Nell’estate 2014, Joao Cancelo era un prodotto del settore giovanile del Benfica (appena una presenza in prima squadra) oltre che il pezzo meno pregiato della maxi-operazione gestita da Jorge Mendes sull’asse Lisbona-Valencia: durante la stagione 2014/2015 infatti, nella squadra della Comunitat, oltre al nativo di Barreiro, sarebbero finiti altri tre giocatori di maggior richiamo come André Gomes, Enzo Perez e Rodrigo. Quattro anni dopo, e dopo appena uno di “apprendistato” nel campionato italiano, lo stesso Cancelo è arrivato a vestire la maglia della Juventus nella stagione in cui punterà con decisione alla Champions League. Un rollercoaster emozionale prima ancora che tecnico e che ben si adatta alla narrazione dell’esterno portoghese, caratterizzata dai topoi dalla velocità (di piede, di pensiero e, soprattutto, di adattamento), dell’unicità (nell’interpretazione del ruolo) e dell’universalità. E se già nel 2016 Paul Wilkies scriveva su Four Four Two che il paragone con un mostro sacro come Dani Alves non fosse così fuori luogo – «Ha una grande energia che, combinata alle sue doti nel dribbling, lo rende una minaccia costante per gli avversari.
Anche la qualità dei suoi cross è buona ma ciò che sorprende è la sua efficienza nella conduzione di palla» – oggi, al netto di un’interpretazione del ruolo del terzino particolarmente moderna, dinamica, e partecipativa nella fase di costruzione, l’ex valenciano è riuscito in tempi relativamente brevi (Spalletti lo ha inserito nella sua “Inter tipo” soltanto a partire da gennaio) a rimodulare le sue qualità in non possesso, costruendosi una più che discreta solidità nella doppia fase. Un qualcosa su cui in pochi avrebbero scommesso e che Simone Torricini ha evidenziato in chiusura di questo pezzo su Undici, anticipando le prospettive a medio-lungo termine: «Il percorso degli ultimi sette mesi è stato tortuoso, costellato di tappe faticose da arginare, ma oggi l’impressione è che Cancelo si sia messo alle spalle la parte più massiccia del lavoro di scrematura. Andando al suo passo, ma cercando di calibrarlo su quello del contesto, i margini di miglioramento verranno raggiunti e superati uno dopo l’altro». Quasi a dimostrazione di come, nel racconto del terzino portoghese, si debbano considerare due dimensioni contrapposte tra loro: quello che si crede che Cancelo possa (o non possa) fare e quello che poi effettivamente fa. Bene.
Capacità in conduzione, tecnica e spinta offensiva
Il suo arrivo in bianconero rappresenta un segnale importante dal punto di vista filosofico prima ancora che tecnico-tattico: in piena continuità con quanto accaduto durante la breve parentesi Dani Alves, la Juventus ha deciso di consolidarsi in uno dei ruoli chiave del calcio contemporaneo, rispondendo all’esigenza di un’interpretazione maggiormente proattiva delle varie fasi della partita e scegliendo di aggiungere qualità anche al di sotto della linea di metà campo, in funzione di una manovra offensiva più organica e meno legata all’estemporaneità delle intuizioni dei giocatori davanti.
In una squadra che, nell’ultima stagione, ha faticato terribilmente sia in fase di costruzione bassa che in quella di risalita del campo, Cancelo potrà essere molte cose: un terzino da 4-2-3-1, un esterno alto da 4-3-3, un regista aggiunto che può sgravare Pjanic e Dybala dalle incombenze in prima costruzione e rifinitura grazie alla qualità del suo passing game, un elemento in grado di strappare palla al piede in conduzione e generare superiorità numerica e posizionale contro squadre che difendono per blocchi bassi negli ultimi trenta metri. Ma soprattutto Cancelo sarà colui che consentirà alla Juventus di deformare a piacimento la dimensione spaziale della partita, allargando e restringendo il campo a seconda della zona di influenza del portoghese, riprendendo uno spartito tecnico che i bianconeri hanno abbandonato nella seconda parte della scorsa stagione, sacrificando l’idea di dominio sull’altare dell’equilibrio a ogni costo.
La grande prestazione di Cancelo contro il Benfica all’International Champions Cup
Le perplessità maggiori riguarderebbero la fase di non possesso, con la grande emotività (è ancora molto legato al Valencia e a Valencia: dettaglio che l’ha penalizzato non poco nei primi mesi italiani) e l’a tratti eccessivo ermetismo nel linguaggio del corpo (testa bassa, sguardo spesso perso nel vuoto, una corsa all’indietro non sempre aggressiva) che contribuiscono a veicolare l’immagine dell’indolente di talento, discontinuo e poco incline al sacrificio e alla concretezza richiesti dal ruolo. Anche in questo caso si tratta di uno stereotipo che è stato smentito dai fatti: Cancelo si è già dimostrato particolarmente ricettivo su dove e come lavorare per migliorare, arrivando a toccare già nella seconda parte di 2017/2018 i massimi in carriera in tutte le voci statistiche difensive. E le prospettive con Allegri, tra i migliori in Italia nel player development in relazione al materiale umano a disposizione, non potrebbero essere più rosee: «Il tecnico mi ha fatto subito sentire a mio agio. So che dovrò lavorare e guadagnarmi il posto in una rosa di così alto livello, ma so anche che con l’aiuto dei compagni e del mister potrò fare bene. E non importa in che posizione giocherà: lo deciderà l’allenatore. Io dovrò semplicemente fare del mio meglio». Mentre Enzo Perez, Gomes e Rodrigo, partiti con lui da Lisbona con ben altre premesse e promesse, sono ancora alla ricerca del proprio posto nel mondo.