La Serie A e le coppe europee: da qualche anno soffia un vento nuovo

Le finali raggiunte da Roma e Fiorentina hanno un significato importante per il nostro calcio.

José Mourinho è un allenatore divisivo. Da sempre. Per sua scelta. È divisivo per il modo in cui si approccia al gioco e – soprattutto – dal punto di vista comunicativo. Anche questa è una sua scelta, lo è sempre stata. Alla fine delle parole e del rumore che generano, però, ci sono i risultati. E i risultati dicono che Mourinho, alla Roma, ha conquistato due finali europee in due anni: Conference League 2022 e ora Europa League. La prima l’ha vinta, la seconda deve affrontarla. Per Mou e per la Roma, ovviamente, la sostanza e il ricordo di questa stagione cambieranno molto in base al risultato di Budapest, in base a come andrà l’ultimo atto col Siviglia. Per il calcio italiano, però, la finale raggiunta dalla Roma ha un significato che può prescindere dalla vittoria finale della squadra giallorossa. È la conferma che esiste un trend, che c’è stato un cambio di prospettive rispetto a quanto avvenuto in precedenza. Sono i numeri a dirlo: dal 2020 a oggi, le squadre di Serie A hanno raggiunto quattro semifinali (Inter 2020, Roma 2021, Roma e Juventus 2023) e due finali (Inter 2020, Roma 2023) di Europa League. Più due finali di Conference League (Roma 2022 e Fiorentina 2023). Nelle quattro stagioni tra il 2015 e il 2019, le semifinali raggiunte dalle italiane in Europa League erano state zero. Esattamente come nel periodo 2008-2014.

Vincendo la Conference League dello scorso anno, José Mourinho ha mostrato che giocarsi bene una coppa europea, anche se non è la Champions League, può essere una grande idea. Certo, tutto va inquadrato in un contesto economico/competitivo – quello del calcio europeo – che va a due velocità, in cui ci sono top club ricchissimi e inarrivabili e tantissime altre squadre non così forti e che hanno valori simili: le prime competono ogni anno per vincere la Champions e finiscono per vincerla, tutte le altre sono sparse tra Europa e Conference League. Il punto, però, è che la competitività genera competitività. È un circolo virtuoso che si autoalimenta. E allora può succedere che anche l’Inter raggiunga la finale di Champions, mescolando scelte sapienti e un pizzico di fortuna nei sorteggi. E allora può succedere che le squadre medio-borghesi della Serie A siano meno ricche di quelle di Premier, ma non per questo siano necessariamente meno forti, così come non lo sono rispetto alle squadre medio-borghesi di Liga e Bundesliga e Ligue 1. Il percorso europeo della Roma, in questo senso, è significativo: quest’anno, prima del Bayer Leverkusen, i giallorossi hanno battuto anche la Real Sociedad; e in Conference, un anno fa, buttarono fuori il Leicester, a sua volta già eliminato dal Napoli in Europa League.

Tutti gli indizi, messi insieme, fanno quasi sempre una prova. Il punto, però, è che forse non è giusto celebrare il ritorno della Serie A come un successo sistemico, di modello: in fondo Inter, Roma e Fiorentina sono club con ambizioni e gestioni molto differenti, sono tre squadre che giocano in modo diverso, e poi il calcio italiano continua ad avere degli evidenti problemi infrastrutturali, di governance, di sostenibilità economica, anche di razzismo e violenza negli stadi. La verità, quindi, è che il vento è cambiato perché sono alcune squadre ad averlo cambiato. Ad aver avviato dei progetti interessanti dal punto di vista sportivo: la Fiorentina, così come il Milan e il Napoli campioni d’Italia negli ultimi due anni, lavora da tempo sui giovani e cercando di tenere sotto controllo il bilancio; l’Inter, la Roma e anche la Juventus hanno situazioni finanziarie più complicate, ma hanno comunque rose molto valide, nel caso di giallorossi e bianconeri ci sono anche dei giovani molto interessanti (Bove, Zalewski, Fagioli, Miretti, ecc.). È ovvio che i risultati fanno la differenza, che la percezione del progetto-Mourinho e del progetto-Inzaghi, oggi come oggi, siano molto differenti rispetto a quella sul biennio di Allegri alla Juventus. Ma questi sono i rischi di chi fa impresa nello sport. E in fondo anche la Juventus ha giocato una buonissima Europa League dopo la “retrocessione” invernale dalla Champions.

Proprio quest’ultimo punto sembra fare la differenza, e qui si torna all’atteggiamento – anzi: all’insegnamento – di José Mourinho. Per anni abbiamo accusato i giocatori e gli allenatori di Serie A di vivere l’Europa League come un fastidioso ripiego rispetto alla Champions. Anche alcuni presidenti – e quindi i club – hanno detto e fatto cose non proprio edificanti, in questo senso. Quando invece ogni competizione internazionale ha un valore che va oltre l’aspetto economico dei premi o dell’ammissione a una coppa di livello superiore: è un volano di prestigio e di crescita/sviluppo dei giocatori, del brand, e allora l’indotto magari non sarà immediato, non sarà diretto, ma ha altre forme e risulta diluito nel tempo. In Italia forse l’abbiamo capito con un po’ di ritardo, anzi senza forse, ma in certi casi l’importante è arrivare a destinazione.