Com’era ampiamente prevedibile, la notizia relativa al forfait di Jannik Sinner, che salterà le Finals di Coppa Davis 2025, ha scatenato enormi polemiche. Di fatto, il giocatore numero due al mondo ha rinunciato a rappresentare la Nazionale italiana maschile in quello che è il più prestigioso evento a squadre del tennis globale, senza che a bloccarlo fossero un infortunio e/o altri impedimenti. Al tempo stesso, però, il passato recente e la situazione attuale di Sinner devono necessariamente cambiare la lettura dei fatti e delle scelte, nel senso che consigliano un approccio meno superficiale, meno tranchant. Ci sono diverse motivazioni, infatti, per cui la scelta fatta da Sinner deve essere considerata non soltanto legittima, ma anche comprensibile.
L’analisi deve partire da quanto affermato dallo stesso Sinner, che in un’intervista a Sky Sport ha spiegato che «l’importante è partire bene nel 2026 con l’Australian Open, e in quest’ottica una settimana in più di preparazione sembra una banalità, ma non lo è». Inoltre, Sinner ha aggiunto che «aver già vinto due volte la Davis ha avuto un suo peso, su questa decisione». Ecco, in realtà la storia è tutta qui, in queste parole semplici e dirette. Tutto si origina dal calendario di un tennista come Sinner, che ha una scansione settimanale: la Davis avrebbe allungato la sua stagione fino a domenica 23 novembre, ovvero 50 giorni esatti prima dell’inizio dell’Australian Open 2026. Uno spazio troppo breve, nel calendario immaginato da Sinner e dal suo staff in vista del prossimo anno, per poter preparare bene la nova stagione.
Inevitabile, a questo punto, chiedersi: ma cos’è cambiato rispetto all’inizio del 2025 e del 2024, quando Sinner giocò e vinse gli Australian Open dopo aver giocato e vinto anche la Davis? Semplice: nel corso del 2025, Sinner ha dovuto fare i conti con una tabella di marcia viziata dai tre mesi di stop per il caso-Clostebol, quindi con una stagione preparata e disputata “a singhiozzo” e che è stata pure caratterizzata anche da diversi problemi fisici – il dolore al gomito accusato a Wimbledon, il virus contratto a Cincinnati, il ritiro a Shanghai. Dopo anni vissuti senza infortuni e/o stop rilevanti, insomma, Sinner ha dovuto fare i conti con una situazione del tutto nuova, a cui ha saputo reagire solo in parte. E quindi ci sta che, in vista di una stagione in cui dovrà cercare di riprendersi il primo posto nel Ranking ATP e in cui – anche queste sono parole sue – dovrà cambiare qualcosa nel suo gioco per riuscirci, per avvicinarsi a Carlos Alcaraz, decida di prendersi una settimana in più per riposarsi, per allenarsi, per gestire il suo tempo come crede.
E poi c’è il discorso sulle due Davis già vinte. Negli ultimi due anni, Sinner è stato protagonista assoluto con la maglia azzurra addosso, senza di lui – non è assurdo pensarlo e dirlo – l’Italia avrebbe faticato a mettere le mani sulle due Insalatiere che ora sono nella bacheca della Federtennis. In virtù di tutto ciò che abbiamo detto/raccontato finora, è perfettamente comprensibile che Jannik decida di sacrificare un torneo che ha già conquistato per due volte, che non porta punti al Ranking ATP e che porta un premio in denaro molto marginale rispetto a quelli in palio nei tornei più ricchi, degli Slam o della Finals. Infine, ma non in ordine di importanza, va considerato che la Coppa Davis contemporanea ha sicuramente un appeal molto diverso, molto inferiore, rispetto alla Coppa Davis di altre epoche storiche.
E qui siamo a valle, a monte c’è sempre da considerare che i tennisti professionisti, di fatto, sono degli «independent contractors», dei liberi professionisti a tutti gli effetti. E quindi devono salvaguardare il più possibile il loro fisico, la loro salute, se vogliono vincere e quindi guadagnare di più. Nel caso di Sinner, di mezzo e all’orizzonte c’è un logorante duello con Alcaraz per la prima posizione del Ranking mondiale, per i tornei più importanti del mondo. A confermare che tutto questo ha un senso, che in fondo Sinner ha fatto una scelta giusta, ci ha pensato anche Adriano Panatta: in un commento sul Corriere della Sera, il tennista italiano più vincente dell’era-Open prima dell’arrivo di Jannik ha scritto che «mi dispiace per lui, magari al suo posto avrei fatto uno sforzo. Ma non posso dargli torto: ai miei tempi la Davis era al centro dei nostri programmi, le altre scelte ruotavano intorno a essa. Oggi non è più così. Inoltre cosa posso obiettare quando è stato lui a spiegarci che l’unica priorità è cominciare bene il 2026 e che una settimana di riposo o di lavoro, alla fine, fa la differenza?». Esatto: non c’è niente da obiettare.
Il problema, quindi, sono le polemiche già ampiamente divampate sui giornali, in tv, sui social. Succede dappertutto, da sempre, e succede un po’ di più in Italia: Sinner, come tutti i grandi sportivi e come tutte le grandi eccellenze, è sempre nel mirino degli ipercritici, delle vedette dell’etica e della morale in servizio permanente. Ogni suo passo considerato falso – non importa se legittimo, non importa se comprensibile – diventa un’opportunità per attaccarlo, per sminuirlo, secondo molti suoi connazionali Jannik deve essere sempre perfetto in campo e fuori, nel gioco, al servizio, a rete, nella comunicazione, nel modo di porsi e in cui si fa intervistare, nelle scelte che riguardano i suoi sponsor e i tornei a cui decide di partecipare. Tutte cose di cui sarebbe giusto parlare fino a un certo punto, e su cui ci sarebbe poco da obiettare. A volte niente, come nel caso della Davis.