Ogni volta che Antonio Conte va ad allenare una squadra italiana che non sia la sua Juventus, più di qualcuno pensa che sia una scelta contro natura, o comunque un po’ avventata. Successe ai tempi della Nazionale, perché era il tecnico più divisivo del nostro calcio. Successe ai tempi dell’Inter perché beh, era l’Inter – la più grande rivale della Juve, anche secondo i tifosi juventini. Sta succedendo adesso con il Napoli, che ha difeso malissimo – e stiamo usando un eufemismo – lo scudetto, che ha uno spogliatoio-polveriera già chiaramente esploso, basta rileggere le cronache sul caso-Di Lorenzo, che l’anno prossimo non giocherà le coppe europee, che ha un presidente dalla personalità a dir poco istrionica, a dir poco ingombrante. Insomma, stavolta sembrano esserci tutti i motivi per pensare che le cose andranno male.
Se ci fermiamo un attimo a ragionare, però, Conte ha già in mano tutto ciò che serve per prendere queste criticità – che ci sono realmente – e per ribaltarle. Perché stiamo parlando di un formidabile lavoratore di campo capace di valorizzare al massimo qualsiasi tipo di calciatore, di motivarlo – e quindi, eventualmente, di rimotivarlo – a dovere, di elevare il suo status, e infatti negli anni tutto questo è successo con Bonucci, Barzagli, Marchisio, Matri, Vucinic, Pogba, Giaccherini, Pellé, Éder, Hazard, Kanté, Diego Costa, Fàbregas, Moses, Barella, Lautaro Martínez, Brozovic, Skriniar, Lukaku, Perisic, Hakimi, Bastoni, Darmian, Kulusevski, Kane, Son Heung-min – e di certo ne abbiamo dimenticato qualcuno. L’idea è che tutto questo potrebbe succedere di nuovo con Di Lorenzo, Rrahmani, Lobotka, Anguissa, Kvaratskhelia.
Ecco, è innanzitutto una questione di qualità: il Napoli 2023/24 è stata una squadra allestita male ma soprattutto allenata male, che per una stagione intera non ha avuto una guida tattica degna di questa definizione, che quindi non ha potuto esprimersi in proporzione al suo valore reale. Tutto questo, però, non può cancellare una verità oggettiva, cioè verificata nei fatti: nel Napoli ci sono ancora molti giocatori che, non più tardi di un anno fa, dominavano il campionato di Serie A e sono andati vicini a conquistare la semifinale di Champions League.
Conte sta arrivando in una squadra del genere per ricostruirla da zero, perché zero è stato il lavoro fatto da Garcia, Mazzarri, Calzona. E anche questa è una condizione potenzialmente favorevole, per lui. A dirlo è la sua storia professionale: la Juventus 2011/12 nacque sulle macerie delle stagioni vissute con Ferrara, Zaccheroni e Delneri; l’Italia 2014-2016 era probabilmente la peggior Nazionale azzurra che si sia mai qualificata a un grande torneo; il Chelsea 2016/17 era reduce da un decimo posto dopo una Premier League vinta, dall’esonero di Mourinho e dalla sua sostituzione con Guus Hiddink, praticamente la stessa situazione del Napoli attuale; prima dell’arrivo di Conte nell’estate del 2019, l’Inter aveva ritrovato un minimo di credibilità con Spalletti, al punto di tornare in Champions League dopo sette anni di assenza, ma di certo non era una potenziale contender per lo scudetto.
Per quanto riguarda il rapporto con De Laurentiis, la realtà è molto più sfumata di come viene raccontata: il presidente del Napoli ha iniziato a commettere errori gravi, sportivamente imperdonabili, nel momento in cui ha gestito la squadra in prima persona, senza delegare a una o due figure professionali puramente tecniche – il diesse e l’allenatore. Stiamo parlando dell’ultimo anno di calendario, degli ultimi 365 giorni, dal momento in cui ha vinto lo scudetto. Quel trionfo assoluto è arrivato nonostante il suo modello di business calcistico fosse snellissimo e verticistico. E nonostante la sua personalità, nonostante le sue dichiarazioni impulsive alla stampa, nonostante i rapporti con i suoi tecnici si siano incrinati, perché è successo. Il motivo è semplice da individuare: prima dell’estate 2023, De Laurentiis aveva saputo affidarsi a persone che sanno di calcio. A Marino, Bigon, Giuntoli. A Mazzarri, Benítez, Sarri, Ancelotti, Spalletti. Non tutti hanno fatto bene a Napoli, ma il calcio non è una scienza esatta.
La differenza, all’inizio di questa nuova era, sta proprio in un chiaro ed evidente ritorno al passato: il Napoli 2024/25 ripartirà da Giovanni Manna e da Antonio Conte, e cioè da un direttore sportivo vero – per quanto all’esordio assoluto in questo ruolo – e da un allenatore dalla personalità ingombrante. Come quella del presidente, forse anche di più. E il punto è proprio questo: anche se è paradossale dirlo così, il fatto che Conte e De Laurentiis potrebbero litigare è la miglior garanzia possibile, per i tifosi del Napoli. Perché significa che l’allenatore è potenzialmente pronto a imporsi, a battagliare, a fare in modo che il presidenti resti un semplice presidente, senza invadere il suo campo. E lo stesso discorso vale per la costruzione e la gestione quotidiana della squadra: non sappiamo di quanta liberà effettiva potrà godere Manna, ma di certo l’arrivo (annunciato, ma da confermare) di Gabriele Oriali limiterà ulteriormente l’influenza di De Laurentiis. Il fatto che si stia trattando anche in questo senso significa che il presidente si è ravveduto. O che ha compreso i suoi errori, quantomeno.
Ora è chiaro che i risultati del Napoli 24/25 dipenderanno dalla rosa che sarà affidata a Conte, da come sarà affrontato e gestito il calciomercato. Ma le premesse, in realtà, sono tutte giuste. L’ex allenatore del Tottenham e dell’Inter e della Juventus si è fatto benissimo i suoi calcoli, così come De Laurentiis è evidentemente disposto a fare un passo indietro. Magari non dal punto di vista dell’esposizione mediatica, ma in fondo quello per il Napoli è stato un problema piccolo, marginale. La storia dice che la società azzurra è andata in difficoltà, a livello di rendimento e progettuale, quando De Laurentiis ha scelto di non scegliere e/o quando ha scelto in prima persona. Stavolta questo pericolo non esiste, ed è lo stesso ingaggio di Conte – come operazione di mercato, ma anche come impegno economico – a dirlo forte e chiaro. Ed ecco perché Conte non poteva scegliere una strada migliore, per ripartire, altro che scelta avventata o contro natura.