Maglietta biancorossa, guantini, paraorecchi e cappellino. Sguardo da asilo nido e posa da capo ultras: le immagini del giovanissimo tifoso del Sunderland che con tutta la passione e la consapevolezza del mondo – a quattro anni appena – canta sulle note di Elvis l’inno informale della sua squadra, hanno fatto in brevissimo tempo il giro del web. E sono gli account social del club a incornarlo in primis: “Siamo ossessionati da questo piccoletto alle prese con Wise Men Say“, il primo verso del capolavoro di The King ormai riadattato a immagine e somiglianza del Sunderland. Til I die a partire dagli spalti.
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Il video di questi giorni, che risale alla vittoria nel derby contro il Newcastle, ha tutte le carattatteristiche ideali per riportare alla ribalta della cronaca l’atmosfera unica dello Stadium of Light: gli occhioni e la vociona del bimbo, il papà che se lo porta sulle spalle nella più classica trasmissione generazionale, i fan circostanti con le braccia al cielo in una sorta di catarsi collettiva. Perché Elvis aveva conquistato gli anni Sessanta con “Can’t help falling in love” pensando ai giovani innamorati travolti dal sentimento, inevitabile sin dal titolo – per quanto razionalmente da maneggiare con cura: only fools rush in, no? È una musica d’eterna dolcezza, senza trascendere nel glucosio. Perfetta per un lento. E pure per un corpo unico di 48mila scalmanati che la cantano a squarciagola.
Ma da dove nasce questo nesso fra Wearside e Tennessee, fra calcio e rock’n roll? Alcuni racconti lo riconducono addirittura alla prematura morte di Elvis il 16 agosto 1977: pochi giorni dopo si gioca Hull City-Sunderland e 10mila tifosi ospiti si riversarono al Boothferry Park intonando “Can’t help falling in love with you, Sunderland”. Da allora sarebbe diventato un tormentone orgogliosamente rivendicato da tutta la comunità dei Black Cats. Altre fonti sottolineano inoltre che la canzone ha vissuto una nuova ondata di popolarità negli anni Novanta, decisiva per fissarla definitivamente nell’immaginario collettivo. Nel bene e nel male: nel dicembre 2000, un eccentrico sfegatato del Sunderland finì sui tabloid inglesi per aver fatto invasione di campo travestito da Elvis (e inchinandosi, in un attimo surreale, ai piedi di Kevin Phillips). Nei giorni nostri Wise Men Say è diventata un rituale fisso dello Stadium of Light, con gli altoparlanti a riprodurla puntualmente di partita in partita. E il pubblico a seguire.
L’ultimo tassello l’ha messo Netflix, con la fortunata serie in onore del Sunderland e dei suoi sfaccettati modi di viverlo. Il timbro di Elvis accompagna inequivocabilmente le imprese dei giocatori sul campo, la gioia dei tifosi sugli spalti. Ormai è tradizione e continuerà a esserlo, lo fanno capire anche i bambini votati alla causa. Non soltanto è bellissimo così: ma andrebbe applaudito il club di Premier per aver fatto proprio – prima di tutti gli altri, e senza particolari tentativi di imitazione – un gioiello musicale senza tempo. Composto su misura per la persona amata, ma pure per la squadra del cuore. Il grande Presley, che di calcio non era certo un intenditore, oggi se la riderebbe di gusto.