La Juventus può lottare fino alla fine per lo scudetto?

Allegri ha costruito una squadra a sua immagine e somiglianza, e i risultati sorridono. Basterà a tenere il passo dell'Inter?

«Da questa sconfitta possiamo e dobbiamo imparare qualcosa. Abbiamo fatto una gara leggera a livello di testa, ma non eravamo dei fenomeni prima e non siamo scarsi adesso. Qualche partita l’ho fatta, un po’ di squadre le conosco e so quali sono i pregi dei miei ragazzi, che ci danno dentro e tanto. Ma ci sono momenti in cui devono far meglio». Queste parole Massimiliano Allegri le ha pronunciate lo scorso 23 settembre, al termine di Sassuolo-Juventus 4-2: l’unica partita persa dai bianconeri in questo primo terzo di stagione. Da allora sono arrivate otto vittorie nelle successive undici gare di Serie A, per un totale di 27 punti conquistati sui 33 a disposizione, uno score migliore anche rispetto alla capolista Inter (26). In più la Juventus ha già vinto due scontri diretti (contro Milan e Napoli), si è messa alle spalle partite insidiose come quelle contro Lazio, Atalanta e Fiorentina – due vittorie e un pareggio contro altre tre potenziali avversarie per la lotta al quarto posto – ed è stata l’unica altra squadra, escluso il Bologna, contro cui l’Inter non è riuscita a vincere in campionato negli ultimi due mesi.

«Erano tre anni che la Juventus non giocava per la testa della classifica, è stata dura; i ragazzi sono stati bravi, ora c’è il Monza, con cui l’anno scorso abbiamo perso due volte» ha detto Allegri il 26 novembre dopo l’1-1 dell’Allianz Stadium contro i nerazzurri. Cinque giorni dopo, il gol all’ultimo secondo di Federico Gatti ha portato effettivamente la Juventus al primo posto, anche se solo per 48 ore – l’Inter avrebbe poi vinto e convinto al Maradona contro un Napoli in ricostruzione. Per molti, quello è stato solo il primo atto di un testa a testa che dovrebbe durare fino al termine della stagione. O, almeno, fino a quando la Juventus sarà in grado di tenere il passo di una squadra che ha fatto 83 punti in 36 partite di campionato nel 2023, e che fa registrare un +32 alla voce “differenza reti” dell’attuale classifica di Serie A.  

Il dubbio sul fatto che la Juventus possa legittimamente essere considerata una contender dell’Inter, o comunque una squadra in grado di giocarsi un campionato contro un avversario così solido e continuo, non è connesso ai dati statistici o ai punti di distacco e nemmeno alla comunicazione fin troppo prudente di Allegri, che continua a ripetere che l’unico obiettivo dei bianconeri deve essere il quarto posto. Il dubbio è connesso, piuttosto, all’impossibilità di capire cosa sia la Juventus e che margini di crescita abbia. Questa impossibilità dipende dal paradosso per cui se è vero che, dal punto di vista dei risultati, la Juventus è in lotta per vincere il campionato, è altrettanto vero che il punto di vista dei risultati è realmente tutto ciò che abbiamo per provare a spiegare la stagione della squadra bianconera. Che in estate non ha praticamente fatto mercato, eppure al momento pare l’unica in grado di tenere aperto un campionato altrimenti già segnato, visto che la prima in classifica viaggia a una media di oltre 2,5 punti a partita ed è proiettata a chiudere tra i 95 e i 100. 

«La Juve è un avversario di livello», ha detto Lautaro Martínez a Dazn dopo la vittoria dell’Olimpico contro la Lazio. «Una squadra che a volte vince le partite senza giocare bene. Se però sono lì vuol dire che hanno qualcosa». Anche il capocannoniere della Serie A sa che la Juve si trova lì non per caso, seconda ad appena quattro punti dalla sua Inter. Allo stesso tempo, però, nemmeno lui riesce a spiegarsi il perché, a individuare il motivo per cui i bianconeri siano un avversario più credibile rispetto a tutti gli altri. Nell’epoca in cui in Italia il dibattito calcistico si è avviluppato attorno all’oscura guerra di religione tra giochisti e risultatisti, l’andamento e la continuità della Juventus 2023/24 sono l’argomentazione migliore che i secondi hanno a disposizione nei confronti dei primi. E, in qualche modo, sono l’estremizzazione del concetto per cui il fine giustifica i mezzi. Così ha ragione chi sostiene che il compito di Allegri è quello di limitarsi a vincere le partite, non importa come, non importa perché o grazie a chi. Una visione cinica e utilitaristica che non  può – anzi, non deve – tenere conto, per esempio, della necessità di valorizzazione del parco giocatori, del “progetto giovani” che non è mai stato realmente tale, delle ormai croniche difficoltà di Vlahovic o di qualsiasi altro centravanti negli ultimi tre anni, dei rischi connessi a un’interpretazione esclusivamente speculativa della singola partita e che prescinde dal valore dell’avversario.  

Il risultato finale è diventato, perciò, l’unico parametro di riferimento, la sola unità di misura possibile per una squadra che ha scelto di spiegarsi attraverso un minimalismo quasi esistenziale. Perciò quando la vittoria singola non arriva, così come accaduto a Marassi contro il Genoa, non resta nulla che possa far pensare a una Juventus in lotta fino alla fine per vincere il campionato. È come se, in assenza di un tabellino che certifichi la vittoria al 90esimo, mancassero tutte quelle certezze, tutte quelle sovrastrutture tecniche e tattiche che rendono una squadra forte anche nelle giornate in cui qualcosa non funziona come dovrebbe. A suo modo è un rischio anche questo, e Allegri e la Juventus hanno accettato di conviverci: «La squadra ha fatto una buona prestazione, per rimanere lì in cima dobbiamo essere più efficaci nelle occasioni; e quando c’è da uccidere l’avversario va ucciso perché poi ti capita un’occasione contro e subisci gol», ha detto il tecnico livornese dopo l’1-1 contro il Genoa. Praticamente la stessa analisi successiva al 4-2 subito a Sassuolo tre mesi prima, quasi a voler ribadire come, quando la Juventus non vince, non ci sia poi molto di più da dire. Che poi non cambia granché se tutto questo avvenga dopo un pareggio o dopo una sconfitta.

Massimiliano Allegri è tornato ad allenare la Juventus nell’estate 2021: da allora il suo score è di 69 vittorie, 25 pareggi e 30 sconfitte in 124 gare di tutte le competizioni (Marco Bertorello/AFP via Getty Images)

Ma allora come fanno i bianconeri Juventus a essere lì? È davvero così difficile capire cosa sia quel qualcosa cui fa riferimento Lautaro Martínez? Possibile che la Juventus non abbia alcuna qualità tangibile che le permetta di andare oltre sé stessa e quei limiti strutturali che riemergono ogni volta che non riesce a vincere una partita? La risposta va cercata nella natura stessa dei bianconeri, nell’unico pattern che può essere individuato all’interno di partite che si somigliano tutte: quella di Allegri è una squadra che mediamente crea poco, e quel poco che crea talvolta fa fatica a convertirlo (24 gol segnati per 29,7 xG). Inoltre è una squadra che tende a concedere agli avversari almeno una big chance a partita, anche se in questo caso i dati raccolti da Understat raccontano di un sostanziale allineamento tra gol subiti (dieci, solo l’Inter ne ha presi di meno, sette) e xG concessi (12,1).  

Rispetto alla scorsa stagione, quando un evidente overperfoming difensivo tra ottobre e gennaio permise ai bianconeri di restare più o meno in scia al Napoli prima del 5-1 subito in casa della squadra di Spalletti, la Juventus è oggi una squadra molto più lineare ed equilibrata nella sua prevedibilità, che in classifica ha i punti che merita grazie alla capacità di sfruttare gli episodi favorevoli mentre cerca di ridurre al minimo l’impatto di quelli contrari. E questo anche a costo di scarnificare quasi completamente la fase di possesso. C’entra, ovviamente, la concezione che Allegri ha della fase di non possesso – quindi quella sorta di utopia per cui ci si difende bene solo quando si riesce a non concedere nulla agli avversari, ma proprio in senso letterale – che non si concretizza più solo in una difesa organizzata per blocchi bassi, ma piuttosto in una sorta di diabolico mind game in cui l’altra squadra viene costretta a giocare una partita diversa da quella che aveva preparato, viene portata fuori dalla propria comfort zone per poi cadere in una sorta di buco nero, dal quale più si cerca di fare qualcosa per uscirne e più si finisce con l’esserne risucchiati. Questo concetto è perfettamente rappresentato da quello che è stata la gara del Franchi contro la Fiorentina: dopo essere passata in svantaggio al 10’ a causa del gol di Miretti, la squadra di Italiano avrebbe avuto tutto il tempo per riequlibrare una partita in cui ha dominato in tutte le principali voci statistiche. E invece questo dominio si è tradotto in una sterile corsa al cross che la Juventus ha controllato a piacimento, dando addirittura l’impressione di divertirsi nel frustrare sistematicamente ogni tentativo degli avversari in maglia viola.

Si tratta di un approccio intransigente e manicheo che però presenta il conto ogni volta in cui è la Juventus che si trova a dover fare la partita, uscendo da questa visione radicale dell’allegrismo che ha abbracciato senza riserve e senza compromessi. Anzi, le poche volte che il tecnico bianconero ha cercato una sintesi tra i suoi principi e la necessità di provare qualcosa di diverso ha dovuto frettolosamente correggersi in corsa. E non sempre ci è riuscito in tempo. Non è un caso, perciò, che le otto partite contro le squadre della seconda metà della classifica – sei vittorie, un pareggio e una sconfitta, per un totale di 14 gol fatti e sette subiti – siano state quelle in cui i bianconeri hanno sofferto di più rispetto a quelle disputate contro le prime dieci – cinque vittorie e tre pareggi, sette gol fatti e appena due subiti. Così come non è un caso che le due prove migliori dal punto di vista della prestazione, contro il Verona e il Monza, siano state risolte in extremis dal colpo salvifico di Cambiaso o Gatti, e non dai giocatori da cui sarebbe stato lecito aspettarsi qualcosa di più. E di meglio.  

Il merito di Allegri, però, sta proprio nell’aver convinto tutti, giocatori compresi, che questo sia l’unico sistema per farcela, che il vero motivo per cui l’Inter è ancora lì a quattro punti è proprio perché, in fin dei conti, per vincere bastano le accelerazioni sporadiche di Chiesa o di Rabiot, i cinque gol che Vlahovic è riuscito faticosamente a mettere insieme dall’inizio della stagione, i jolly trovati qua e là da Gatti o da Cambiaso, le parate risolutive di Szczesny le rarissime volte in cui gli avversari riescono a entrare in area di rigore o a trovare un tiro da fuori. Se potrà bastare ancora e fino alla fine lo diranno i risultati, cioè l’unica cosa che la Juventus ha deciso di far contare nel giudizio che si avrà della sua stagione. Nel bene e nel male.