Ci sono giocatori capaci di farsi oggetto di culto e di raccogliere attorno a sé fedeli: Federico Baschirotto è uno di questi. Confesso di essere uno di questi fedeli e confesso anche che prima di questa estate non avevo idea di chi fosse, di come fosse fatto, di cosa sapesse fare. Poi ho visto una sua fotografia – non ricordo esattamente quando, credo fosse la prima metà di agosto, momento in cui studio le rose delle squadre di Serie A in preparazione dell’asta per il fantacalcio – e mi ricordo le due parole che mi si sono formate nella mente in quel momento: «Che strano».
La prima cosa che colpisce di Baschirotto è la stranezza delle sue apparenze. E questo fatto forse non è né merito né colpa sua ma del momento che stiamo vivendo. Viviamo i tempi del calcio d’eccellenza e le eccellenze sono come le famiglie felici: tutte uguali. I calciatori eccellenti si somigliano tutti, nelle forme e nelle pose, nei modi e nei toni: è inevitabile, quando si passa la vita a perfezionarsi. I calciatori eccellenti influenzano – nel limite delle capacità altrui, si capisce – quelli ottimi, e poi quelli buoni, giù fino a quelli mediocri e infine persino a quelli pessimi, rendendo il calcio una ripetizione infinita della stessa immagine e tra una ripetizione dell’immagine e l’altra l’unica differenza è la qualità – la nitidezza, i dettagli – delle stessa.
Tornando a Baschirotto: la sua immagine c’entra poco e nulla con quella di un moderno calciatore. Non per niente, finora si è guadagnato una serie di soprannomi che lo fanno sembrare sempre un prestito che altri sport hanno fatto al calcio: body builder, Mr. Olimpia, wrestler (la prima volta che l’ho visto ho pensato anche al leggendario Triple H, in effetti), ecc. È impossibile parlare di Baschirotto senza parlare del suo corpo, ovviamente. Un corpo che non sembra costruito per il calcio né per alcuno sport che preveda lo sprint, l’allungo, la corsa in generale. La prima volta che lo abbiamo visto, tutti non abbiamo potuto fare altro che rimanere impressionati dalla forme di Baschirotto: i bicipiti che costringono le maniche corte delle magliette ad arricciarsi e ritirarsi verso la spalle, i pettorali che per ampiezza potrebbero sfidare quelli mostrati da Adam Driver in quella scena-meme di Star Wars: Gli ultimi Jedi, gli addominali che sembrano grossi sassi fissati nel ventre grazie a impianti sottocutanei. Sono andato a studiare il profilo Instagram di Baschirotto alla ricerca di una origin story per quel corpo da action hero. C’è una foto che ho trovato esplicativa del rapporto tra il calciatore e il suo fisico: ritrae Baschirotto, in piedi, in costume, su uno yacht o una barca, in mano una pompa che utilizza per irrorare il suo corpo con un abbondante getto d’acqua, come se quei muscoli avessero bisogno di un sistema d’irrigazione appositamente studiato.
Si sa che molto di un calciatore può essere capito o intuito studiando i suoi profili social, Instagram in particolare. Baschirotto non fa eccezione. Ovviamente c’è la foto di lui in campo con la maglia del Lecce e nella bio si legge di essere di fronte a un «football player @uslecce». Ma quello che veramente conta per capire Baschirotto lo si trova nella geolocalizzazione a Verona, presso le @baschirottofarm, e nelle uniche due raccolte di stories presenti nel profilo: una intitolata “Gym” e l’altra “Farm”. Una parte della stranezza di Baschirotto è data dalle origini contadine che per tantissimo tempo sono state per lui sia un’alternativa per il presente che una possibilità per il futuro.
Per anni, la sua carriera è stata una di quelle che possono interrompersi in qualsiasi momento e che necessitano sempre di un piano B. Il debutto a Legnago, l’arrivo alla Cremonese – esperienza tutt’altro che memorabile, trascorsa con il domicilio presso un seminario e conclusasi con, quantomeno, l’ottenimento della patente di guida – i prestiti tra Seregno, Forlì e Cuneo, il ritorno/retrocessione/ripartenza dalla Serie D alla Vigor Carpaneto. Aveva anche pensato di smettere, a un certo punto, Baschirotto. Ha raccontato però di aver scelto di continuare perché non voleva lasciare niente di intentato. E anche perché il piano B ce lo aveva sempre avuto, sparso per i 200 ettari di terreno dell’azienda agricola del padre.
Durante il primo lockdown era pure tornato ai trascorsi bucolici assieme ai fratelli Fabio, Filippo e Francesco (la passione per la lettera F di papà Graziano appare tutt’altro che casuale), tutti ex o attuali calciatori pure loro, tutti venuti fuori dall’oratorio di Nogara che è stato anche l’inizio della carriera di Destiny Udogie. Si diceva: durante il lockdown Baschirotto Federico era tornato a lavorare nell’azienda di famiglia, con la prontezza di chi quella vita non l’ha mai esclusa definitivamente. Il padre ha raccontato che l’attività preferita del figlio era ed è il carico-scarico dei maiali, fatto che probabilmente contribuisce a spiegare la massa muscolare di Baschirotto: hai voglia ad alzare pesi in palestra, prova a spostare un maiale da un qualsiasi punto A a un qualunque punto B e vedrai che risultati.
Non che Baschirotto possa essere ridotto soltanto al suo corpo, però. Sarebbe un’ingiustizia nei confronti di un ragazzo che è a suo modo un esteta, sia nelle parole che nelle opere. In campo, guardandolo giocare, è facile capire che ha un’opinione precisa su ciò che dovrebbe fare un difensore centrale. Il suo modello è Alessandro Nesta, che per quanto inarrivabile gli ha fatto capire che nel calcio lo scontro fisico è necessario ma che il piacere sta nel toccare il pallone. Baschirotto, con quel corpo che si ritrova, ha detto che quando si tratta di rubare il pallone a un avversario i suoi strumenti preferiti sono sempre quelli dell’intelletto: l’astuzia, l’intuito, il tempismo. Se poi niente di tutto questo funziona, allora solo in quel caso ha senso «far sentire il fisico». Ci sta sia questa propensione ad averlo portato, per gran parte della sua carriera, a scegliere di starsene largo sulla destra, preferibilmente in una linea a tre ma anche quella quattro non gli dispiace. All’inizio di questo campionato, infatti, il Lecce lo ha scelto per la sua capacità di giocare in un ruolo e nell’altro. Ma soprattutto, il Lecce lo ha scelto per la sua capacità di non giocare, di starsene in panchina senza creare problemi. Se le cose fossero andate come tutti immaginavano e come i dirigenti del Lecce avevano previsto, infatti, il culto di Baschirotto non sarebbe mai esistito, i suoi fedeli non si sarebbero mai scoperti tali. E questa è solo l’ennesima conferma che il fisico bestiale ci vuole ma la fortuna serve di più.
Baschirotto è un esteta anche quando si tratta delle parole, soprattutto di quelle che usa per raccontarsi e descriversi. La sua lingua ha una certa ricchezza e unisce una discreta varietà di frasi fatte e retorica motivazionale: a sentirlo parlare, ogni tanto si ha l’impressione di essere davanti a uno di quei semisconosciuti che però tengono Ted Talks in medie città di provincia oppure a uno di quei tizi che ogni tanto compaiono nei nostri feed social con l’ansia di aiutarci a realizzare il nostro pieno potenziale. Parla sempre di sogni e sognatori, Baschirotto: durante un’intervista a Lost in the weekend di Dazn, ha detto che lui, agli amici che ora lo chiamano campione, risponde sempre che la definizione più esatta e gradita è «cacciatore di sogni». I suoi social sono tappezzati di frasi come «Un vincitore è un sognatore che non si è mai arreso». Anche se, forse, alla fine, il vero Federico Baschirotto sta nella risposta che diede quando gli fu annunciato che avrebbe partecipato allo stage della Nazionale dello scorso dicembre: «Minchia».