C’era una volta Bologna, terra capace di rianimare campioni a cavallo tra la fine degli anni Novanta e l’inizio del Duemila. Vi approdavano talenti apparentemente svuotati per poi iniziare a rifiorire di colpo – da Baggio a Signori, una magia. In quanto tale, non rimane strettamente legata a una singola località ma diventa una sorta di luogo dell’anima che migra, tocca diverse zone del mondo. Già da qualche tempo, questo potere ai limiti del taumaturgico ha preso la residenza a Siviglia, sponda Real Betis Balompié. Lo ha scoperto, suo malgrado, la Fiorentina: nell’andata della semifinale di Conference League, la squadra viola ha dovuto assistere all’ennesimo capolavoro di Antony, passato nel giro di qualche settimana da oggetto misterioso a Manchester a giocatore capace di inventare gol dal nulla a Siviglia, in un ritorno prepotente alla migliore versione di sé, quella vista ad Amsterdam. Persino David De Gea, uomo rotto a qualsiasi esperienza, ha dovuto registrare con stupore l’accaduto: «Mi sono allenato con Antony mille volte, non aveva mai segnato con il destro. Ma quando i giocatori hanno fiducia in se stessi, dimostrano quanto sono bravi».
Il modello-Betis e Manu Fajardo
Da qualche anno a questa parte, la dirigenza del Betis gira per l’Europa cercando di trovare quella strana combinazione tra talento e amarezza. Il caso di Antony è certamente il più eclatante, e non solo perché arriva da una squadra che sembra aver fatto dell’azzeramento delle qualità dei giocatori che acquista una sorta di missione sacra: volendo esasperare il concetto, si potrebbe dire che in questo momento i biancoverdi sono l’esatto opposto del Manchester United. Non sono mancate le turbolenze, come quella che ha portato Manu Fajardo ad assumere il ruolo di direttore sportivo del club: la società aveva infatti puntato su Ramón Planes ma poi ha dovuto vederlo partire dopo qualche mese, sedotto dalle sirene dell’Al-Ittihad nel gennaio del 2024. A quel punto, è stato chiamato Fajardo, cuore Betis sin da ragazzo, un passato al servizio di Rayo Vallecano, Levante e Alcorcón ma sempre con il biancoverde come obiettivo. Tifoso tra i tifosi, vista la forte anima betica che anima i vertici della società.
«Se come socio e tifoso del Betis mi avessero detto, qualche anno fa, che avremmo avuto in campo Lo Celso, Antony e Isco, avrei fatto fatica a crederci. Dobbiamo essere consapevoli di chi siamo, da dove veniamo e dove andremo», ha detto di recente Fajardo al podcast Architectos, raccontando il processo che ha portato al ritorno a Siviglia dell’argentino: «Gio è qualcosa di diverso, è magia. Ha questo talento innato. In estate avevamo capito che Nabil (Fekir) sarebbe partito: con tutto quello che lui ha significato per noi, è stato una leggenda del club, sapevamo di doverci presentare con un sostituto del livello di Gio». Campione del mondo da comprimario nel 2018 con la Francia, Fekir era diventato in fretta un idolo dalle parti dello stadio Benito Villamarín, rappresentando una delle colonne della squadra che nel 2022 ha vinto la Coppa del Re ai rigori contro il Valencia: in estate è stato ceduto all’Al-Jazira.
L’arrivo di Antony a gennaio ha dato un impulso necessario a una squadra che non aveva vissuto una prima metà di stagione esaltante. Quando parla di quell’operazione, Fajardo non usa giri di parole: «È stata una trattativa de puta madre», e forse è il caso di lasciare l’originale spagnolo senza ricorrere a traduzioni che ne smarrirebbero senza alcun dubbio la potenza semantica.
Entusiasmo e felicità
C’è un entusiasmo contagioso che si respira nel cuore pulsante del beticismo, in una crudele contrapposizione con l’altra metà della città: il Siviglia, dall’Europa League vinta nel 2023 in finale contro la Roma, sembra aver imboccato un tunnel del quale non si intravede l’uscita, galleggiando poco al di sopra della zona retrocessione. Nel frattempo il Betis è decisamente in corsa per un piazzamento che vale la qualificazione alla prossima Champions League, visto che la Spagna avrà anche il quinto slot e al momento il Betis è sesto, a una sola lunghezza dal Villarreal.
Nelle tante interviste rilasciate in queste settimane di rilancio, Antony ha usato spesso una parola: feliz. Essere parte di questo Betis sembrerebbe un passaporto per la felicità: «Il cuore mi diceva che qui sarei stato felice». Ed è un sentimento pienamente condiviso anche dagli altri rigenerati dalla cura Betis, su tutti Isco: «Avrei dovuto scegliere Siviglia un paio di anni prima per godermi al meglio questo club straordinario».
Al Betis in pianta stabile dal 2023, dopo un prestito precedente, c’è anche Hector Bellerín, uno dei calciatori più abituati a esporsi su temi che esulano dal terreno di gioco. «I club di tutto il mondo ti danno gli strumenti per essere un buon calciatore. Non necessariamente, invece, ti danno quelli che servono per diventare un buon cittadino, una brava persona, un bravo sposo, un ottimo padre. Tutta l’educazione che riceviamo è orientata allo sport», ha raccontato al podcast The rest is football. Lo ha fatto rincarando la dose di un concetto già espresso nel corso della scorsa estate: «Il Betis mi sembra uno degli ultimi club umani che esistano. Questa umanità si sta perdendo nel mondo del calcio. Ho giocato al Barcellona, all’Arsenal, ma qui ho ricevuto un affetto che non avrei mai immaginato».
L’ingegner Pellegrini
Un amore, un’umanità che si riscontrano per le strade di Siviglia e per i luoghi invasi dai tifosi biancoverdi, che qualche giorno fa hanno visto i loro eroi, Lo Celso e Antony, ribaltare una partita in casa dell’Espanyol che ormai sembrava persa. Di quest’onda di affetto si è nutrito anche Manuel Pellegrini, che pareva aver smarrito la strada dopo anni al top. Gli ingredienti per il tracollo c’erano tutti: la decisione di rifugiarsi in Cina, all’Hebei Fortune, dopo il periodo alla guida del Manchester City; il tentativo vano di rilanciarsi al West Ham, rimediando un decimo posto e un esonero.
Un po’ a sorpresa, nell’estate del 2020, era arrivata la chiamata da Siviglia e l’Ingegnere ha ripreso a costruire sogni. Mai fuori dalla top 7 della Liga nelle sue prime quattro stagioni, la già citata vittoria della Coppa del Re, una carriera ripartita di slancio nonostante i quasi 72 anni che figurano sulla carta d’identità. Stagione dopo stagione ha visto partire tasselli importanti del mosaico, da Fekir a Guido Rodríguez, passando per un leader carismatico come Germán Pezzella, uno che a Firenze conoscono bene. Per non parlare di Joaquín, tornato a casa dal suo periodo alla Fiorentina convinto di avere nelle gambe ancora qualche anno da donare al club della sua vita e rimasto per altre otto stagioni, inseguendo l’orizzonte come suggerisce Galeano – cioè con la sola finalità di continuare a camminare.
E proprio da Firenze passerà un momento fondamentale di questo ciclo betico agli ordini di Pellegrini: mai, nella sua storia, il club ha raggiunto una finale europea. Dall’altra parte, a meno di sorprese che non sembrano essere dietro l’angolo, ci sarà il Chelsea, una realtà totalmente fuori scala per la Conference League e proprio per questo, chiunque dovesse strappare il pass, si prospetta una finale dal pronostico abbastanza chiuso, anche se nel calcio non si può mai sapere. Il successo sull’Espanyol ha comunque certificato la quinta qualificazione europea consecutiva del Betis, quindi una costanza di risultati che in teoria dovrebbe andare in totale contrasto con una realtà che punta sul rilancio di stelle offuscate. E allora eccola, la magia, questo mix di affetto, umanità e competenza che sta consentendo al Betis di vivere uno dei momenti più felici della sua storia, di scovare talenti immalinconiti e riportarli al loro antico splendore, avvolti in un biancoverde che non è mai stato così dolce.
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