Può darsi che la Nazionale italiana non sia la squadra giusta per il calcio che piace a Luciano Spalletti. Anzi, si può affermare che quasi certamente non lo è. Il punto, però, è che lo stesso Spalletti non si è dato il tempo e il modo per verificare se potesse esserci un incastro tra le sue idee e il materiale umano che aveva a disposizione. Non a caso, viene da dire, uno dei concetti con cui il ct dell’Italia ha giustificato la sconfitta contro la Svizzera è stata proprio la mancanza di tempo: «Non ho avuto lo stesso numero di partite che hanno avuto i miei predecessori», ha detto. Quella di Spalletti è una lettura realistica, è una lamentela anche condivisibile: in fondo è stato scelto, al posto del dimissionario Mancini, meno di un anno fa. Tuttavia resta il fatto che l’Italia vista agli Europei è stata una squadra davvero troppo misera, dal punto di vista della proposta di gioco, perché si possa ridurre tutto a una semplice questione di tempo.
Anche perché, a pensarci bene, bisognerebbe riflettere qualche minuto in più sulla qualità dei giocatori a disposizione di Spalletti: è lampante che l’Italia non avesse il miglior roster di Euro 2024 e della sua storia, ma è vero pure che Chiesa e Scamacca non possono essere considerati tanto più scarsi di Vargas ed Embolo; allo stesso modo, i confronti tra Barella e Freuler, tra Donnarumma e Sommer, tra El Shaarawy e Rieder non sono così sbilanciati verso i giocatori svizzeri. Eppure la squadra allenata da Yakin ha corso al triplo della velocità rispetto all’Italia, è parsa almeno quattro volte più ordinata e otto volte più creativa rispetto agli Azzurri. In virtù di tutto questo, bisogna dire le cose come stanno, senza fare giri di parole: Luciano Spalletti, a questi Europei, ha fatto un disastro, ha sbagliato tutto ciò che poteva sbagliare e ha pure perseverato nei suoi errori.
Torniamo all’idea per cui Spalletti non si sia dato tempo e modo per valutare l’eventuale aderenza tra le sue idee e i suoi giocatori – oppure, sarebbe stato ancora meglio, per costruirne una. Quello che intendiamo è che la brutta prestazione contro la Spagna ha convinto il ct a sconfessare il lavoro fatto nelle settimane precedenti, e così l’Italia si è ritrovata senza più certezze. Non che ne avesse tante, ma quantomeno contro l’Albania si era vista una Nazionale in grado di reagire dopo l’immediato svantaggio, di creare un buon numero di occasioni da gol, di muovere la palla senza risultare troppo fragile nelle transizioni. Poi, come detto, la Spagna ha dominato la seconda partita del girone e Spalletti ha iniziato a cambiare gli uomini e le loro posizioni in campo. In questo modo ha creato e poi alimentato un’evidente confusione tattica, ha portato l’Italia a eclissarsi in modo sempre più evidente. Fino all’implosione definitiva contro la Svizzera.
Ok, i giocatori erano molto diversi, ma del meraviglioso Napoli campione d’Italia 2022/23 con Spalletti in panchina a Euro 2024 non si è visto davvero nulla.
La storia tattica dell’Italia a Euro 2024 è essenzialmente questa. E restituisce una fotografia impietosa del lavoro di Spalletti. Anche perché, naturalmente, ci sono altri elementi piuttosto significativi a carico del commissario tecnico e del suo staff. Primo tra tutti la condizione fisica mostrata dai giocatori dell’Italia, e stiamo andando al di là dei vari infortuni occorsi agli Azzurri in questi Europei: soprattutto contro la Svizzera, ma anche nelle gare precedenti, i giocatori di Spalletti hanno dato l’impressione di essere lenti, appannati, atleticamente scarichi. In questo senso, il fatto che il ct abbia parlato di stanchezza diffusa e temperature elevate ha un peso relativo, anzi nullo: anche i giocatori della Spagna e della Svizzera vengono da una stagione massacrante, anche i giocatori della Spagna e della Svizzera hanno dovuto affrontare gli Azzurri e anche il caldo di Gelsenkirchen e di Berlino. Eppure non sembravano affatto spompati.
In queste ore di giudizio libero e di critica senza esclusione di colpi, uno degli appunti più frequenti fatti a Spalletti riguarda la sua presunta inadeguatezza al ruolo di selezionatore/commissario tecnico. Un ruolo che, se guardiamo alla storia, effettivamente si distanzia un po’ – e per diversi aspetti – da quello di allenatore di club. Come in tutte le cose del pianeta Terra, però, anche qui ci troviamo di fronte a un’evoluzione: non è detto che un selezionatore/ct non possa pensare e agire come un allenatore, cioè non possa approcciare al suo lavoro immaginando di costruire una Nazionale che abbia una profonda identità tattica, la cui anima non vada cambiata a ogni partita per adattarsi meglio agli avversari o per gestire una o due assenze significative. I fatti degli ultimi anni, anche e soprattutto quelli relativi all’Italia, dicono che un selezionatore/ct farebbe meglio a ragionare come un allenatore: Conte e Mancini, ovvero i tecnici che hanno guidato gli Azzurri a dei buoni risultati in un grande torneo estivo, avevano progettato e messo in campo due Nazionali dal gioco estremamente riconoscibile, due squadre che avevano delle certezze e si appigliavano a quelle nei momenti di difficoltà. A volte per descrivere una rappresentativa costruita in questo modo si usa la frase fatta per cui gioca come un club, e in effetti si tratta di una definizione calzante.
E allora la verità è che Spalletti ha fallito nel momento in cui ha iniziato a comportarsi come selezionatore/ct, non più come allenatore. La sua Italia non è mai stata davvero sua, se non per alcuni segmenti di alcune partite, e a un certo punto è come se il ct si fosse arreso all’evidenza, all’oggettiva impossibilità di seguire un certo tipo di idee. In questo senso, i continui cambi di modulo – le amichevoli di marzo giocate con la difesa a tre, il ritorno alla difesa a quattro e poi di nuovo quella a tre e poi di nuovo quella a quattro – devono essere considerati una delle conseguenze, non una manifestazione, del caos tattico da cui Spalletti si è fatto travolgere.
Non è un caso, quindi, che la prima frase di questa analisi fosse una dubitativa in merito alla prossimità tra i giocatori dell’Italia e il calcio di Spalletti. Nel senso: è vero, l’ex allenatore del Napoli si è ritrovato a dover gestire una rosa che non combaciava perfettamente con il suo calcio liquido e multiforme, così come è vero che le contingenze non hanno aiutato Spalletti – e in questo senso il suo arrivo in corsa, quando la qualificazione a Euro 2024 sembrava quasi compromessa, ha avuto certamente un peso. Il problema è che la reazione di Spalletti è stata quella di farsi sopraffare dalla paura, al punto da trasformarsi in un selezionatore/ct classico, vecchio stampo, superato dal tempo. E così il suo calcio liquido è diventato troppo liquido, informe, inconsistente. È diventato l’esatto contrario rispetto a quello di cui ha bisogno l’Italia in questo momento storico: visto che parliamo di una Nazionale medio-borghese, priva di fuoriclasse generazionali, occorrerebbe un ct in grado di darle un’identità chiara e definita. Servirebbe un allenatore in grado di creare e attuare dei meccanismi che possano colmare il gap di qualità con le grandi rappresentative, oppure di far fruttare il talento che c’è, perché c’è, contro avversarie dello stesso livello. Insomma, servirebbe un allenatore come Luciano Spalletti. Quello vero, però, non la pessima copia-carbone che è stata spedita agli Europei in Germania.