Il senso di Morata nel progetto della Juventus

È una punta diversa rispetto a quelle accostate ai bianconeri, ma ci sono diversi aspetti per cui potrebbe essere adatto a Pirlo.

L’esultanza con cui Álvaro Morata celebrò la rete del 2-1 della Juventus in casa del Manchester City è diventata un’istantanea suo modo iconica: ci sono lui, Dybala, Cuadrado e Pogba, simboli del processo di ricostruzione e ringiovanimento della squadra che pochi mesi prima aveva sfiorato il trionfo in Champions League a Berlino contro il Barcellona, che scivolano trionfanti sotto lo spicchio di Etihad Stadium riservato ai tifosi bianconeri, felici e increduli per aver visto la propria squadra ribaltare in dieci minuti una partita che sembrava compromessa.

A cinque anni da quella partita, da quel gol, da quell’esultanza, le strade di Morata e della Juventus tornano a intrecciarsi in condizioni particolari: oggi come allora, infatti, l’ex canterano del Real Madrid è stato scelto come centravanti “temporaneo” (prestito biennale rinnovabile, con eventuale riscatto fissato a 45 milioni) di una squadra che deve rinnovarsi. Solo che la Juventus, rispetto al 2015, ha avviato un nuovo progetto su basi, risorse e prospettive quasi opposte. È la stessa condizione di Morata, che oggi ha ovviamente uno status molto diverso: allora era un centravanti ventiduenne in rampa di lancio, oggi è un attaccante vicino ai 28 anni ancora in cerca della sua dimensione ideale, che ha cambiato la quarta squadra negli ultimi tre anni e che ha raggiunto due volte la doppia cifra di gol in una stagione dal 2016 a oggi. Tutte queste cose e l’andamento del mercato suggeriscono che Morata sia stata una soluzione di ripiego della Juventus dopo il fallimento delle trattative per Suárez e Dzeko.

Al di là di come sono andate le trattative di Paratici e del suo staff, i dati che abbiamo elencato sono oggettivi. E anche nel calciomercato in era Covid, potrebbero portare a valutare negativamente l’operazione. Solo che hanno finito per scontrarsi con l’altrettanto oggettiva necessità della Juve di avere al più presto una punta da affiancare a Cristiano Ronaldo e con la narrazione da “attaccante del futuro” che ha accompagnato Morata durante una carriera contraddistinta da occasioni mancate, promesse di grandezza mai mantenute, alti e bassi emotivi prima ancora che tecnici e di rendimento. Ogni volta che si parla e si scrive di Morata non si può fare a meno di pensare ai cinque gol in cinque partite consecutive di Champions League (solo Del Piero come lui nella storia della Juve), alla rete che ha deciso la finale di Coppa Italia 2016 contro il Milan, all’azione da fantascienza culminata nell’assist per il gol di Cuadrado contro il Bayern Monaco a febbraio 2016, alle parole di Allegri che lo descrive come «l’unico al mondo in grado di giocare da prima e da seconda punta e comunque con chiunque all’interno di qualsiasi sistema offensivo». Da allora, però, è come se il suo status da “the next big thing” non fosse mai cambiato, e portasse a sperare in quell’esplosione definitiva che non c’è ancora stata. E che a questo punto è difficile da pronosticare, almeno rispetto alle promesse di inizio carriera.

Perché in realtà Morata non è mai riuscito ad andare oltre se stesso e i suoi limiti, restando un attaccante che dà il meglio come “supersub” – nel 2016/2017, la sua migliore stagione a livello realizzativo, i gol sono stati 20 in 43 presenze, la metà delle quali da subentrato: un gol ogni 88’ solo nella Liga – e che manifesta le stesse difficoltà degli esordi per quanto riguarda la capacità di associarsi con i compagni di reparto, la lucidità in fase di finalizzazione. Quella del giocatore diretto, immediato, istintivo e verticale, quindi, è ancora la miglior descrizione possibile per un giocatore che si esalta quando può attaccare la profondità e sfruttare la sua capacità di corsa con e senza palla e la facilità di calcio con entrambi i piedi. Qualità sintetizzate nella rete ad Anfield Road che ha permesso all’Atletico Madrid di eliminare il Liverpool campione d’Europa in carica:

Anche questo gol, decisamente il più importante della sua esperienza all’Atlético è arrivato partendo dalla panchina: Morata, infatti, aveva preso il posto di Joao Felix a due minuti dalla fine del primo tempo supplementare

Tuttavia oltre ai pregi anche i difetti sono rimasti immutati, così come la monodimensionalità del suo gioco e del suo bagaglio tecnico in relazione alle potenzialità effettive. Nonostante sia stato allenato da Zidane, Conte, Sarri e Simeone dopo la prima parentesi juventina, Morata non mai è stato in grado di ricalibrare completamente la sua velocità di piede e di pensiero in base alle sovrastrutture del contesto tattico in cui era chiamato a esprimerle. Partendo da questo dettaglio, non proprio di poco conto, potrebbe sembrare strano che la Juventus abbia deciso di puntare ancora su di lui, tanto più dopo aver individuato in Dzeko il profilo ideale per permettere a Ronaldo di esaltare ulteriormente le sue doti di finalizzatore puro.

Morata, infatti, è un giocatore antitetico al bosniaco, per quanto riguarda la qualità piuttosto scolastica delle sue letture ma anche per la capacità ridotta di giocare spalle alla porta, da regista offensivo vero e proprio, da punta in grado di facilitare anche la risalita del campo. Al netto dei 43 gol in cui è stato coinvolto nel biennio bianconero – 27 reti e 16 assist – lo spagnolo non è mai stato un rifinitore d’élite e risulta difficile immaginarlo come uomo dell’ultimo passaggio a innescare gli inserimenti senza palla dei centrocampisti o come sponda ideale di CR7 nell’attacco dell’ultimo terzo. In realtà va evidenziata un’aderenza potenziale tra il gioco di Morata e i principi che Andrea Pirlo sta cercando di implementare, che risiede nella sua adattabilità a un sistema di pressing alto, riaggressione e occupazione preventiva di spazi e linee di passaggio in fase di non possesso, oltre che nella possibilità di sfruttamento dei suoi movimenti in verticale per allungare la difesa e aprire a Ronaldo spazi più ampi fronte alla porta.

Nelle sue due stagioni alla Juventus, Álvaro Morata ha accumulato 93 partite di tutte le competizioni, in cui ha segnato 27 gol (Laurence Griffiths/Getty Images)

Oltre a questa spendibilità nel nuovo gioco della Juve, il ritorno di Morata a Torino va inquadrato pure nel modus operandi che ha caratterizzato il calciomercato bianconero proprio a partire dall’estate 2016, quella in cui il Real Madrid esercitò la recompra. Fino ad allora la Juventus aveva puntato sulla valorizzazione di elementi giovani e futuribili e su un player trading che avrebbe portato, nel giro di tre sessioni, alle cessioni di Vidal e Pogba per quasi 150 milioni di euro. La successiva scelta di investire cifre importanti per giocatori come Higuaín, Pjanic e Benatia aveva inaugurato la politica dell’ “instant team”, secondo cui era più semplice e immediato puntare prevalentemente su calciatori già fatti e finiti, o comunque più pronti e da non dover formare completamente dal punto di vista tecnico e tattico.

Il fatto che, a un certo punto, la rescissione del contratto di Higuaín – pagato 90 milioni di euro appena quattro anni prima – sia sembrata l’unica strada percorribile spiega anche perché puntare su Morata abbia ancora un senso per la Juventus 2020/2021: lo spagnolo è la classica “occasione di mercato” che torna buona per sostituire l’argentino, un giocatore forte ma non ingombrante e in grado di accettare il ruolo di punta di scorta, un attaccante versatile che può agire all’occorrenza anche da esterno offensivo e dalla media-gol ancora accettabile – 1 gol ogni 157′, poco meno di Suárez, poco più di Dzeko nell’ultima stagione. Morata è la soluzione più rapida a un problema strutturale, inoltre ha già funzionato una volta a Torino, quindi potrebbe funzionare di nuovo. A patto di non aspettarsi quello step ulteriore che Morata ha già dimostrato di non poter fare, quantomeno non al livello che ci aspettavamo.