Kolarov è la chiave

Creatività per la manovra offensiva e sicurezza per quella difensiva: perché Aleksandar Kolarov è così importante per la Roma.

L’eccezionale avvio di stagione di Aleksandar Kolarov ha un significato profondo, ed è un discorso che riguarda i risultati della Roma, ma anche la percezione rispetto all’impatto di un calciatore su un nuovo ambiente. Il 31enne serbo arrivato dal Manchester City ha impressionato fin dalla prima partita, e d’ora in poi rappresenterà un benchmark rispetto a certe operazioni di mercato, e non solo dal punto di vista puramente tecnico. È una sensazione che si costruisce attraverso due chiavi di lettura: quella matematica dei numeri grezzi e delle statistiche, ma anche quella non propriamente empirica relativa all’influenza tattica, emotiva, persino culturale di un giocatore sulla sua nuova squadra.

Kolarov ha segnato due gol decisivi per altrettante vittorie della Roma, a Bergamo e a Torino; è stato protagonista della rimonta giallorossa in casa del Chelsea, con la rete del 2-1 e la punizione da cui è scaturito il punto del 2-3; ha servito altri tre assist in campionato, contro Verona e Benevento (quarta e quinta giornata). Il suo contributo è fondamentale per la Roma, è un’evidentza numerica, eppure Kolarov riesce ad andare anche oltre questi dati e la loro forza: è diventato subito un elemento centrale nel calcio di Di Francesco, la sua importanza si concretizza in un apporto imprescindibile per entrambe le fasi di gioco, ma anche in una leadership sicura, percettibile, rispetto ai nuovi compagni. L’allenatore abruzzese, dopo la partita di Champions League a Stamford Bridge, l’ha descritto come «un professionista eccellente, un esempio per i giovani», perché «attraverso l’intensità nel lavoro riesce ad avere una costanza impressionante e un’altissima qualità prestazionale».

La stagione è iniziata da due mesi e c’è già abbastanza materiale per una compilation delle azioni offensive di Kolarov

In un articolo sui laterali difensivi pubblicato su Undici, c’è una parte sulla loro categorizzazione: «I terzini di spinta non si risparmiano quando si tratta di offrire un appoggio o una sovrapposizione in zona offensiva, possiedono ottimi tempi di inserimento e sono dotati di un atletismo importante. Gli esterni bassi di impostazione sono in grado di offrire maggiori soluzioni in fase di costruzione del gioco. Perciò, sono caratterizzati da un maggiore livello tecnico rispetto alle altre categorie interpretative del ruolo». Nel sistema di Eusebio Di Francesco, Kolarov riesce a rappresentare una crasi tra questi due concetti. Il serbo è un vero e proprio hub creativo per la Roma, un supporto principale e non alternativo per la manovra offensiva. Nella partita contro il Milan, per esempio, è stato il primo calciatore giallorosso per palloni giocati (115), e questo è un primato confermato anche in altre occasioni – contro il Torino (92), a Stamford Bridge contro il Chelsea (99) e persino nella prima partita ufficiale in giallorosso, Atalanta-Roma 0-1 (99). Fin dal primo momento, quindi, Di Francesco ha voluto edificare la sua squadra sulla qualità di Kolarov, sulla sua mentalità, sulla sua forza.

È il concetto di spostamento della regia sulle fasce laterali, attuato con successo anche dalla Juventus di Allegri (con Dani Alves l’anno scorso) e dal Napoli di Sarri (con Ghoulam, soprattutto in questa prima parte di stagione). L’avanzata comprensione del gioco e le grandi doti tecniche e atletiche permettono a Kolarov di mettere in pratica questa dinamica, ma anche di garantire lo sfruttamento e la copertura dell’ampiezza secondo parametri più classici: il serbo è il primo calciatore dell’organico giallorosso per occasioni create in campionato (17) e per passaggi chiave (2,1 per match), ma anche il secondo per il numero di eventi difensivi ogni 90 minuti (5). Kolarov ha un portfolio tecnico completo, costruito negli anni sulla base delle sue caratteristiche, sull’esperienza di gioco dominante accumulata al Manchester City e arricchito dalla stagione vissuta al fianco di Pep Guardiola – che l’ha convertito in centrale di sinistra di una difesa a tre. Il lavoro dell’allenatore spagnolo ha aiutato Kolarov a rendere più solida la sua fase difensiva, e in questo senso il dato più significativo è quello degli intercetti: sono 19 in 11 partite giocate con la Roma, ed è il record interno alla rosa di Di Francesco. L’anno scorso, durante le prime fasi della sperimentazione come difensore puro, Aleksandar ha spiegato la sua ricezione rispetto alla trasformazione tattica in corso: «Il nuovo ruolo mi consente di giocare di più la palla, sono nato come centrocampista ma ora sono contento di assimilare nuovi concetti e di aiutare di più la squadra anche nella fase passiva». Il rendimento assoluto di Kolarov è frutto di questa sua professionalità, della qualità del suo apprendimento, della sua capacità di evolversi e diventare un calciatore multiforme nonostante un’età non più verdissima – compirà 32 anni il 10 novembre.

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Il discorso sull’età di Kolarov in relazione all’effetto migliorativo che ha avuto sulla Roma diventa centrale, anche perché il suo acquisto è un’operazione controculturale non solo per il modello di Monchi – da sempre imperniato su uomini di prospettiva – ma anche rispetto alla tendenza globale del calciomercato contemporaneo. Le linee guida, oggi, suggeriscono di intercettare e valorizzare il talento giovane, di potenziare gli organici con giocatori dalla forza riconosciuta, ma che abbiano anche ampi margini di miglioramento. Kolarov ha letteralmente riscritto e ribaltato questa teoria, il racconto del suo folgorante avvio di stagione ha superato i confini nazionali, tanto che Espnfc si chiede se il suo possa essere considerato come «il trasferimento dell’anno in Serie A». L’articolo in cui trova spazio la domanda, un racconto di Torino-Roma attraverso le pagelle dei giallorossi, non fonda questo giudizio mascherato da interrogativo sulla splendida punizione del vantaggio. Anzi, sottolinea come Kolarov abbia disegnato «una prestazione totale a tutto campo», come il suo apporto permetta alla Roma di «essere una squadra solida nonostante i cambi per infortunio al centro della difesa» e come per l’ennesima volta «abbia mostrato il suo grande impatto sulla squadra giallorossa».

A Roma Monchi ha provato – e sta provando – a limitare l’influenza dell’urgenza del risultato immediato sulle carriere dei calciatori, e in questa visione delle cose, Kolarov rappresenta l’eccezione che conferma la regola storica. L’età media dei giocatori portati a Trigoria del diesse spagnolo è di 24,75 anni, un indicatore abbastanza chiaro rispetto alla direzione del nuovo progetto. Eppure Kolarov è il calciatore pronto, è il neoacquisto con il maggior minutaggio (11 partite da titolare su 11 per 974 minuti, Pellegrini si ferma a 475), e l’efficacia del suo gioco ha permesso di bypassare anche gli stupidi pregiudizi espressi al suo arrivo in merito al passato da giocatore della Lazio. Anche – se non soprattutto – da questo punto di vista, la lezione di Kolarov va oltre il semplice campo da gioco, diventa culturale, dialettica, professionale. In occasione della prima intervista da calciatore della Roma, Aleksandar si esprime con chiarezza: «Non posso e non voglio rinnegare il mio passato. Ma ora sono un calciatore della Roma e darò il 100% e anche di più durante questa nuova avventura, esattamente come ho fatto in tutte le tappe della mia carriera. La Lazio è stata una buona esperienza per me, da oggi però loro sono i miei avversari in campo».

Momenti e giocate del genere contribuiscono a rendere entusiasta il giudizio su Aleksandar Kolarov

Nel corso della sua vita da calciatore, Kolarov è stato protagonista di un percorso evolutivo andato di pari passo con la crescita della figura del terzino nel racconto e nella percezione del gioco. L’esterno anarchico, estetico e fondamentalmente offensivo arrivato in Italia dall’Ofk Belgrado nel 2007 si è trasformato in un laterale basso in grado di rispettare qualsiasi tipo di direttiva in ogni fase della partita, di alternare un contributo offensivo costante – tipico di un’interpretazione moderna, dinamica del ruolo – a sagaci letture difensive preventive e a un buon utilizzo del corpo per limitare gli avversari negli uno contro uno. Questa caratteristica di completezza assoluta, la maniacalità con cui Kolarov cura il suo fisico (spesso si sottopone a trattamenti personalizzati per facilitare lo smaltimento dell’acido lattico), la perfetta aderenza al sistema tattico e un rendimento altamente positivo stanno dando degli input chiari a tutto l’ecosistema-Roma. Kolarov si è subito imposto come leader tecnico della squadra, lo ha fatto partendo dal campo, facendo sentire il peso della sua qualità, di una storia vincente (oltre al serbo, solo Džeko, Lobont, Strootman e Moreno hanno vinto un titolo nazionale nell’organico giallorosso), di una mentalità di tipo europeo. Il suo esempio può rappresentare un vettore importante per il progetto di Monchi e Di Francesco.

Un’operazione di mercato considerata da tutti laterale, anche a causa di un investimento iniziale contenuto (il cartellino di Kolarov è costato solo 5 milioni di euro), si sta rivelando importantissima. Per i risultati e il rendimento, che poi portano a considerazioni più ampie, più profonde: Kolarov ha già migliorato la Roma, ora l’ambiente giallorosso può e deve recepire la sua lezione, apprendere e riprodurre il suo approccio propositivo al gioco, alla crescita costante che non si ferma mai. Le rivoluzioni, a volte, possono avere caratteri inaspettati, e volti inattesi. Come quello di un terzino serbo arrivato senza clamore, e che oggi è già “il miglior acquisto della Serie A”, semplicemente.

 

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