la maturità di un giocatore. Musetti dovrà lottare fino all’ultimo torneo per assicurarsi un posto tra gli otto migliori tennisti della stagione. E quindi Simone Tartarini è costretto ad ammetterlo: «Dovrò fare una scorta di ansiolitici.
Dopo la grande stagione sulla terra rossa, Lorenzo si è dovuto fermare per via dell’infortunio all’adduttore sinistro in cui è inciampato in semifinale al Roland Garros. E che l’ha tenuto fermo fino a Wimbledon, dove è uscito al primo turno. Per voi la stagione sull’erba era molto importante, come avete gestito quel mese complicato?
All’inizio speravamo che l’infortunio fosse più leggero, invece è stato costretto a saltare sia il torneo di Stoccarda che il Queen’s, due tornei molto importanti soprattutto in vista di Wimbledon – dove Lorenzo difendeva la semifinale. Ma quando siamo arrivati a Londra devo dirti che ero abbastanza tranquillo, perché nei primi giorni di allenamento a Wimbledon Lorenzo ha giocato in maniera perfetta, le prospettive erano buone. Mi ricordo il match di allenamento con Draper: era andato benissimo, come se lo stop non ci fosse mai stato. Poi purtroppo il giovedì prima del torneo si è preso un virus e fino alla domenica ha avuto una fortissima dissenteria. Ha perso tre chili in quattro giorni, non riusciva a stare in piedi. Puoi immaginare quanto fosse debilitato quando è sceso in campo al primo turno contro Basilashvili.
Anche la trasferta in America e in Canada non è andata bene. Primo turno a Washington, secondo turno a Toronto e primo turno a Cincinnati. Come mai?
Quando abbiamo iniziato ad allenarci sul sintetico prima della partenza era molto nervoso, non sentiva bene la palla. Mi sembrava di rivedere un po’ la vecchia versione di Lorenzo: lamentoso e negativo. Forse perché con lo stop prolungato dopo il Roland Garros ha ricominciato a sentire la pressione del ranking. Devo dire che tra Washington, Toronto e Cincinnati ha giocato tre match identici, pieni di alti e bassi. Nei momenti importanti prendeva le decisioni sbagliate ed era poco convinto. Sono abbastanza sicuro che quella pausa abbia influito in maniera molto negativa. Quello che finalmente ci ha salvati è stato il doppio che ha giocato a Cincinnati con Lorenzo Sonego: lì si è divertito e si è alleggerito. Sono arrivati in finale esprimendo un ottimo tennis. Lorenzo era tornato di buon umore e quando siamo arrivati a New York, anche grazie all’arrivo della sua famiglia, l’ho rivisto felice.
In campo l’impressione è che tu debba motivarlo ad ogni punto. Lorenzo è un ragazzo “umorale” che richiede molta della tua energia positiva o si motiva abbastanza anche da solo?
Guarda, come ha detto anche Flavio Cobolli in conferenza stampa, Lorenzo deve credere di più in se stesso. Ed è per questo che forse siamo arrivati un po’ più tardi tra i top player. Deve davvero migliorare sotto questo aspetto e affrontare le partite essendo consapevole dei suoi mezzi, sempre, non solo ogni tanto. Glielo ripeto continuamente.
Anche perché, sia a Monte Carlo che a Parigi, Lorenzo ha dimostrato di poter giocare alla pari contro Carlos Alcaraz, il nuovo re della terra rossa. Purtroppo, in entrambe le occasioni è stato fermato dai problemi fisici. Credi che sia stata solo sfortuna o potrebbe essere un problema di tipo psicosomatico?
Eh… Ci siamo fatti tante domande a riguardo. Lorenzo non ha mai avuto grossi infortuni nella sua carriera, mentre quest’anno ne ha avuti diversi. Secondo me anche il fatto di aver saltato un po’ di partite sulla terra in Sud America l’ha fatto soffrire di più. Sai cos’è strano? Prima della finale a Monte Carlo aveva dolori da tutte le parti, tranne dove ha riscontrato l’infortunio. A Parigi è stato ancora più inspiegabile: a parte quei quattro set con Navone, non ha fatto molta fatica con nessuno e contro Alcaraz stava giocando benissimo. Lì secondo me è stata colpa della tensione e sì, forse quella partita l’ha persa a livello psicosomatico. Al netto della breve preparazione invernale, ha giocato tantissime partite di fila e questo può averlo penalizzato. Quest’anno cambieremo la programmazione della preparazione invernale proprio in virtù di quello che è successo.
Torniamo agli US Open: prima di arrivare al derby con Sinner, qual è stata la partita che ti ha convinto di più, dove hai capito che le cose stavano ripartendo bene?
Dal primo match con Perricard non avevo dubbi. Anche se Lorenzo aveva perso il primo set, io ero abbastanza tranquillo perché rivedevo l’atteggiamento giusto: molto più positivo e concentrato. Avevo ottime sensazioni e Lorenzo ha vinto una buonissima partita.
Agli US Open, prima del match con Cobolli, suo grande amico con il quale è cresciuto, come si sentiva Lorenzo? Era una partita come un’altra?
Soffrivo sicuramente più io (ride). Non so perché, ma soffro sempre come una bestia quando deve giocare contro gli italiani. Soprattutto contro Flavio: l’ho visto crescere, mi è capitato di accompagnare anche lui ai tornei quando era piccolo. Però Lorenzo non mi sembrava più teso del solito. Lui la tensione prima della partita la soffre in generale e quando gioca i derby non trovo che sia ancora più teso.
Parliamo della partita con Sinner. Lorenzo ha detto che Jannik ha vinto sotto ogni aspetto ed è stato superiore in tutto. Però mi chiedo: Sinner e Alcaraz ormai sono su un piedistallo, eppure Lorenzo con Alcaraz non ha avuto le stesse difficoltà. Come mai con Sinner va così in crisi secondo te?
Sul veloce Lorenzo ha un po’ un pregiudizio mentale. Quindi secondo me non è tanto il giocatore tra Alcaraz e Sinner ad aver fatto la differenza, ma la superfice. Con Sinner ha sofferto tanto perché sul cemento non si sente a suo agio come sulla terra, dove invece ha trovato Alcaraz. Quindi è un problema di convinzione, di consapevolezza. Agli US Open è partito troppo male nel match con Sinner, il primo set è stato un disastro. Nel secondo set poteva cambiare tutto perché ha avuto diverse chance per fargli il break. Ma quelle occasioni le ha gestite male. Sapeva di essere lui a rincorrere e non si sentiva tranquillo. Aggiungiamoci pure il fatto che Sinner, come sempre, è stato di una solidità impressionante e fare punto contro di lui in quei casi è difficilissimo. Per me il problema non è stato a livello tecnico o tattico, era bloccato mentalmente.
Una sconfitta così netta vi ha demoralizzati o vi ha dato una spinta per aumentare l’intensità del lavoro, sapendo che c’è ancora tanto su cui lavorare?
Demoralizzati no. Abbiamo preso uno schiaffone ma questo ci ha fatto capire che per alzare l’asticella c’è bisogno ancora di tanto lavoro. Così come ha detto anche Sinner dopo aver preso lo schiaffone da Alcaraz nella finale degli US Open. Sono partite che ti fanno male ma in un certo senso ti fanno anche bene perché ti aprono gli occhi.
Credi che organizzare degli allenamenti con Sinner, visto che entrambi vivono a Monte Carlo, potrebbe essergli di aiuto per colmare un po’ la distanza?
Anche se vivono tutti e due a Monte Carlo, Sinner è uno dei giocatori con cui non ci alleniamo mai. Ci alleniamo già con tanti giocatori forti a Monte Carlo. per esempio con Zverev o Dimitrov. Ma l’unico periodo in cui riusciamo ad allenarci con Sinner è durante la Davis. Siamo amici con il suo team però organizzare queste cose tra gli impegni di tutti è molto complicato.
Come mai Corrado Barazzutti non c’era a New York? Collabora ancora con voi?
Si certo. Non c’era perché abbiamo un accordo, lui fa determinati tornei e io altri. Lui ha fatto il torneo di Washington e farà i tornei di Bruxelles e Vienna. Io invece tutti gli altri. Per l’anno prossimo dobbiamo ancora capire come e se ci riorganizzeremo.
Con il forfait di Draper e l’incertezza di Djokovic le ATP Finals sembrano sempre più reali. Siete felici?
Le ATP Finals sono più vicine ma ci sembrano ancora così lontane. Ci dispiace molto per Draper, anche se questo ci dà un chiaro vantaggio. Djokovic invece non si capisce mai cosa vuole fare, quindi per noi resta un “ni” pericoloso da tenere in considerazione. I tornei in Asia sono ancora lunghi e ci sono tanti punti che ballano. Credo che Lorenzo se la giocherà fino all’ultimo, purtroppo per il mio fegato. Andrò al torneo di Bercy con un carico di ansiolitici (ride), perché credo che quel torneo sarà decisivo per lui.
Questa incognita delle ATP Finals potrebbe appesantirlo a livello mentale?
Spero di no. Credo che aver fatto bene durante gli US Open gli abbia ridato grande fiducia e tranquillità. Partiamo per la Cina con ottime sensazioni e poi si vedrà.
Siete partiti dai viaggi in cui dividevate il letto per non spendere, alla top 10 del ranking mondiale. Tu per lui sei stato sia coach che un secondo padre, come ti fa sentire questa cosa?
Sono orgogliosissimo. Lui è un ragazzo delle scuole tennis e siamo, credo, l’unico caso al mondo ad essere arrivati in top 10 partendo da lì. L’anno scorso abbiamo conosciuto Luciano Ligabue di persona e ci ha detto una frase che vorrei quasi tatuarmi: «Ricordatevi di godervi il viaggio». Poi ha aggiunto: «A tanti è capitato di essere arrivati in cima perdendo di vista il viaggio». Penso che sia molto vero. Non è facile fermarsi a pensare a queste cose. A volte vorrei darmi una pacca sulla spalla e dirmi bravo da solo. Lo stesso vale per Lorenzo. Tante volte si va troppo di corsa ma non bisogna mai perdere di vista quello che hai fatto per raggiungere certi obiettivi. E soprattutto, non bisogna mai dare il successo per scontato, in qualsiasi ambito della vita.
L’emozione più grande fin qui?
Mi rimarrà per sempre nel cuore la medaglia olimpica. Da allenatore è stata una soddisfazione che non dimenticherò mai.
In passato hai detto di avergli stravolto tutto il gioco quand’era ancora un bambino, tranne il rovescio. Come mai? Lui ogni tanto questa cosa la patisce?
Fin da quando era bambino giocava troppo bene il rovescio a una mano per cambiarlo, è un po’ il suo marchio di fabbrica. Ogni tanto sì, mi rinfaccia di non averglielo cambiato perché con le velocità che ci sono oggi è ancora più difficile giocare a una mano. Ma penso che questo sia un ulteriore merito per Lorenzo: è l’unico giocatore nei top 10 con il rovescio a una mano. Riesce a rispondere molto bene, anche a dei servizi oltre i 200 km/h, con delle rotazioni pazzesche.
Lorenzo sembra un ragazzo molto umile e riservato. Crescere un po’ nell’ombra di Sinner credi che sia stato un vantaggio per voi?
Direi che non è stato né un vantaggio né uno svantaggio essere capitati nello stesso periodo di Sinner. Anche se sono coetanei, loro sono sempre cresciuti su binari diversi, non c’è mai stata una rivalità. Lorenzo aveva, e continua ad avere, le sue pressioni personali che non hanno niente a che vedere con Sinner. Per noi lui resta un grande esempio da seguire perché nel tennis guardi sempre chi ti sta sopra, sia come attitudine che come gioco. Ma non c’è antagonismo, siamo indifferenti.