Il Newcastle non è la solita squadra con i petrodollari

La squadra di Howe sta arrivando in Champions League nonostante abbia fatto un mercato oculato, intelligente, anche a causa dei paletti del Fair Play Finanziario.

Uno schiaffo alla palla con l’esterno destro, un passaggio modricesque dalla fascia verso il centro, un pezzo d’arte contemporanea che ruba l’attenzione di chi scrolla su TikTok o guarda i reel di Instagram. L’assist di Willock per Isak nel corso di Newcastle-Tottenham circola ormai da una decina di giorni sui social, e non poteva essere altrimenti: è una giocata di alta classe resa ancora più bella dal contesto, cioè dal fatto che non è fine a sé stessa e non sembra casuale, anzi si può dire che rappresenti e racconti perbene il dominio che i Magpies hanno imposto agli Spurs. Lo dicono i numeri: l’assist di Willock ha portato al quarto gol del Newcastle, solo che la partita era iniziata da appena 18 minuti. E un altro gol, il quinto, sarebbe arrivato al 21esimo. Alla fine Newcastle-Tottenham si è chiusa con un punteggio tennistico, 6-1. E non si tratta di un caso isolato: la squadta allenata da Eddie Howe ha vinto sette delle ultime otto gare di campionato, ha segnato 18 volte nelle ultime cinque partite e veleggia al terzo posto, con nove punti di vantaggio sul Liverpool quinto, quando mancano soltanto cinque giornate dalla fine della Premier. Insomma, si può dire con una certa serenità: i Magpies meritano di disputare la prossima edizione della Champions League, a vent’anni esatti dall’ultima apparizione nel torneo più prestigioso d’Europa.  

La rapidità con cui il Newcastle è passato dalla zona retrocessione al podio della Premier non deve far pensare a una strategia win now in stile Chelsea di Todd Bohely, un club che ha speso 280 milioni di sterline solo nell’ultimo mercato di gennaio – e ne avrebbe spesi altri 280 se solo avesse potuto. La nuova proprietà saudita del fondo Pif e il manager Howe, arrivato a Newcastle nell’autunno 2021, hanno agito diversamente: il terzo posto non è casuale ma è in qualche modo incidentale rispetto al processo tracciato dalla nuova dirigenza, che imaginava un campionato nella prima metà della classifica, che sperava in una qualificazione per una coppa europea, che ha investito per favorire una crescita graduale e organica, sul lungo periodo. Lo si deduce dalla relativa tranquillità con cui ha operato sul mercato: dopo i quattro acquisti estivi, Pope, Targett, Botman e Isak, tutti calciatori giovani ma anche in grado di avere un impatto immediato sulla squadra, anche a gennaio le operazioni in entrata sono state concepite e formalizzate allo stesso modo. E allora sono stati presi, nell’ordine:  il necessario backup per il capitano Trippier, individuato nel 21enne Harrison Ashby dal West Ham, pagato tre milioni di sterline;  un centrocampista che potesse affiancare Bruno Guimarães in mezzo al campo, e il nome scelto è quello di Anthony Gordon, arrivato dall’Everton per circa 40 milioni di sterline; il wonderkid australiano Garang Kuol, appena 18enne, già mandato in prestito agli scozzesi degli Hearts.  

Di recente Eddie Howe ha detto: «Al Newcastle c’è una visione, ed è raro avere questo tipo di stabilità in Premier League: nel nostro campionato la pressione è alta per tutti, ma la società ci sta aiutando molto». La stabilità di cui parla Howe è esattamente all’opposto rispetto agli atteggiamenti schizofrenici che si vedono in molte società di Premier, ad alto livello (Chelsea, Tottenham), e ai piani più bassi (Nottingham Forest). La progettualità del Newcastle contribuisce a costruire un ecosistema più sano in cui sviluppare il talento, aiuta soprattutto i nuovi arrivati ad ambientarsi più rapidamente. Anche chi ha avuto problemi all’inizio, come l’attaccante svedese Alexander Isak, fuori per infortunio da ottobre a gennaio, può rientrare facilmente nei meccanismi dello spogliatoio e del club. Non a caso oggi il suo rendimento è tra i migliori in Europa, che lo si voglia guardare dal punto di vista puramente numerico – dieci gol e un assist in 17 partite – oppure da un’altra inquadratura, quella relativa alle giocate incredibili che ha messo in fila nelle ultime settimane, prima tra tutte l’assist con cui ha mandato ai matti la difesa dell’Everton. 

È l’azione di chi si sente perfettamente a proprio agio nel luogo, nella squadra e con i compagni con cui si trova a condividere il campo

Nei buoni risultati di questa stagione – per altro già intravisti nel girone di ritorno dello scorso campionato – c’è tanto del lavoro di Howe, un lavoro che l’ex manager del Bournemouth ha fatto prima di tutto su sé stesso. Ai tempi delle Cherries, infatti, Howe si era imposto come uno dei giovani allenatori più interessanti della Premier League, solo che la sua squadra era inchiodata su un 4-4-2 molto solido e molto britannico, giocava in modo compatto ed era poco disposta a spezzare le proprie linee per creare imprevedibilità. Adesso il suo Newcastle tiene la linea alta, va a contendere il possesso avversario nell’ultimo terzo di campo, non ha paura dei duelli individuali in difesa come in attacco. Ma sa anche accettare partite diverse, più abbottonate dietro e meno dispendiose in termini di chilometri percorsi. Merito dell’aggiornamento di Howe, che quando è stato in Spagna ha studiato di tutto, da Andoni Iraola del Rayo Vallecano, il sommo sacerdote del pressing iberico, fino a Diego Pablo Simeone, un tecnico dalla filosofia diametralmente opposta. 

Per avere un saggio delle qualità e della varietà di soluzioni del Newcastle basta guardare i primi ventuno minuti in cui ha annientato il Tottenham. Sul primo gol sono stati decisivi gli scambi di posizione e le rotazioni degli uomini offensivi, quattro minuti dopo un lancio lungo in diagonale di Fabian Schar ha mandato in porta Joelinton, e dopo altri 180 secondi il pressing asfissiante è stato il vero regista del terzo gol. Sul quarto invece c’è il colpo di genio di Willock descritto in apertura. Il Newcastle, però, è una squadra che funziona anche in difesa. E non solo perché in Premier League ha incassato meno gol di tutti, soltanto 27 con 13 clean sheet: la fisicità e il dinamismo dei Magpies in fase di non possesso ha spinto The Athletic a sintetizzare il tutto in un’espressione molto forte, quasi onomatopeica, per cui «il Newcastle bullizza gli avversari». Certo, il Guardian a febbraio aveva segnalato che l’eccellente rendimento arretrato del Newcastle era dovuto anche ad atteggiamenti non proprio lodevoli: deliberate perdite di tempo sui falli laterali, finti infortuni del portiere comandati dalla panchina e altre cose che Louise Taylor, in questo articolo definiva come «padronanza delle arti oscure» da parte di Howe e del suo staff. E non erano necessariamente complimenti. 

La spesa del Newcastle al momento è limitata dal Fair Play Finanziario, l’istituzione Uefa che impedisce a una società con un fatturato ancora relativamente basso – le entrate commerciali dei Magpies toccano i 27 milioni di sterline, quando il Tottenham, per dire, arriva a quota 183 – di investire tutto ciò che vorrebbe, e che potrebbe. Una situazione che ovviamente non va particolarmente a genio dalle parti del St James’ Park, tant’è vero che a ogni occasione i dirigenti del club sottolineano come i paletti della Uefa rappresentino un freno agli investimenti potenziali della proprietà saudita – non proprio una postura simpatica per una società che, in un mercato non regolamentato, potrebbe ammazzare la competizione in una sola sessione di trasferimenti. Nel frattempo bisogna fare di necessità virtù, e allora parte della sconfinata disponibilità economica viene dirottata su tavoli collaterali, su operazioni che servono a sviluppare il club in ogni direzione. Ci sono dei piani mirati a far crescere le entrate commerciali, quindi ad attirare i nuovi sponsor che si stanno affacciando alla corte dei Magpies, per esempio la produzione di un documentario. C’è in atto il tentativo di acquistare il KV Oostende, club belga di seconda divisione, per un’espansione multi-club ricalcata sul modello del Manchester City. E poi ci sono dei progetti legati alle strutture aziendali e tecniche del club, come il rinnovamento del centro d’allenamento di Benton: un enorme e profondo restyling che, secondo la dirigenza, dovrebbe aiutare ad attrarre alcuni dei migliori giocatori europei in sede di mercato. 

Con 15 gol complessivi, Callum Wilson è il miglior marcatore stagionale del Newcastle (Stu Forster/Getty Images)

Anche in caso di qualificazione in Champions, però, non dovrebbe esserci alcuna rivoluzione nella rosa e nel percorso tracciato. Stick to the plan, direbbero negli Stati Uniti. Proprio Howe ha cercato di spiegare la difficoltà di dover bilanciare il desiderio di investire aggiungendo qualità, profondità e «giocatori d’élite», con la necessità/convinzione di non voler spezzare l’equilibrio creato – forse il recente disastro del Chelsea è un insegnamento importante, in questo senso. Dopotutto, è bastato solo un anno e mezzo perché i Magpies tornassero a giocare la finale della League Cup, la prima finale dai tempi della FA Cup del 1999. E allora perché cambiare? In fondo anche la sconfitta contro il Manchester United (0-2) può essere considerata parte di un percorso di crescita, come ha suggerito Giannis Antetokoumpo dopo l’eliminazione ai playoff Nba.

Adesso c’è da mettere il timbro di ceralacca sul ritorno in Champions League, l’ultima volta c’erano Kieron Dyer, Craig Bellamy, Steve Harper e ovviamente Alan Shearer. Il club più ricco del mondo vorrebbe tornare presto a quei livelli per poi andare oltre e scrivere nuove pagine di storia. Quello che si può fare, e che forse si vuol fare, è raggiungere questi successi un piccolo passo alla volta. Al di là degli aspetti controversi legati all’Arabia Saudita, e ovviamente ce ne sono, il progetto calcistico del Newcastle sembra stia andando nella giusta direzione.