Il Milan contro la memoria corta

È bastato un mese per cancellare due anni di successi e programmazione, per molti tifosi e commentatori: ci vuole più pazienza con il progetto di Maldini e Pioli?

«Non ha detto una parola dopo Lecce e non è intervenuto dopo la bastonata nel derby di Supercoppa a Riad. All’Olimpico, in seguito allo 0 a 4 con la Lazio, è sceso dal suo cavallo bianco e ha finalmente parlato». Queste le parole che un giornalista sportivo di vecchia data aveva scelto, da tifoso per tifosi, come incipit dell’editoriale di mercoledì 25 gennaio su uno di quei siti che ogni ora non si occupano d’altro che di notizie e opinioni legate al Milan. Ebbene, al galoppo di un fiero kladruber bianco – o forse il giornalista pensava a un lipizzano? Oppure a un andaluso? – era arrivato il tempo del dileggio anche per Maldini. E ci aveva messo incredibilmente poco.

Maldini, assieme a Boban, era stato molto criticato sui social quando nell’autunno 2019 aveva sostituito l’esonerato Marco Giampaolo con Stefano Pioli. Era un ripiego. La prima scelta era Luciano Spalletti e non fosse stato per le orgogliose scaramucce tra il toscano e l’Inter – nel frattempo passata ad Antonio Conte – per definire la buonuscita con cui risolvere il suo contratto sarebbe quasi certamente stato lui a prendere la guida tecnica dei rossoneri. Tra lo scoramento generale Pioli aveva iniziato ad allenare e le critiche non avevano finito di piovere. Poi però era arrivato il lockdown e poi era finito, con la Serie A che era ripartita il 22 giugno. Il Milan aveva vinto a Lecce 4 a 1 e aveva poi vinto altre otto partite. Pioli era stato universalmente elogiato e l’arrivo ormai certo di Rangnick accantonato.

Da quel 22 giugno 2020 fino al 87esimo minuto di Milan-Roma dell’8 gennaio 2023 sono passati trenta mesi in cui la squadra ha lasciato un passo alla volta il grigio anonimato in cui aveva trascorso i precedenti sette anni tra il 2012 e il 2019. Trenta mesi in cui dopo tutto quel tempo ha riguadagnato traguardi ogni volta un po’ più ambiziosi: tornare in testa alla classifica per qualche settimana; tornare a qualificarsi per la Champions League; tornare a vincere il campionato. Trenta mesi di costanti miglioramenti, trenta mesi di moderna fluidità tattica, trenta mesi di valorizzazione di giocatori acquistati da squadre retrocesse, trenta mesi di vittorie italiane ed europee con una solidità, una futuribilità e un grado estetico molto più vicino agli anni di Ancelotti che non alle prime due stagioni di Allegri. Trenta mesi culminati con lo stupore sul volto di Bob Sinclair che mixa Gala nell’estate 2022 in giro per i locali italiani e non riesce a capire quali diavolo di parole cantino tutti invece di Freed from desire. Tutti cantano Pioli is on fire.

Mentre io e mio figlio andavamo verso San Siro per la prima partita di questo campionato ad agosto eravamo tornati al “Pioli is on fire”. «Non vedo l’ora che la mettano a tutto volume durante il riscaldamento», aveva detto lui. La frase di Pietro mi aveva fatto pensare per la prima volta al fatto che invece non era scontato. «Non lo so. Magari non la mettono perché oggi comincia un nuovo campionato». Invece poi Gala nel prepartita era partita eccome, e mentre io e Pietro ce la godevamo mi chiedevo anche cosa sarebbe successo al primo momento difficile lungo il campionato. Qualcuno a un certo punto avrebbe valutato se interrompere il rituale prepartita? Si sarebbero messi a suonarla solo se la partita prima fosse stata una vittoria? Cosa sarebbe accaduto con Gala quando le cose avrebbero smesso di andare bene per un periodo, o magari per sempre, al Milan di Pioli? Ora la risposta è arrivata: è bastato un mese per cancellarne trenta che avevano risollevato le sorti di un decennio. Un mese contro trenta per trasformare Pioli da tormentone estivo a bersaglio di offese dalla balaustra del primo anello rosso. Trenta mesi contro un mese solo.

Con il Milan dello scudetto, Stefano Pioli ha fatto registrare le migliori statistiche della sua carriera: una percentuale di vittorie complessive del 60,5 per cento, davanti alla sua seconda migliore stagione, quella del terzo posto alla Lazio 2014/15 (Marco Luzzani/Getty Images)

La metafora del cavallo bianco di Maldini studiata da quel giornalista era riferita al suo modo di guardare ai momenti cattivi con il suo tipico razionale fatalismo che è sempre stato scambiato per distacco. La realtà è che Maldini ha sempre mal sopportato le critiche per sé e la propria squadra che riconosceva, di volta in volta, come irriconoscenti, superficiali, irrispettose. Dopo la sconfitta di Roma contro la Lazio un giornalista gli aveva chiesto se la fiducia in Pioli fosse ancora intatta. «Questa ragazzi è una domanda che…», aveva detto sorridendo con l’imbarazzo che prova l’esperto di un tema – un esperto che preferisca l’eleganza all’arroganza – di fronte a neofiti che vogliono discorrere con lui della materia, «una domanda che speravo davvero di non sentire». Il sorriso gli era passato dando le risposte successive perché per un uomo di sport è difficile parlarne se attorno tutti lo trattano invece con la propensione per il torbido che appartiene alla narrazione della politica e con la drammaticità che appartiene alla sfera morale.

Scrivo questo pezzo la domenica pomeriggio post Milan-Sassuolo 2 a 5. I commenti e le critiche si susseguono raggiungendo livelli che mettono in discussione le fondamenta di un progetto che fino a pochi mesi fa quegli stessi opinionisti definivano virtuoso, illuminato e visionario. «Dello scudetto sono rimaste solo le braci», dice uno di loro. «Il derby sarà l’ultima spiaggia», dice un altro, e non si capisce di preciso l’ultima spiaggia prima di quale catastrofe: prima di capire che il Napoli primo in classifica sarà difficilmente raggiungibile? Prima di esonerare l’allenatore che fino a cinque partite prima aveva azzeccato intuizioni tattiche dense di creatività e frutto della profonda conoscenza del materiale umano e tecnico che aveva a disposizione? Prima di sancire come fallimentare un progetto di gestione sportiva che cerca di acquistare giocatori poco noti studiando i metadata che ne possono lasciar intuire il potenziale?

In questo gennaio 2023 tifosi e commentatori tra le altre cose del recente passato hanno rimpianto persino Alessio Romagnoli dimenticandosi che lo scorso campionato era finito per essere stabilmente la riserva prima della coppia Kjaer-Tomori poi di Kalulu-Tomori. Era stato proprio Maldini nel suo ufficio di Casa Milan, nell’ottobre 2020, a sintetizzarmi la sua esperienza da dirigente fino a quel momento. Mi aveva detto «ci sono delle scelte che mai avrei creduto si sarebbero rivelate così sbagliate e altre che onestamente mai avrei immaginato avrebbero avuto tutto il beneficio che hanno avuto». Sembra lapalissiano, forse è invece epifanico ricordato in questo inizio 2023 improvvisamente tanto difficile.

Nelle ultime 6 partite dell 2021/22, la stagione dello scudetto, Rafael Leão ha segnato 3 gol, distribuendo assist decisivi come i due di Sassuolo. Un boom di rendimento e costanza che non si erano visti prima e che gli hanno permesso di vincere il titolo di MVP della Serie A (Miguel Medina/AFP via Getty Images)

Pioli potrebbe benissimo lasciare il Milan magari in estate, De Ketelaere magari il prossimo gennaio e chissà chi altro. Resta tuttavia sbalorditiva l’isterica e vorticosa mancanza di equilibrio della cornice attorno al mutare del dipinto. L’attualità del Milan è un esempio che per la sua rara rapidità nel passaggio da costanza di convincenti vittorie a costanza di gravi sconfitte mostra con una vividezza unica quanto osservatori e tifosi siano in balia di iperboli che salgono e scendono con la stessa velocità con cui la massa sale sul carro del vincitore per poi scenderne immediatamente. Mostra quanto osservatori e tifosi abbiano fretta di dimenticare, assorbiti tutti da un costante presente che comprime in poco e nulla tutto ciò che è stato prima e che non dimostra alcuna disponibilità verso l’attesa di ciò che verrà dopo.

Maurizio Viscidi è il responsabile federale delle Nazionali giovanili azzurre. Il suo lavoro è costruire calciatori, squadre e staff delle selezioni dell’Italia dall’Under 15 all’Under 21. Ho la fortuna di conoscerlo e di averci chiacchierato più di un volta. Per chi come lui e come Maldini compie oggi azioni che possano influenzare ciò che accadrà dopodomani sarebbe incomprensibile gioire davvero per successi sterili, frutto di exploit casuali, e assurdo disperarsi per incidenti di percorso lungo un viaggio che ha tutti i presupposti per andare molto lontano. Di Maurizio ho sempre amato il suo stato Whatsapp. Ha scritto: «O vinci o impari».

Nessuno tiene mai in considerazione il valore delle sconfitte. Vengono semplicemente drammatizzate con un’ansiosa ricerca di colpevoli e la pretesa che, come per un guasto tecnico, sia sufficiente sostituire questo o quel pezzo per sistemare tutto e subito. Credo che fosse infantile credere che per il Milan di Pioli non sarebbe mai potuto arrivare un periodo di sconfitte, e credo che solo passando attraverso periodi come questo un gruppo giovane ma forte, non così esperto ma iper responsabilizzato, possa realmente crescere. Alzare il proprio standard nervoso, ispessire la corazza, cementare la fiducia collettiva. Esiste la possibilità che l’upgrade non accada? Naturalmente. In quel caso il gruppo sgretolerà alcune sue parti i cui cocci verranno raccolti e tolti per far posto ad altre nuove parti. Si saranno imparate cose preziose, si saranno aggiornati i propri valori e le proprie ambizioni e il viaggio proseguirà. Non sarà un mese tremendo a fermare un progetto che resta tra le cose più accattivanti del presente del calcio italiano.