Il giorno dopo l’ennesima grande partita di questo suo folgorante inizio di stagione, contro il Napoli in Champions League, numerose testate nazionali hanno rilanciato un aneddoto vecchio di qualche anno: era il 2020, e un 16enne Jude Bellingham visitò Vinovo e la Continassa insieme ai suoi familiari. La Juventus aveva fatto un’offerta importante al Birmingham City e quella visita poteva sancire la conclusione di una trattativa ben avviata. Tutto, però, naufragò nel momento in cui al giocatore venne prospettato un percorso di inserimento graduale che sarebbe iniziato nell’Under-23. L’offerta del Borussia Dortmund arrivò nei giorni successivi, quelli che il ragazzo inglese si era preso di tempo per decidere se adeguarsi a quella visione tipicamente italiana della gavetta. Il BVB, invece, non solo gli avrebbe offerto fin da subito la possibilità di misurarsi in un contesto competitivo superiore, ma anche gli avevano promesso di farlo diventare un giocatore di livello internazionale nel giro di un paio di stagioni, grazie a un programma di lavoro pensato su misura per lui.
Quello che accadde da lì in avanti è solo una delle tante storie che vengono raccontate ogni volta che si pensa alla politica della Juve coi giovani, alle tante occasioni perse per via dell’eccessiva prudenza quando si tratta di puntare con decisione su calciatori che non sono ancora fatti e finiti. Il tema, tuttavia, non riguarda solo il calciomercato: oggi la Juventus deve credere nei propri giovani, anche a causa delle difficoltà economiche che, proprio pochi giorni fa, hanno costretto la proprietà a effettuare la terza ricapitalizzazione in quattro anni. Si tratta di una vera e propria rivoluzione tecnica e culturale che è stata più volte annunciata ma che fatica ad essere portata avanti con la convinzione e la continuità che sarebbero necessarie.
Qualche giorno fa il blogger Antonio Corsa ha pubblicato su X una tabella abbastanza eloquente: dopo le prime otto giornate di Serie A, i minuti in campo messi assieme dai sei giocatori della rosa juventina al di sotto dei 23 anni sono stati appena 742, 339 dei quali dal solo Nicolò Fagioli – schierato tre da titolare e due da subentrato. La restante parte dei minuti si divide, e nemmeno tanto equamente, tra Miretti, Iling Jr. e Yildiz, mentre Dean Huijsen e Hans Nicolussi-Caviglia (che 23 anni li ha compiuti a giugno) devono ancora fare il proprio esordio stagionale. Il dato è piuttosto basso, non solo se rapportato agli oltre 2.500 minuti concessi dall’Atalanta ai suoi giovani, o ai 1150 della Fiorentina: se guardiamo alle prime quattro in classifica, solo l’Inter fa peggio della Juve, con la miseria di 76 minuti concessi agli under aggregati alla prima squadra. La questione, quindi, non riguarda tanto il numero dei ragazzi che arrivano a debuttare tra i professionisti, piuttosto la convinzione nel percorso intrapreso con questi ragazzi, la volontà di impiegarli con continuità fino a trasformarli in nuovi titolari, e non in asset di mercato da sacrificare alla prima occasione utile (come Rovella e Dragusin) o destinati a finire in prestito altrove (come Soulé, Barrenechea, De Winter).
Lo scorso 3 agosto Fabio Miretti ha compiuto 20 anni, undici dei quali spesi nel settore giovanile della Juve. Il suo debutto ufficiale con la maglia bianconera risale all’8 dicembre 2021, negli ultimi minuti della partita della fase a gironi di Champions League contro il Malmö. Da allora ha disputato altre 53 gare con la prima squadra, di cui è entrato a far parte in pianta stabile nel’estate 2022. Nonostante questi numeri, guardarlo giocare oggi significa lasciarsi pervadere da una sensazione di sostanziale immobilità, come se nulla fosse cambiato da quei giorni in cui era un giovane promettente ma nulla di più. E il fatto che debba ancora trovare il primo gol ufficiale con la Juve c’entra, ma solo fino a un certo punto: Miretti, infatti, sembra addirittura regredito in molti aspetti del suo gioco, soprattutto in quelli che lo avevano reso un giocatore unico nell’organico della Juve.
Nella sua prima partita da titolare, disputata il 1 maggio 2022 contro il Venezia, Miretti fu molto bravo a interpretare il doppio ruolo di regista nel 3-5-2 in fase di possesso e di mediano puro nel 4-4-2 in fase di non possesso, segnalandosi per la grande capacità di occupazione preventiva degli spazi alle spalle della seconda linea di pressione avversaria e per la qualità dei suoi tocchi, quasi tutti di prima e in verticale, che facilitavano la trasmissione della palla e la progressione dell’azione per vie centrali. Di quel calciatore brillante e aggressivo, oggi, non è rimasto quasi nulla, come se i gangli di un 3-5-2 che Massimiliano Allegri ha reso di volta in volta sempre più rigido e schematico ne avessero imbrigliato la velocità di piede e di pensiero. Il ruolo naturale di Miretti sarebbe quello della mezzala di corsa e inserimento chiamata ad attaccare l’ultimo terzo di campo sfruttando le direttrici di corsa aperte dal movimento delle punte; ma in quello spot agisce già Rabiot, che è un titolare sostanzialmente inamovibile, e quindi Allegri sta iniziando a impiegarlo anche da trequartista atipico e/o sottopunta in un modulo che si potrebbe definire come 3-5-1-1. Miretti, però, non è un giocatore creativo in senso stretto, non è uno di quelli che riesce a generare occasioni attraverso la pura tecnica, quindi si è trovato sempre più spesso a dover ricevere spalle alla porta e a coprire da solo ampie porzioni di campo palla al piede senza nessuno cui associarsi, soprattutto quando manca Chiesa, con l’unico riferimento offensivo guardato a vista dai centrali avversari quindi in perenne inferiorità numerica.
Miretti è solo l’ultimo dei tanti che, nell’ultimo anno e mezzo, si sono sacrificati nell’interpretazione di un ruolo che, per esempio, sarebbe nelle corde di Matias Soulé. Il quale, stando a una recente statistica pubblicata da Opta, è il giocatore nato nel 2003 ad aver creato il maggior numero di occasioni da gol nei cinque maggiori campionati europei – insieme a Florian Wirtz del Bayern Leverkusen. Quando è stato a disposizione di Allegri, Soulé ha dovuto svolgere prevalentemente compiti di copertura e prima pressione sul regista avversario o è stato schierato come esterno a tutta fascia a piede invertito, equilibratore di un tridente spurio e che, in fondo, non era mai tale. Si tratta una circostanza che si è verificata anche durante il derby, quando Miretti è stato sostituito all’intervallo quasi per disperazione.
Ora parliamo anche di lui
Il 3-5-2, ovvero il punto fermo di Allegri che però costringe molti giovani a sacrificarsi e/o a giocare fuori ruolo, ha penalizzato anche Samuel Iling Jr., apparso come una meteora nel cielo di Lisbona durante una partita di Champions League contro il Benfica che stava raddrizzando quasi da solo in nemmeno venti minuti. Da quel momento, vista l’inderogabilità del sistema di gioco, Iling è diventato l’incollocabile per antonomasia, l’equivoco tattico di un sistema in cui chi gioca sull’esterno deve abituarsi a farlo su 70 metri di campo e non più su 40. La gara del Da Luz venne giocata il 25 ottobre 2022: quattro giorni dopo, a Lecce, l’inglese subentrò a Kostic a poco più di un quarto d’ora dalla fine e fece in tempo a fornire l’assist per il gol decisivo di Fagioli, poi fino a fine campionato i suoi minuti furono 288 (su 539 totali in stagione) spalmati su dieci presenze, di cui una sola da titolare – a Bergamo contro l’Atalanta, quando segnò la rete dell’1-0, la prima e unica in Serie A. In questa stagione, le premesse e le promesse di utilizzo non sono tanto diverse: fino ad oggi Iling Jr. ha disputato tre scampoli di partita per 88 minuti complessivi, gli ultimi 45’ a Reggio Emilia contro il Sassuolo lo scorso 23 settembre, quando il suo ingresso in campo somigliava tanto a un tentativo disperato di dare un senso a una partita nata male e proseguita peggio, più che a una mossa cercata, pensata, voluta.
Il fatto che un giocatore del genere sia ancora ai margini di una squadra che fatica così tanto a creare occasioni da rete con continuità potrebbe sembrare un controsenso, un cortocircuito generato da una visione stereotipata di un calcio che può essere giocato a un certo livello solo da quelli considerati già pronti, arrivati all’apice del prime tecnico, fisico e psicologico; in realtà l’equivoco di fondo, con Iling Jr. ma anche con tutti gli altri, sta proprio nel considerarli perennemente come un’anomalia di sistema e non come una risorsa, nel non sapere cosa farne e come inserirli se non in quelle situazioni limite in cui è il contesto a imporre di uscire dal sistema stesso. E senza che, per questo, i nuovi interpreti riescano a trovare, da soli e dal nulla, la soluzione a un problema che quelli prima di loro non sono riusciti a risolvere, se non in maniera sporadica ed estemporanea come in occasione del cross pennellato dallo stesso Iling Jr. per il colpo di testa di Vlahovic contro il Bologna o l’assist di Fagioli per il provvisorio 2-2 di Chiesa a Reggio Emilia.
A proposito di Fagioli. Ora è stato travolto dal vortice del caso-scommesse, ma il suo era il primo nome a venirci in mente quando pensavamo a un giocatore della Juve privato della spregiudicatezza e della sana incoscienza degli inizi. La scorsa stagione le sue giocate elettriche e contro-intuitive erano le uniche cose di calcio di un’annata in cui il calcio, per la Juventus, è stato per molti versi marginale. Se guardiamo ai giovani della rosa bianconera per il 2023/24, resta ancora quello più impiegato per via della sua multidimensionalità – può agire sia come backup di Locatelli davanti alla difesa che come mezzala di possesso in un centrocampo a tre. Di lui, nel 2018, Allegri disse che «vederlo giocare a calcio è un piacere perché conosce il gioco, ha i tempi giusti, sa come smarcarsi, quando e come passare la palla. Non ne escono tutti gli anni di ragazzi così». Dichiarazioni che somigliano tanto a quelle spese per Kenan Yildiz alla vigilia del derby in cui sembrava che dovesse partire da titolare accanto a Kean, soprattutto dopo l’ottimo quarto d’ora finale nella gara precedente contro l’Atalanta. «Lui è del 2005», aveva aggiunto il tecnico bianconero, «ma su quattro palloni toccati non ne ha sbagliato nemmeno uno. Mi è piaciuto soprattutto il modo in cui ha gestito tecnicamente il pallone, parliamo di un giocatore che diventerà davvero molto forte». Contro il Torino Yildiz è entrato a quattro minuti dalla fine ma per Allegri è stata comunque una folgorazione: «È un giocatore meraviglioso, è furbo e sveglio. Vedere uno che stoppa la palla come lui è qualcosa di clamoroso. Quando tiri la palla per aria te ne accorgi se uno stoppa bene o male il pallone». Il punto è che i problemi, poi, arrivano da questo momento in avanti.