Le due prove negative contro Milan e Napoli in Coppa Italia hanno evidenziato una volta ancora l’equivoco che sta caratterizzando l’avventura di Maurizio Sarri sulla panchina dalla Juventus. Fin dall’inizio della sua esperienza a Torino, l’ex allenatore del Napoli ha cercato un compromesso tra le sue idee e le caratteristiche della rosa a disposizione. Al momento, questo suo lavoro di ricerca e costruzione di un’identità non ha portato i bianconeri a giocare un certo tipo di calcio offensivo con efficacia e continuità, ma alla lunga li ha pure privati di quella sensazione di solidità che, nel passato, consentiva loro di venire a capo e vincere molte partite basando il proprio gioco su lunghe fasi di difesa posizionale negli ultimi venti metri di campo, senza pagare eccessivo dazio in termini di reti subite o occasioni create dagli avversari.
Trarre conclusioni al termine di due partite arrivate dopo tre mesi di sostanziale inattività è utile fino a un certo punto. Tuttavia c’è da dire che le ultime formazioni schierate sono le più vicine all’undici tipo che Sarri aveva in mente fin dal ritiro estivo, soprattutto per quel che riguarda il tridente d’attacco: il ritorno di Douglas Costa, la cui assenza per infortunio nella prima parte di stagione era stata il motivo del passaggio al 4-3-1-2, avrebbe dovuto dare alla Juventus un’ulteriore iniezione di creatività. Nella testa del tecnico toscano, l’ex del Bayern Monaco avrebbe dovuto tagliare al centro dall’esterno, duettando con Dybala – mai così a suo agio nel fungere da raccordo tra i reparti – mentre Ronaldo era chiamato ad attaccare lo spazio alle spalle dell’ultimo difensore.
Gli ultimi 180’ di gioco hanno dimostrato come tutto questo resti ancora una sorta di “volontà di potenza” che ancora non si traduce nella pratica del campo. «Siamo una squadra abituata a risolvere le situazioni con giocate individuali dei giocatori, quindi per abitudine le risolvono così e quando manca la condizione fisica è difficile trasformare in pericolosità la mole di gioco» ha detto Sarri dopo la finale persa contro il Napoli, quasi a sottolineare come l’assenza di brillantezza sia una condizione ostativa più importante di problemi tattici ancora irrisolti. Sembra una dichiarazione più vicina al pensiero di Allegri che a quello di Sarri, in controtendenza rispetto al modo di pensare di un allenatore di sistema, abituato a costruire le proprie squadre partendo dall’assegnazione di compiti e funzioni piuttosto che da un assemblaggio di singoli. La Juventus, quindi, è una squadra di Sarri che ancora non pensa e agisce come tale, e che porta il tecnico a focalizzarsi su quello che c’è piuttosto che su quello che manca e che servirebbe, quasi contraddicendo l’immagine che abbiamo di lui, ovvero quella dell’allenatore dogmatico incapace di andare oltre sé stesso.
Ma cosa servirebbe, anzi chi servirebbe, perché la Juventus diventi davvero una squadra “sarriana”? Il cambio di paradigma più netto dovrebbe riguardare la linea difensiva: detto che l’ex allenatore del Napoli avrebbe già a disposizione de Ligt e Demiral, due centrali aggressivi, bravi sia ad accorciare che a scappare all’indietro, che gli permetterebbero di alzare ulteriormente il baricentro della squadra in fase di pressing e riaggressione, la mancanza più evidente nella rosa bianconera riguarda dunque l’assenza di due terzini in grado di sovrapporsi – internamente ed esternamente – al laterale offensivo di riferimento, così da poter sfruttare il campo in ampiezza. A sinistra, Alex Sandro paga anche l’assenza di un interno con il quale dialogare nello stretto per aggirare l’avversario diretto: Matuidi ha ottimi tempi di inserimento, ma non può essere considerato un riferimento tecnicamente credibile in fase di possesso. Il terzino brasiliano, quindi, è costretto ad attaccare i metri di campo che ha davanti soltanto quando è certo di poter ricevere in situazione dinamica, soprattutto quando l’omologo sull’altra fascia è Cuadrado.
L’altra grande criticità è riconducibile all’assenza di un centrocampista in grado di pensare in verticale e dare al giro palla la velocità necessaria a disordinare le linee di pressione avversaria. Nel momento in cui Sarri si è reso conto che Pjanic non era in grado di giocare i famosi «150 palloni a partita» al giusto ritmo, il tecnico bianconero ha deciso di spostare Bentancur – meno creativo ma più immediato e rapido nei tempi della giocata rispetto al bosniaco – nel ruolo di vertice basso della linea a tre, ricevendo risposte incoraggianti ma non ancora abbastanza continue sul lungo periodo. Se pure si decidesse di rinunciare all’idea di un centromediano con le caratteristiche di Jorginho, si porrebbe comunque la necessità di acquistare una mezzala in grado di garantire corsa, inserimento e una cifra tecnica adeguata alle fasi di consolidamento del possesso.
Le voci di mercato relative al ritorno di Pogba e agli interessamenti per Tonali e Aouar raccontano come la Juventus sia alla ricerca – quindi abbia bisogno – di un giocatore fisicamente solido e creativo che possa, alternativamente, partecipare alla prima costruzione e rendere meno sterile e prevedibile la circolazione palla e la rifinitura nell’ultimo terzo di campo. Agli avversari dei bianconeri, oggi, basta infatti portare il raddoppio su Douglas Costa, precludendogli la possibilità di entrare dentro il campo, o fare densità nella propria trequarti così da limitare il numero di opzioni a disposizione di Dybala, per azzerare i pericoli e crearsi più di qualche possibilità sulla transizione.
Infine c’è la spinosa questione della prima punta. Al netto di un Higuaín che non è stato in grado di confermare le buone prestazioni della prima parte di stagione, l’assenza di un centravanti di riferimento ha reso la Juventus una squadra offensivamente monca nel momento in cui, alla bravura nello svuotare l’area grazie ai movimenti a di Dybala e Ronaldo a tirare fuori i centrali avversari, non faceva seguito una successiva capacità di riempirla con gli inserimenti dei centrocampisti. CR7 ha fatto capire di voler continuare a partire da sinistra per poi tagliare verso il centro: «Abbiamo parlato un paio di giorni fa e lui si è messo a disposizione per giocare da punta centrale. Non penso, comunque, che le sue prestazioni possano essere inficiate dal giocare cinque metri più dentro o fuori dall’area di rigore», ha dichiarato Sarri dopo la gara con il Milan.
Trovare l’attaccante che cuce il gioco tra le linee, crea spazi per gli inserimenti dei compagni e garantisce 15-20 gol a stagione è una delle priorità in un reparto in cui, delle 27 reti realizzate nelle ultime 13 gare di Serie A, 16 sono state realizzate da Ronaldo e quattro da Dybala. Il nome di Milik sembra quello più gettonato, anche perché non sarebbe necessaria una preventiva fase di adattamento al campionato italiano; Raúl Jiménez del Wolverhampton può essere un’alternativa dall’ottimo rapporto qualità/prezzo.
C’è, comunque, un’ulteriore chiave di lettura. Alla vigilia della finale di Coppa Italia, Gianluigi Buffon aveva detto che «Sarri ha inciso molto sulla Juventus, ma purtroppo l’abbiamo potuto vedere a sprazzi a causa di vicissitudini varie. Credo che nel prossimo anno avremo l’opportunità di vedere il vero Sarri e la vera Juve di Sarri. Siamo stati abituati per anni a fare un certo tipo lavoro, quando poi si va a cambiare gli stimoli individuali e la volontà di farsi trovare pronti e belli reattivi alle indicazioni di un nuovo allenatore fanno sempre la differenza».
Le parole di Buffon hanno un sottotesto significativo: al di là delle problematiche di rosa e di contesto, quando si tratta di attuare una rivoluzione filosofica e culturale prima che tecnico-tattica, contano soprattutto la ricettività e la predisposizione al cambiamento, soprattutto se questo riguarda la possibilità di cominciare a giocare, quindi a pensare, in un altro modo. E se questa ricettività c’è stata, quello imbastito dalla Juventus resta un processo lungo, difficile, che richiede un tempo e pazienza: per ammissione dello stesso Andrea Agnelli, Sarri è stato preso per continuare a vincere, ma anche per vincere in un modo diverso, adeguato ai tempi. Un cambiamento di prospettive così grande necessitava, e necessiterà, di una svolta più radicale, che vada oltre il semplice cambio in panchina. Perché, a quel punto, l’errore non sarebbe aver scelto Sarri, ma averlo scelto per fare qualcosa che Sarri non può essere in grado di fare. Nemmeno scendendo a compromessi.