Come la Cina vuole costruire una Nazionale competitiva attraverso le naturalizzazioni

La Federazione vuole una squadra più competitiva, allora ha cominciato a naturalizzare giocatori con avi cinesi, e non solo.

Nel lontano 1983, il futuro Segretario Generale del Partito Comunista Cinese, Xi Jinping, ebbe l’occasione di assistere, da semplice studente dottorando in legge, al match di esibizione tra Cina e Watford. Le Hornets, che nella stagione precedente si erano classificati secondi in quella che allora era ancora denominata First Division, appena dietro il Liverpool di Ian Rush, Bruce, Grobbelar e Bob Paisley, giocarono tre match d’esibizione tra Pechino e Shanghai. L’umiliante disfatta subita dalla Nazionale, un eloquente 5-1 davanti ad 80 mila spettatori ammutoliti, portò il giovane Xi a chiedersi come trasformare il calcio: non doveva essere più fonte di vergogna, piuttosto un’occasione di riscatto per l’orgoglioso popolo cinese.

Dopo aver raggiunto uno sviluppo imponente dal punto di vista economico e produttivo, negli ultimi anni la Cina ha deciso di sfruttare lo sport più popolare al mondo come strumento di promozione politico-culturale, per modificare ulteriormente, a proprio vantaggio, gli equilibri mondiali. Il nuovo corso di investimenti e riforme politiche, intrapreso sotto la guida di Xi Jinping, ha fatto sì che il Paese diventasse un attore rilevante anche in uno sport che non era mai riuscito a sfondare, in Cina. O, almeno, questa era l’intenzione del Partito: «I calciatori e gli addetti ai lavori non devono deludere le aspettative del Comitato Centrale del Partito e del Consiglio di Stato, non devono deludere le volontà di tutto il popolo cinese», così si è espresso Liu Peng, responsabile dell’Amministrazione Nazionale per lo Sport dal 2004 al 2016, in occasione della X Assemblea Generale della Federcalcio Cinese.

Finalità e obiettivi ben definiti che vanno di pari passo con il “Programma complessivo di riforma e sviluppo del calcio cinese”, redatto nel 2015 dal governo centrale, pubblicato poi sul portale Xinhua (la principale agenzia di stampa governativa cinese). Secondo questo questo documento programmatico, il coinvolgimento delle masse, la promozione del calcio nelle scuole e lo sviluppo dei settori giovanili, insieme alla crescita del campionato locale, avrebbero portato la Cina alla la vittoria della Coppa del Mondo entro il 2050.

L’affaire calcio in Cina, quindi, è questione che non riguarda solo 22 uomini/donne che si affannano a rincorrere un pallone. È per questo che i fallimentari risultati ottenuti dalla Nazionale negli ultimi anni – la Cina non si qualifica alla fase finale dei Mondali dal 2002, in Coppa d’Asia ha raggiunto la finale nel 2004 e da allora non è mai andata oltre i quarti di finale – hanno quasi obbligato gli strati alti del Partito ad affidarsi a una pratica molto discussa: le naturalizzazioni di giocatori nati in altre nazioni. Si tratta di una svolta epocale per la Cina, un Paese che anche nello sport è sempre stato orgogliosamente autarchico. Al punto da aver limitato, negli ultimi anni, anche il numero di stranieri nel campionato nazionale per dare maggior spazio ai calciatori locali: l’ultimo consiglio della Chinese Football Association, la Federcalcio locale, riunitosi lo scorso dicembre, ha infatti stabilito che ogni squadra di Chinese Super League (la prima divisione della piramide calcistica) può tesserare sei stranieri, convocarne cinque e schierarne in campo quattro – il quinto è ammesso in panchina. Una regolamentazione che, in qualche modo, stride con i grandi investimenti sul mercato degli ultimi anni.

Tornando alle naturalizzazioni, il caso di Elkeson Oliveira Cardoso è quello più eclatante. L’attaccante brasiliano – classe 1989, nato a Coehlo Neto Maranhão, in forza al Guangzhou Evergrande allenato da Fabio Cannavaro – è stato il primo calciatore senza discendenze cinesi a vestire la maglia della Nazionale. Le regole Fifa, infatti, permettono di cambiare nazionalità in due circostanze: se almeno uno dei nonni è cittadino del Paese target, viene rispettato il requisito di parentela; il caso di Elkeson è diverso, perché il cambio di nazionalità è avvenuto per aver ottemperato ai requisiti di residenza: arrivato in Cina nel 2013, ha vissuto e giocato per cinque anni consecutivi nel Paese target dopo i 18 anni. E a settembre 2019 ha indossato per la prima volta la maglia rossa della Nazionale.

Elkeson (a destra) finora ha giocato quattro partite con la Nazionale cinese, e ha segnato tre gol (Photo by STR/AFP via Getty Images)

Pochi mesi prima di Elkeson era toccato a Nico Yennaris, conosciuto in Cina con il nome di Li Ke. Nel giugno del 2019, infatti, è stato lui il primo calciatore naturalizzato cinese a vestire la maglia della Nazionale del Dragone in una gara ufficiale. Nato nel maggio del 1993 a Leytonstone, nella parte nord orientale di Londra, da madre cinese e padre cipriota, rispetta dunque il requisito di parentela. Duttile centrocampista centrale, impiegato anche come terzino e trequartista, ha rinunciato alla cittadinanza britannica – come imposto dalle leggi locali – per vestire la maglia della Nazionale.

Come Yennaris, anche Tyas Browning è stato convocato dalla Cina in virtù delle sue ascendenze: suo nonno, infatti, possiede la cittadinanza cinese. Il Commissario Tecnico Li Tie (ex giocatore dell’Everton tra il 2002 e il 2006) l’ha chiamato per la prima volta proprio per l’ultimo training camp, svoltosi pochi giorni fa a Shanghai. Difensore classe 1994, Browning ha avuto l’opportunità di esordire in Premier League proprio con la maglia dell’Everton, squadra nella quale si è formato, in un Merseyside Derby incandescente, giocatosi ad Anfield, quando aveva soli 20 anni. In grado di disimpegnarsi indifferentemente come centrale di difesa e terzino destro, è una delle scommesse vinte da Fabio Cannavaro alla guida del Guangzhou Evergrande.

Prima del 2002, la Cina non era mai riuscita a qualificarsi ai Mondiali; il miglior risultato della storia resta quindi il secondo posto in Coppa d’Asia, raggiunto in due edizioni, nel 1984 e nel 2004 (STR/AFP via Getty Images)

È evidente come il tentativo attuato dal governo cinese sia quello di ripercorrere le orme della nazionale qatariota di pallamano: grazie a una regola della federazione internazionale – che permetteva ai giocatori di rappresentare un altro Paese se non avevano disputato una partita con la propria Nazionale degli ultimi tre anni – tanti professionisti sono stati tesserati da club del Qatar, hanno preso la cittadinanza e poi sono stati chiamati a rappresentare il Paese ai Campionati del Mondo del 2015. Risultato? Medaglia d’argento, quando il miglior risultato nella storia era stato il 16esimo posto nell’edizione 2003. Grazie a un processo similare, diversi calciatori brasiliani molto talentuosi – ma fuori dal giro della Seleção, anche a livello giovanile – hanno rinunciato al proprio passaporto per legare il proprio destino a quello della Nazionale Cinese. Ovviamente il sogno di poter disputare un Mondiale e i ricchi contratti hanno giocato un ruolo fondamentale nella loro decisione. Tra questi, ci sono Fernandinho e Alan, che attualmente giocano nel Guangzhou Evergrande e nel Beijing Guoan di Bruno Genesio: sono arrivati entrambi in Chinese Super League ne 20,15 e sono solo gli ultimi due atleti ad aver ottenuto il lasciapassare della Fifa per rappresentare la Cina in campo internazionale. Non hanno ancora esordito in partite ufficiali, ma Alan è stato convocato per il training camp che si è svolto a ottobre.

I risultati di questa rivoluzione, non sono ancora giudicabili. La Cina occupa il secondo posto nel Gruppo A delle Qualificazioni Asiatiche per Qatar 2022, può ancora sperare nella qualificazione al turno successivo, ma la strada per strappare il pass è ancora lunga. I nuovi innesti “acquistati” attraverso le naturalizzazioni, proprio come se la Nazionale facesse il calciomercato come un club, sono chiaramente una soluzione di breve termine, per migliorare fin da subito i risultati della Nazionale, e in ogni caso si tratta di una strategia utilizzata raramente dalle federazioni dell’Asia, dominato da un forte orgoglio nazionalista. Solo che la Cina sembra non avere molte alternative, almeno per il momento, se vuole crescere davvero.